Devil’s Third riflette in pieno il suo creatore: da un personaggio controverso come Tomonobu Itagaki non ci si poteva aspettare altro che un gioco controverso.
Non è facile inquadrare la prima opera di Itagaki dopo l’uscita dal Team Ninja di Tecmo, con cui ha firmato successi come Dead or Alive e il riuscito trasferimento di Ninja Gaiden in campo tridimensionale (anticipando di anni la moda dei giochi difficili, come sa bene chiunque abbia approfondito il primissimo Ninja Gaiden).
Vuoi per la sua natura innovativa con cui cerca di mescolare meccaniche fps e giochi d’azione alla Ninja Gaiden o Devil May Cry, vuoi perché il titolo è stato in cantiere per anni e ha dovuto adattarsi ad un serio taglio di fondi dopo la chiusura di THQ e il timido supporto di Nintendo che ha più volte dimostrato di non voler puntare molto sul gioco (scelta incomprensibile visto l’esagerato bisogno di Wii-U di rimediare all’assenza di titoli multipiattaforma con più esclusive possibili).
Dagli anni 80 con baldanza
Devil’s Third punta a rompere il tabù che considerava incompatibili i succitati generi e in parte ci riesce, ma meglio andare con ordine. La campagna vede come protagonista Ivan, un mercenario carcerato, costretto dal governo a combattere contro i suoi vecchi compari d’arme (riuniti nella milizia dall’ironico nome di “Scuola di democrazia”) intenti a conquistare il mondo tramite attacchi militari mirati.
L’atmosfera è ispirata ai film d’azione degli anni ’80, con nemici tratteggiati graficamente e caratterialmente in modo molto marcato ma non sempre originale, in bilico tra tipologia e stereotipo, in grado di catturare l’attenzione del giocatore senza essere però memorabili. Ivan è molto aderente ai canoni “Stalloniani” dell’eroe da film d’azione ma cambiando qualche dettaglio per mantenere una sua personalità (come i kanji tatuati di cui è ricoperto o come il ribadire la sua preferenza per il bourbon americano pur essendo russo). Gli stessi livelli e sequenze non si preoccupano di saccheggiare da più fonti, per creare qualche sfaccettatura nel gioco e intrattenere ma senza la minima ambizione artistica: i piani dei cattivi puntano sul sabotaggio delle comunicazioni satellitari globali e sull’accesso alle risorse minerarie per uso militare come in un romanzo di Tom Clancy, alcune grottesche creature non possono che derivare da Resident Evil (forse l’unica parte che stona davvero), mentre i titoli di coda fanno pensare a Metal Gear Solid, scimmiottando il potente cantato femminile di Donna Burke e Cynthia Harrell e chiudendo su di una misteriosa e allusiva scena extra, che lascia spazio aperto ad un seguito. Il tutto attraverso nove livelli che garantiscono circa una decina di ore di longevità se affrontati a livello di difficoltà normale.
Jean Claude Van Itagaki
La giocabilità di Devils Third rimane ciò che lo differenzia dal resto del mercato. Ivan può utilizzare diverse armi da fuoco, spaziando dai classici mitragliatori automatici alle pistole, oltre a granate, lanciamissili e fucili da cecchino, equiparando il suo arsenale a quello di un qualsiasi gioco di guerra. Tra le armi da mischia si spazia tra un essenziale coltello, delle esotiche lame giapponesi, Tomahawk indiani e Kukri nepalesi, senza escludere spranghe di ferro e martelli per l’approccio più brutale possibile, ognuna fornita di una sua animazione specifica per le uccisioni. A variare il tutto anche sequenze in cui guidare mezzi o comandare torrette per offrire fuoco di copertura ai comprimari.
Unire tutto questo era indubbiamente difficile, ponendo nella costruzione dei livelli il duro compito di permettere flessibilità nello stile di combattimento ma valorizzando allo stesso tempo ciascun approccio.
In parte l’esperimento è riuscito: il giocatore ha una certa libertà sull’alternanza dell’ingaggio lontano o ravvicinato e in diverse occasioni è possibile utilizzare entrambi i metodi con successo, ma in alcune parti specifiche il gioco richiede di adattarsi alla situazione per evitare la ripetizione continua di un solo metodo di combattimento.
Compito dell’utente è stare al passo e se può apparire frustrante essere abbattuti in un determinato punto, allora potrebbe essere il caso di cambiare tattica o arma.
Gli ambienti troppo aperti e nemici troppo distanti lasciano scoperto il protagonista al fuoco nemico, richiedendo l’uso di armi da fuoco a lunga gittata e un uso massiccio delle coperture. Sulla media distanza si potrà correre verso il nemico scegliendo se usare la scivolata, magari accompagnata da una raffica di mitra per schivare e attaccare insieme, oppure schivare rotolando tra una copertura e l’altra per poi sguainare la katana una volta vicini. Negli ambienti chiusi invece il meccanismo di schivate e contrattacchi si riallaccia a Ninja Gaiden, ma con evidenti limitazioni.
Il prezzo per aver inserito fuoco in prima e terza persona con scontri all’arma bianca è una poca profondità: c’è un pò di tutto, ma in maniera essenziale. Le combo di spada difatti sono decisamente ripetitive e cambiare arma non cambia radicalmente la giocabilità come in Ninja Gaiden o Devil May Cry.
La modalità di sparo è pure abbastanza grezza a causa di una mira assistita poco influente, che lascia quasi interamente nelle mani del giocatore la precisione, cosa non facile vista la scarsa ergonomicità del tablet-pad e di una assenza della regolazione della sensibilità degli analogici. Inoltre i nemici sfruttano poco le loro peculiarità, solitamente intese per mettere alla prova il giocatore, proprio per consentirgli maggiore libertà nell’ingaggio.
Tomonobu Willis
La stessa intelligenza artificiale si alterna tra efficienza e concessioni all’utente: se da un lato i soldati tendono a coprirsi se inquadrati frontalmente nel mirino del mitra (evitando le sortite suicide dei nemici di Call of Duty, che si lanciavano in avanti in maniera innaturale come fossero consapevoli di essere un diversivo sacrificabile per spingere fuori copertura il giocatore),i nemici come gli accoltellatori non sempre si curano delle raffiche di mitra, questo per risultare neutralizzabili sia da lontano, con armi da fuoco, che da vicino, con le lame.
Il livello di sfida difatti rimane superiore alla media, portando ad alcuni Game-Over in parecchi livelli e garantendo delle impegnative battaglie contro parecchi boss (che se affrontati attaccando a caso o ignorandone le sequenze di attacco vinceranno sempre, risultando in apparenza frustranti).
Affrontare il gioco a difficoltà Hardcore richiede un utilizzo maggiore di schivate e cambi arma, costringendo a padroneggiare le meccaniche ma mettendo in luce la legnosità del tablet-pad di Wii-U. L’esperienza migliora decisamente se accompagnata da un joypad classico, indicato come controller ideale su cui è costruito il gioco dallo stesso Itagaki. Difatti nonostante sia evidente che questa lacerazione è dovuta alla convivenza tra difficoltà e libertà di gioco, la sensazione generale è divertente.
La grafica rimane una nota molto dolente. Se in alcuni livelli la frequenza di fotogrammi rimane sufficiente per un gioco d’azione, in alcune sequenze particolarmente caotiche si assiste una calo evidente e fastidioso. Stesso discorso per la qualità di texture e ambienti, che passano da modelli abbastanza definiti a sequenze scarne e prive di dettaglio, dando la sensazione di trovarsi di fronte un titolo visto nei primi anni di Xbox360 e Playstation 3. Su questo elemento c’è poco da fare ed emerge come questa mancanza derivi dal ridimensionamento dello sviluppo, forse unica giustificazione per una simile alternanza qualitativa, spesso riscontrabile all’interno della stessa missione.
Come ricreare il massacro degli 88 Folli online
A sorpresa la componente multigiocatore non appare superflua, aggiungendo un ulteriore e difficile esame all’ibrido di Itagaki. Le modalità principali sono le classiche “Tutti contro tutti”, Deathmatch a squadre e Obiettivo (in cui bisognerà conquistare un cargo di rifornimenti prima della squadra avversaria) o le stravaganti Chicken e Carnival (in cui sarà necessario mantenere il controllo di un pollo per guadagnare punti o lanciare della frutta in un contenitore contendendosela tra squadre).
La vera chicca però è la modalità Siege (Assedio) in cui i giocatori potranno riunirsi in uno strutturato sistema di clan da cui otterranno fondi virtuali per potenziare il personaggio contribuendo al miglioramento della propria fortezza. La personalizzazione della base è un aspetto importante visto che le guerre tra clan si basano sull’attaccare o difendere i rispettivi domini. In alternativa è possibile stringere alleanze e patti di non aggressione, aggiungendo un pizzico di componente social e strategica al tutto.
La rudimentalità delle meccaniche però si mostra maggiormente in alcuni aspetti del multigiocatore: nella variante “solo armi bianche”, emerge come manchi la raffinatezza e la profondità di Ninja Gaiden e di come il tablet-pad sia scomodo, non garantendo precisione nell’uso delle schivate o rotolate (che diventando condizione ancora più indispensabile per vincere di quanto già non lo siano nel giocatore singolo).
Nelle modalità Deathmatch classico invece l’esperienza è molto varia e divertente, lasciando massima libertà non solo nella scelta dell’ingaggio, ma anche tra le stesse armi da fuoco. In alcune mappe, come la California, la presenza di canali idrici in secca crea una zona di trincee in cui gli spadaccini possono sfidarsi al riparo dal fuoco che magari serpeggia sui tetti delle abitazioni. Al tempo stesso i “camper” sono avvisati: non sempre si troveranno in spazi aperti su cui far valere il vantaggio delle armi da fuoco.
Nonostante in questo frangente si notino di più i limiti della giocabilità il risultato è caciarone ma divertente grazie ad una grande varietà ed una atmosfera dinamica che condisce questo massacro di gruppo a tutto spiano.
PRO
- Veramente Innovativo
- Divertente nel complesso
CONTRO
- Grafica poco definita ed evidenti cali di frame
- Tecnicamente grezzo e migliorabile.