Una fiaba action RPG, con tanti (ma tanti, e forse troppi) rimandi al mondo del fantasy anni ’80. Ravenlok ricorda dannatamente Alice nel Paese delle Meraviglie, al punto che sembra quasi di trovarsi in un remake voxel-like delle avventure di Lewis Carrol. Giungono anche altre contaminazioni dal mondo cinematografico, con quel bel ricordo alla Storia Infinita. Finito il momento dei tributi cinematografici, tocca parlare di videogiochi, e della nostra esperienza con l’ultimo titolo sviluppato dai canadesi di Cococucumber.
Siamo di fronte al capitolo finale di questa Voxel Trilogy, guidata da un filo conduttore stilistico ben individuato e declinato in 3 generi completamente diversi tra loro. Tutto è iniziato con uno shoot-and-slash dungeon crawler, per poi proseguire con un turn-based adventure, sino ad approdare ad action RPG in real-time. Una progressione che ha dimostrato la maturità di questa software house composta di sole 10 persone, e che siamo qui a celebrare in Ravenlok.
Purtroppo non sono tutte rose e fiori, questo lo dobbiamo purtroppo far presente. L’ultimo capitolo non giunge originale come i primi due, complice il riutilizzo di alcuni contesti narrativi già esplorati in altri campi. Anche il gameplay non riesce a spiccare il volo come dovrebbe, con una logica quest-mode che viene risucchiata nella spirale della ripetitività. Una vera e propria boccata d’ossigeno arriva dalla dimensione artistica, con un vero e proprio tripudio di creatività. Senza indugiare oltremodo, vi lasciamo alla nostra recensione di Ravenlok.
Prime impressioni: Alice si è ripersa di nuovo?
Un’avventura che vive a metà tra il sogno e la realtà, tra la favola e problemi della vita reale. Un premessa narrativa che funge solo da antipasto, per capire cosa si cela nel substrato degli eventi di gioco, e dare anche una senso alla caratterizzazione dei vari personaggi. Tra le inspirazioni di Ravenlok troviamo Alice nel paese delle meraviglie, La storia infinita e altri cliché tipici del genere fantasty degli anni 80. Cococucumber decide di chiudere così la sua trilogia made-in-voxel, dove il filo conduttore non è da ricercare nella storia e nei suoi protagonisti, ma è solo rappresentato dallo stile, il voxel appunto.
La storia narra le vicende di Kira, una giovane adolescente da poco trasferitasi dalla città alla campagna, per via di un’inaspettata eredità di una zia passata a miglior vita. Ed è in questo immobile che la giovane scopre un mondo magico, fruibile attraverso il tocco di uno specchio, che funge anche da espediente per introdurre il concetto di viaggio rapido all’interno del gioco. Il primo grande dispiacere arriva dall’assenza di una localizzazione in italiano, che rende la fruizione delle vicende narrate piuttosto complessa. Non esistendo il “parlato”, tutta la narrazione viene demandata alla presenza di balloon, il cui numero, talvolta, diventa esageratamente asfissiante.
Per carità, parliamo di una produzione indie per cui non considereremo tale aspetto come un punto a sfavore nell’economia del voto, ma è un dettaglio che dovete tenere a mente prima di mettere mano al portafoglio. Sarà anche il fatto che non siamo più abituati come un tempo, come succedeva con i “vecchi” Final Fantasy, ma l’Italia è diventata una piazza da non sottovalutare.
Il tocco ci catapulta in un mondo magico dove ad attendersi ci sarà subito una ennesima reinterpretazione voxel-like del famoso bianconiglio. Sarà lui che ci introdurrà alle meccaniche base del gioco, che configurano il genere come un’avventura carratterizzata da una timida vena action ed incontri e combattimenti in tempo reale. La narrativa, sicuramente, la fa da padrone per quanto la caratterizzazione dei personaggi non c’è mai sembrata eccelsa o approfondita.
Le meccaniche di gameplay: il regno delle quest
Dopo aver imbracciato lo scudo ed impugnato la spada, siamo subito pronti per affrontare i pericoli che ci offrirà Ravenlok, previo tutorial abilitante per prendere coscienza circa le nostre potenzialità. Tra queste annoveriamo utilizzo di abilità magiche peculiari, la possibilità di parare e schivare il colpo, un unico metodo per attaccare il nemico (senza possibilità di scegliere tra attacco leggero-medio-pesante e concatenari i colpi all’interno di chain e combo). La progressione e lo sviluppo del personaggio non si dirama all’interno di un preciso skill tree, come si è solito fare in ogni action RPG che si rispetti.
La crescita del potenziale giunge solo spendendo una sorta di valuta, ottenibile attraverso combattimenti e loot post missione. La spendita di denaro permette, quindi, di aumentare il livello della nostra Kira, e con esso il suo potenziale e la capacità di sopravvivenza. Se da una parte celebriamo la semplificazione del sistema di progressione, dall’altre l’incapacità di poter fare grinding come si deve, ben presto diviene un’immensa nota dolente in ottica “rinnovamento”, con l’esperienza di gioco che inizia a diventare troppo ripetitiva. Di fatto, dopo aver consumato l’intera fase di apprendimento nei momenti iniziali, quello che rimane è una sequela di quest primarie e simil-secondarie da completare.
Ogni missione è caratterizzata dalle dinamica “dell’andata e ritorno”. Ogni incarico prevede una serie di azioni da portare a termine in un determinato luogo, per poi fare ritorno dal suo fornitore. L’unica cosa che cambia in questa giostra è il numero task, il che ci porta a categorizzare le quest in tre filoni principali: portanti, primarie e secondarie. Tale suddivisione appena esposta riguarda il solo livello di complessità e non quello di importanza. Il concetto di missione facoltativa, infatti, non esiste in Ravenlok, in quanto tutte sono fondamentali per giungere al completamento del gioco.
Dimensione artistica: dategli un pixel e vi costruiranno un mondo
Cococucumber giunge al capitolo finale della sua trilogia, costruita cavalcando l’arte derivata dall’estrusione dei pixel. Parliamo del voxel, l’evoluzione di un unità elementare. Un cubo monocromatico, giusto per intenderci, che assieme ad altri è in grado di costruire mondi e paesaggi. Se pensiamo a cosa è accaduto in Minecraft è facile comprendere le potenzialità di questo caratteristico stile grafico. La sfida rispetto al passato è ben più ardua, visto che il mondo di gioco di Ravenlok e ben più variopinto rispetto agli altri due titoli dello studio canadese.
Il terzo capitolo è l’opera più complessa, la sfida più importante. Per quanto il gameplay e la storia non sono riusciti a catturare il nostro interesse, sotto il profilo artistico dobbiamo dare a Cesare quello che è di Cesare. Le ambientazioni e la caratterizzazione dei personaggi trasuda di originalità, con quel contesto fiabesco che accompagna tutta l’esperienza di gioco. Una favola ad occhi aperti, spigolosa al punto giusto, con delle sperimentazioni cromatiche azzardate che vanno a colorare questo mondo fatto da infiniti cubetti.
Riverbond fu una novità, con quel suo stile Minecraftlike che usciva fuori dal seminato per caratterizzare un hack’n’slash isometrico, con un ritmo fast paced. Echo Generation tenta di inserire anche un po’ di narrativa, deviando su un ritmo turn-based e puntando fortissimo sulla caratterizzazione di personaggi ed ambientazione. Ravenlok tenta di evidenziare i punti di forza dei primi due capitoli, nel tentativo di dimostrare una maturità che va ben oltre il gioco stesso. Ma è un tentativo, appunto, la strada verso il successo è ancora molto lunga, ma le premesse sono molto positive.
La recensione in breve
La Voxel Trilogy giunge al traguardo, e lo fa non nel miglior modo possibile. I troppi riferimenti al mondo del cinema fanno assomigliare Ravenlok ad un surrogato di elementi presi "in prestito", che riescono comunque a dialogare tra loro nel migliore dei modi ma non in grado di stimolare alcuna curiosità. La dimensione artistica evidenzia, ancora una volta, il grande talento della software house canadese. Si poteva chiudere in bellezza, ma così non è stato.
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Voto Game-Experience