Dopo lo scisma in casa Infinity Ward è toccato a Treyarch assumere il ruolo di portabandiera di Call Of Duty grazie ai capitoli Black Ops. Con tre anni di sviluppo alle spalle Call of Duty Black Ops 3 si presenta come il capitolo più denso di novità sino ad ora.
“Abbiamo costruito robot, computer, armate automatizzate, ma cosa succede se il nemico ruba la chiavi? Quando gli aggeggi che abbiamo costruito per difenderci vengono rivolti contro di noi” – Frank Woods
Da questa frase di Woods si articolava Black Ops 2, lasciando al suo seguito il compito di portare all’estremo lo stesso interrogativo.
Black Ops 3 proietta la storia ancora più avanti nel futuro, dopo aver mostrato in Bo2 i rischi legati alla dipendenza da computer e armamenti nell’ipotetico 2025. Questa volta il tema trattato riguarda la connessione tra uomo e macchina, richiesta per utilizzare le protesi cibernetiche in grado di potenziare fisicamente i soldati oltre che sostituire gli arti persi dai civili. I Black Ops del 2065 integrano dentro di sé strumenti quasi fantascientifici, come interfacce neurali in grado di entrare nei sistemi informatici, manovrare a distanza i droni, spegnere gli esoscheletri nemici e rivoltargli contro le loro stesse armi.
Il mondo che fa da scenario è praticamente ad un passo dall’universo cyberpunk in stile Deus Ex o Syndicate, dove si intrecciano corporazioni, organizzazioni criminali e squadre militari. La trama inizia in maniera molto simile ad Advanced Warfare, ma come anticipato, non si esplora la connessione tra tecnologia bellica e potere politico, virando sui rischi della conservazione dell’identità qualora la cibernetica renda l’essere umano interfacciabile come un computer.
Nonostante questi dilemmi emergano solo nelle fasi finali della campagna, si nota come le trame proposte da Craig Houston cerchino sempre di essere più mature rispetto la media, senza scadere nella trita retorica di Ghosts o Modern Warfare 3. In particolare i livelli conclusivi sono uno sconvolgimento narrativo in cui il giocatore viene completamente estraniato dal tema bellico e gettato in un contesto inusuale per la serie, sino a culminare ad una sorpresa nel finale che ribalta tutto quanto è dato per certo nella storia. La qualità dell’intreccio è consolidata dai numerosi dettagli presenti nei dialoghi e nei rapporti leggibili sui terminali della base, che, se riletti e rivisti a posteriori, confermano una meticolosa costruzione del colpo di scena.
Grande assente il sistema di bivi introdotto in Black Ops 2, che permetteva diramazioni nella trama introdotte in maniera molto interessante. Molte di queste spesso erano decise soltanto dalle prestazioni sul campo del giocatore, anziché da scelte da compiersi con la ristrettezza di un lancio di moneta. Questa aggiunta ampliava la rigiocabilità della campagna e settava un nuovo standard di narrazione e progressione della storia per gli sparatutto. Forse preferendo concentrarsi sulla maggiore durata i Treyarch hanno trascurato questo elemento, ma trattandosi di qualcosa di rivoluzionario nella categoria, il collegamento tra la prestazione del giocatore e lo sviluppo degli eventi, se ne sente la mancanza.
Il titolo denota un livello grafico abbastanza buono per la generazione di console attuali, unito ai 60 fotogrammi al secondo stabilissimi, che garantiscono, sia in campagna che in multigiocatore, una fluidità notevole.
“La guerra di Piero” – Fabrizio De Andrè
A livello di difficoltà normale si incontra già una buona sfida (superiore a quella di Advanced Warfare) che porta gli undici livelli della campagna a durare circa dieci ore, molte più delle canoniche cinque o sei, tipiche della serie.
Al suo completamento si sblocca una seconda campagna, con una sua sotto-trama, in cui percorrere gli stessi livelli ma secondo un ordine diverso e contro un esercito di zombie. Per quanto possa sembrare un espediente banale, i metodi di ingaggio e di movimento cambiano parecchio se ci si trova ad affrontare dei non-morti che ci corrono incontro anziché soldati e droni capaci di colpire dalla lunga distanza. Stare fermi sotto una copertura significherà diventare un bersaglio, portando il giocatore a cambiare radicalmente il suo approccio. Tutta la campagna inoltre è affrontabile in cooperativa per quattro utenti. I più temerari invece possono provare il livello di difficoltà “realistico” dove può bastare un singolo colpo per essere uccisi.
Non manca la modalità Zombie. Questa volta l’invasione viene affrontata negli anni 40 da un pugile disonesto (con il volto di Ron Perlman, famoso per Hellboy ed Il Nome Della Rosa), un poliziotto corrotto, una femme fatale omicida (doppiata da Heather Graham in originale) e un illusionista indebitato (doppiato da Jeff Goldblum di Jurassic Park) sullo sfondo di una città in stile art decò di Bioshockiana memoria. Nonostante sia possibile giocare anche da soli, la difficoltà è tale da suggerire una cooperativa tra quattro giocatori per avere sufficienti possibilità di vittoria. Un vero peccato che, al solito, sia presente una sola mappa nel gioco base.
“Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre” – Albert Einstein
Le abilità utilizzabili in singolo riguardano i poteri degli innesti cibernetici, divisi in tre rami: quelli prevalentemente fisici, per travolgere i nemici o muoversi più velocemente, quelli legati alle macchine come la violazione e il controllo remoto dei droni e quelli legati agli umani come lo sciame stordente o il posizionamento di finti bersagli. All’inizio è possibile equipaggiare uno solo di questi tre rami alla volta; questo significa che per il primo giro di campagna sarà opportuno alternare le dotazioni durante i livelli e prestare attenzione ai rapporti pre-missione, in cui viene segnalata la prevalenza di ostili umani o meccanici.
Il movimento potenziato per doppi salti, corse sul muro e scivolate è regolato (sia nel multigiocatore che nel singolo) da una barra posta sotto il mirino, che permette ogni combinazione fintanto che non si scarica.
Tra le altre novità è presente una base centrale da cui il protagonista parte prima di ogni missione, in cui è possibile personalizzare il proprio equipaggiamento, il proprio aspetto (è il primo Cod a permettere una protagonista femminile), comprare potenziamenti, leggere file sull’ambientazione, dati sulle missioni e usare i collezionabili raccolti per decorare l’ambiente. In questo segmento Treyarch ha dato altro valore aggiunto alla campagna di Black Ops 3: similmente a come in Black Ops 1 era possibile giocare all’avventura testuale Zork (nascosta nel menù principale) e al primo Dead Ops, qui si sblocca Dead Ops Arcade 2, un simpatico minigioco con visuale dall’alto, simile a Dead Nation.
“War Has Changed” – Solid Snake
Sul multigiocatore vengono integrate tutte le possibilità e le meccaniche viste nella campagna. Corse sui muri, doppi salti, nuoto e sparatorie subacquee, cibernetica. In aggiunta a questo possiamo scegliere un personaggio chiamato “specialista”, dotato di due abilità peculiari che lo differenziano come fosse una classe vera e propria.
Alcuni di questi specialisti dispongono di perk piuttosto comuni come l’acceleratore di movimento, un radar o armi speciali come arco balistico e lanciagranate, altri invece implementano idee piuttosto intriganti come il Glitch, che permette di riavvolgere l’azione riportando la posizione del giocatore indietro di pochi secondi per scampare agli agguati, oppure il Rejack che “rialza” un caduto nella stessa posizione della morte, senza passare per il respawn.
Ciascuna abilità è utilizzabile solo dopo essere stata caricata col tempo e le uccisioni, per evitare l’abuso continuo. Tuttavia non tutte risultano utili, lasciando un evidente squilibrio tra quelle più incisive (forti o universalmente utili) e le altre (deboli o soltanto circostanziali). La corazza cinetica, per esempio ritarda di ben poco la dipartita se si è sottoposti ad una raffica da caricatore pieno, non lasciando spesso abbastanza tempo per ribaltare l’esito dell’ingaggio. Lo stesso Glitch, essendo avviato con i due dorsali, si attiva troppo in ritardo per evitare buona parte degli abbattimenti, salvo usarlo con un anticipo raramente disponibile quando si gioca contro avversari rapidi e pronti (senza contare i casi di teletrasporto diretto davanti ad un nemico). Per contro, l’Annichilitore del Seraph garantisce una potenza di fuoco devastante, l’invisibilità dello Spectre è quasi sempre più utile rispetto la banale estensione dell’attacco ravvicinato per lo stesso personaggio, l’overdrive del Ruin è indispensabile in “cattura la bandiera” e si mantiene decisamente vantaggiosa in qualsiasi altra modalità (sia per complicare il puntamento nemico in Deadmatch sia per velocizzare rientro e pressing d’attacco nelle modalità obiettivo).
Le meccaniche dinamiche offerte dai doppi salti e dal parkour velocizzano gli spostamenti dando un grande senso di dinamicità alle partite, semplificando il raggiungimento di piani superiori, balconate e postazioni sopraelevate. Laddove prima si doveva per forza ricorrere ad una scalinata entrando in un palazzo, ora è sufficiente lanciarsi in azioni molto più temerarie. Quando queste possibilità però vengono impiegate in combattimento l’effetto non è così efficace; anche potendo sparare durante i supersalti e le corse sul muro, l’attacco non ne guadagna, lasciando un ruolo nettamente dominante al difensore piantato per terra che risulta avvantaggiato nella mira e può fare un “tiro al piccione” contro chi sta correndo alla carica lungo le pareti. Lo stesso fenomeno di camperaggio non scompare ma si adegua: i corridoi composti dalle pareti dei palazzi, su cui correre sopra il vuoto, diventano delle vere e proprie trappole per i parkouristi, spesso privati di vie di uscite e attesi al varco da un nemico sdraiato.
Considerazioni Finali
L’impressione generale è che queste meccaniche siano state spinte a forza dentro la giocabilità di Call of Duty, amalgamandosi bene dal punto di vista dei comandi ma non ribaltando quelli che sono equilibri di potere consolidati nelle strategie di gioco della serie, col risultato di non stravolgere schermi già visti ed incidere meno di quanto si vorrebbe nella varietà di gioco che Black Ops 3 puntava a raggiungere per rinnovarsi.
Nonostante Bo3 prenda netta ispirazione da sparatutto futuristici come Titanfall o Killzone, gli elementi mutuati non incidono come nei giochi di origine. La risoluzione dell’ingaggio dovuta alla raffica breve impedisce le evoluzioni dinamiche e le fughe rocambolesche di Titanfall, la calibrazione altalenante delle abilità degli specialisti non permette la stessa profondità e specificità delle classi di Killzone. Forse questa è la grande occasione sprecata del multigiocatore: il disporre di una quantità gigantesca di possibilità ma doversi trovare a far entrare tutto in un gioco con una struttura molto rigida come quella di Call of Duty che non ne permette piena espressione.
Eppure Treyarch dimostra di essere attenta ai dettagli; il bilanciamento delle armi è generalmente buono, salvo alcuni casi che probabilmente saranno aggiustati dalle patch, frutto del supporto che gli studi dedicano al pubblico in base ai suoi consigli. Anche la rapidità di abbattimento è calata sensibilimente dopo gli eccessi visti in Advanced Warfare, dove erano già i primissimi colpi di una raffica a decretare l’esito di un ingaggio tra due giocatori, segno che si è dato ascolto ai pareri dei giocatori.
Pro
- campagna longeva e ottimo colpo di scena finale
- buona rigiocabilità
- una rosa di abilità molto ampia da sfruttare
Contro
- Non tutte le novità sono adeguate nel multigiocatore
- mancano i bivi e i finali multipli di Black Ops 2