“Perché un uomo dovrebbe essere disprezzato se trovandosi in carcere cerca di evadere per tornare a casa? Oppure, se non lo può fare, se pensa e parla di argomenti diversi che non siano carcerieri e muri di prigione? Il mondo esterno non è diventato meno reale solo perché il prigioniero non lo può vedere.”
In poche righe, estrapolate dal suo saggio Sulle Fiabe, John R. R. Tolkien tratteggia una vera e propria apologia del sogno e della fantasia o, più in generale, di quella tendenza a rifuggire una realtà nei confronti della quale l’essere umano prova disagio. In parole povere, quell’escapismo di cui le sue opere – in primis Il Signore degli Anelli – furono all’epoca accusate, colpevoli di allontanare i lettori dalle responsabilità del periodo storico in cui si era consumata la seconda Guerra Mondiale.
La stessa polemica che oggi, dopo essere migrata dalla letteratura, serpeggia tra i detrattori del videogioco nonostante gli sforzi per nobilitare questo medium e fargli acquisire la considerazione che merita.
E poi c’è il Giappone, patria di Acquire, software house che, dopo il bizzarro beat ‘em up Akiba’s Trip: Undead & Undressed, approda su PS Vita e PS4 con Akiba’s Beat, JRPG ambientato nuovamente ad Akihabara: un intero quartiere notoriamente in fuga dalla realtà.
AKIBA, LA CITTÀ ELETTRICA
Asahi Tachibana è un adolescente alla soglia dei vent’anni. Mal disposto nei confronti di studio e lavoro, ha preferito abbandonare il college per andare a infoltire le schiere dei NEET (not engaged in education, employment or training), un fenomeno che in Giappone ha raggiunto ormai la portata di una vera e propria piaga sociale. La vita ad Akiba trascorre placida e serena come sempre tra fumetti e videogiochi, fino a quando l’incontro con una ragazza di nome Saki non scombussolerà la quotidianità del giovane ragazzo incastrandolo, senza volerlo, in un loop temporale che lo porterà a ripercorrere sempre lo stesso giorno, in un quartiere già di suo fuori dal tempo. La causa è da rinvenire nella presenza dei Delusionscape, spazi distorti in cui vengono proiettati nugoli di illusioni e sogni infranti degli abitanti della Città Elettrica. Tanto per fare un esempio, c’è quello generato dal proprietario di un negozio musicale che farebbe qualsiasi cosa pur di rivedere il quartiere tornare al suo antico splendore quando casse, chitarre e amplificatori la facevano da padrone. Raggiungere questi Delusionscape, però, non è certo semplice, soprattutto se si considera che il percorso che separa il giocatore da ognuno di essi passa per le ammorbanti linee di dialogo in stile visual novel e per la noiosa esplorazione di Akiba. Per quanto la geografia dell’iconico quartiere sia riprodotta fedelmente, esso appare del tutto spoglio di quelle bancarelle o dei negozi carichi di merchandise e ammennicoli vari che da sempre lo colorano e caratterizzano, lasciando al loro posto palazzoni grigi che si susseguono senza soluzione di continuità. Un passo indietro rispetto alla Tokyo iper–dettagliata vista in Persona 5 o in Tokyo Mirage Sessions ♯FE. Da quest’ultimo, in particolar modo, Akiba’s Beat riprende la rappresentazione visiva dei PNG, entità colorate che popolano una Akihabara quanto mai spenta e, paradossalmente, priva di vita; figurine statiche con cui non è possibile dialogare e che sembrano esser messe lì per un solo fattore estetico. Tutto questo rende ancor più frustrante il viaggio che conduce ai diversi Delusionscape, attraverso i quali si avrà accesso alla vera e propria esperienza di gioco. Al loro interno trovano spazio i dungeon che costellano Akiba’s Beat: antri infarciti di nemici e scrigni preziosi di cui fare incetta. Per quanto anche qui sia impossibile non notare una certa somiglianza con la serie firmata Atlus, le mappe di gioco risultano eccessivamente lineari mentre gli ambienti, per quanto accompagnati da una soundtrack di buon livello, non sembrano particolarmente ispirati.
Discorso a parte merita il sistema di combattimento che, nonostante tenti di emulare il Linear Motion Battle System tipico della serie Tales of, fatica a risplendere di luce propria. Questo non solo a causa di una certa semplicità negli scontri, che non risultano particolarmente ostici nemmeno ai livelli di difficoltà più elevati, ma soprattutto a causa del sistema AP (Action Points). Ogni singolo attacco, infatti, richiederà un costo in termini di punti azione ma basterà assestare un paio di colpi al nemico per veder esaurire la relativa barra, costringendo il giocatore a una pausa forzata di qualche secondo. Di conseguenza, il ritmo dell’azione, già gravato da una certa legnosità dei personaggi, viene bruscamente interrotto.
Infine è giusto spendere qualche parola per la modalità Image Mode. Una volta riempita l’apposita barra si potranno portare a segno attacchi devastanti senza tener conto degli AP, oltre alla possibilità, per ciascuno dei sette comprimari che si affiancheranno al protagonista, di eseguire un’abilità speciale di incredibile potenza. Semplificazione, questa, che annulla ulteriormente qualsiasi senso di sfida rendendo ancora più arduo collezionare le circa 60 ore richieste per raggiungere i titoli di coda.
PRO
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Sistema di combattimento ispirato alla serie Tales Of
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Buona longevità
CONTRO
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Dialoghi inutilmente prolissi
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Personaggi come al solito stereotipati
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Una Akihabara mai così spenta e priva di vita
Versione testata: PS4