Iniziamo con una doverosa premessa: non è l’ambientazione futuristica o realistica a rendere uno sparatutto bello o brutto, ma la qualità della sua campagna, del suo multigiocatore, del design, del bilanciamento. Così non fosse allora dovremmo giudicare male Halo e bene Medal of Honor Warfighter. Invece uno ha rivoluzionato la storia del genere, mentre l’altro ne è uno dei peggiori esempi. Si erano già approfondite le ragioni dietro le scelte degli sviluppatori e a scanso di equivoci l’esame di Infinite Warfare non vuole fermarsi alla sua sola facciata, valutandolo invece per quello che è, senza metterlo sul banco degli imputati per una semplice scelta stilistica che sarebbe accettabile nell’ottica di uno spin-off.
Il suo nome era Salen Kotch, ora la sua guerra si è conclusa
Iniziamo con uno scenario ben noto agli amanti della fantascienza: una terra sovrappopolata ha portato alla creazione di colonie su altri pianeti. Queste colonie col tempo sono cresciute e dopo essersi gestite in maniera semi-autonoma per anni, hanno finito per reclamare l’indipendenza con tale forza da sfociare in una guerra civile contro il governo terrestre da cui dovrebbero dipendere. L’ammiraglio Salen Kotch guida questo attacco nel modo più feroce possibile, senza voler fare prigionieri, decimando in un solo colpo la flotta terreste eccetto due vascelli spaziali. Tocca all’impreparato Capitano Reyes il compito di condurre una guerra lampo per fermare l’invasione prima che sia troppo tardi. Una trama asciutta e condita da azione pura, senza spazio per evoluzioni particolari e dettata sempre da un ritmo incessante, composto di blitz fulminei e continui. Una serie di situazioni estreme che talvolta vogliono mostrare anche il peso del comando e l’importanza del ruolo che ogni soldato sente. Un’intento riuscito però a tratti, tra alcuni dialoghi indovinati, altri decisamente banali e delle caratterizzazioni non sempre calzanti. Se qualche personaggio esprime bene il contrasto tra cinismo e idealismo, altri invece rimangono impantanati in una retorica che ormai sembra tipica delle produzioni di Infinity Ward dopo l’uscita del duo West&Zampella. In particolare lasciano perplessi molte scene che coinvolgono il robot Ethan, umanizzato al limite del ridicolo nel relazionarsi con Reyes.
Sottosfruttato anche il nemico Kotch, a cui Kit Hartington (famoso per il ruolo di John Snow) dona le fattezze. L’ammiraglio compare per poco (forse per la difficoltà di conciliare tempistiche per le sessioni di digitalizzazione attoriale con gli impegni sul set de Il Trono di Spade) e spesso afferma la sua pericolosità con improbabili affermazioni di crudeltà, come sparare ai suoi soldati solo per dimostrare con orgoglio la sua spietatezza agli avversari. Il Settlement Defence Force e la sua sanguinaria guerra di indipendenza sembrano modellati sugli Helghast di Killzone, ma senza lo stesso approfondimento delle ragioni che giustificano lo scoppio di una guerra così feroce, senza un capo caratterizzato da carismatico arringatore di folle come Visari e senza creare qualche elemento particolare come le analogie con la Germania del Reich. Il tutto rimane quindi appena accennato e concentrato solo sul presente.
CharlieX non fa surf gravitazionale
Il punto forte della campagna però non è la sua narrativa, quanto una struttura inedita, scegliendo di volta in volta quale missione affrontare e in quale ordine. Si va dal classico assalto frontale per distruggere una base, all’operazione di salvataggio su di una stazione mineraria, attacchi a gravità zero, una incursione stealth, sino alle missioni a bordo del caccia spaziale Jackal. Queste ultime sono le più ricorrenti e si basano sul guidare il velivolo per abbattere i piloti della flotta nemica e i suoi vascelli più imponenti. Una formula molto più elaborata rispetto alle brevi parentesi alla guida dei caccia in Black Ops 2 e 3, qui usata per spezzare la monotonia tra una fase fps e l’altra. La campagna trae abbastanza giovamento, sia in termini di longevità, sia in termini di respiro, rivelandosi più malleabile verso le esigenze del giocatore, e garantendo una buona varietà e divertimento. A questo bisogna aggiungere la modalità Specialista (sbloccata al termine della storia), in cui vengono “resettate” le regole con cui si è ormai soliti intendere il genere FPS.
Qui i danni provocano dei disagi tangibili sul personaggio, limitandone la capacità di movimento qualora siano colpite le gambe, rendendo impossibile sparare da un braccio e rendendo più goffa la mira o causando la morte istantanea se colpiti alla testa dopo aver subito troppi danni al casco. Le condizioni generali inoltre non si riassettano con il semplice passare del tempo e diventa indispensabile recuperare le siringhe che curino i danni subiti, permettendo di riprendere l’uso di arti danneggiati e ricordando i kit medici tipici delle produzioni anni 90. Un’impostazione che ridefinisce completamente il modo di giocare in singolo, rendendo pericoloso anche il più semplice soldato gestito dal computer e creando una sfida complessa ma davvero godibile per chi voglia scostarsi un pò dalla solita routine.
Molto suggestivi gli ambienti: tra pianeti ghiacciati, vulcanici, città mitteleuropee incastonate nel futurismo. Il tutto arricchito da ottime alternanze cromatiche e 60 fotogrammi al secondo.
Piedi a terra, prego
Il multigiocatore resta la parte che sicuramente ha causato e causerà ancora più attrito tra i fan di vecchia data. La mobilità aumentata introdotta nello scorso capitolo era una chiara ispirazione a Titanfall e questo fattore è stato potenziato in Infinite Warfare. Ora i doppi salti e la corsa sui muri ottengono finalmente lo spazio necessario per renderle meccaniche importanti all’interno dell’economia di gioco e vengono valorizzate come Black Ops 3 forse non aveva avuto il coraggio di fare (forse per paura di creare uno scossone troppo forte nelle abitudini dei giocatori, ma finendo per rendere superflui e marginali dei cambiamenti che potevano rinfrescare e innovare le meccaniche della serie). La progettazione delle mappe riflette chiaramente questa scelta, offrendo ingressi agevolati se non esclusivi per chi usa il salto potenziato, frequenti corridoi alternativi legati alla corsa sulle pareti e permettendo di sfuggire facilmente da un testa a testa grazie all’uso del propulsore. Tuttavia quello che poteva essere il Call of Duty che più mostrava di aver compreso gli insegnamenti dei maestri di Respawn, finisce per naufragare dietro un difetto cronico in casa Infinity Ward: il tempo di abbattimento (TTK) ridottissimo. A causa di questo basta spesso l’impatto istantaneo di una raffica per causare la dipartita, diminuendo drasticamente lo spazio per un uso creativo della mobilità aumentata e riducendo tutto ad uno spam di supersalti per confondere la mira nemica. La stessa dinamicità estrema causa una fluidità frenetica lungo le mappe, lasciando il giocatore ad essere spesso abbattuto alle spalle proprio per via dell’eccessiva tendenza a ciclare velocemente attraverso gli ambienti. Se nei Call of Duty precedenti restava fondamentale dosare i propri movimenti per non esporsi al fuoco nemico, l’unione di alta fragilità con movimenti accelerati, porta tutti i soldati a spostarsi di continuo per non essere facili bersagli, trovandosi frequentemente ad essere attaccati persino da quello che sino a pochissimi secondi prima era un angolino presidiato da un alleato. La cosa è ulteriormente enfatizzata da un bilanciamento negativo delle armi, premiando troppo le soluzioni con danno e rateo di fuoco più alti e penalizzando chi invece sceglie modelli più deboli in uno di questi campi. Il risultato è quello di ritrovarsi in un multigiocatore schizofrenico e sotto effetto di metanfetamine.
Kit, vieni a prendermi, subito! – David Hasselhoff
Poco da dire invece sulla modalità Zombie, la quale funziona in maniera simile ai capitoli precedenti ma posizionandosi in uno scenario davvero ironico e pieno di citazioni. Stavolta quattro ragazzi si muovono sul set di un film horror anni 80, ricoprendo dei ruoli stereotipati come il giocatore della squadra di football, la belloccia, il secchione e il rapper. In mezzo a tutto questo la comparsata di David Hasselhoff, attore divenuto famoso in quel periodo grazie al telefilm Super Car. Zombie è una piccola Left4Dead, che paga solo il prezzo di essere spezzettata lungo tutto il season pass e di avere un solo livello all’interno del gioco base.
Pro
- diverse novità interessanti nella campagna come le missioni Jackal e la modalità Specialista
- uso del parkour migliorato
Contro
- storia poco approfondita
- bilanciamento pessimo e ritmo troppo frenetico nel multigiocatore