Riot Games si lancia all’assalto degli sparatutto tattici con Valorant, conosciuto fino a qualche mese fa come Project A. Dopo aver attaccato il mondo dei giochi di carte con Legends of Runeterra, lo sviluppatore americano abbandona Demacia e la lore di League of Legends per lanciarsi a capofitto in uno dei generi più seguiti ma allo stesso tempo più ostici dell’industria del videogioco.
Un po’ Counter Strike, un po’ Overwatch, un po’ Rainbow Six: Siege, Valorant è una gemma dalle diverse sfaccettature. Collaudando un metodo di lancio della beta a dir poco geniale, Riot Games è riuscita a canalizzare l’attenzione di milioni di giocatori verso un titolo che, visto da fuori, potrebbe sembrare Counter Strike: Global Offensive con i colori. Non siamo molto lontani dalla realtà ma le implicazioni introdotte da Riot Games in Valorant rendono il titolo tutt’altro che prevedibile.
L’idea di smussare quelli che sono gli angoli più ostici della produzione Valve ed introdurre meccaniche più malleabili e concetti di gioco più moderni fanno di Riot Games un abile chef che mette insieme ingredienti provenienti dagli ambienti più competitivi e popolati dell’industria, miscelando saggiamente le componenti al fine di ottenere il perfetto cocktail di competizione, abilità e divertimento. Una premessa interessante e coraggiosa capace di attrarre a sé le luci dei riflettori. Durante la nostra prova su Valorant abbiamo avuto modo di saggiare quelle che sono le basi del progetto di Riot che verrà rilasciato come Free to Play durante l’estate di quest’anno.
Valorant prende quanto di buono c’è in Counter Stike, ne adotta la filosofia, lo stile ed il map design, rimescolandolo con componenti più “occidentali” come i ruoli dei personaggi, le utilità e le varie abilità da schierare in campo, richiedendo al giocatore oltre alla pura abilità, una capacità di adattamento e di composizione della squadra capace di decidere le sorti di una partita. Il primo impatto con Valorant è duro, impietoso ma comunque divertente, l’azione, pur essendo estremamente tattica e ponderata, si risolve nel giro di pochi colpi, non c’è via di scampo, nessun aiuto alla mira, nessun setup privilegiato se non le abilità del giocatore e del suo agente.
Al momento sono presenti un totale di dieci agenti, un roster che sarà destinato a crescere già in previsione del lancio, arrivando a dodici. Gli agenti rappresentano uno dei pilastri sui quali Valorant va a fondare il suo stile di gioco, essi presentano infatti tutte le componenti tipiche di un Hero-Shooter, tre abilità tattiche da acquistare durante la fase antecedente all’inizio di un round ed un’abilità finale che si carica durante la partita. Gli eroi si distinguono in termini di abilità, difficile in questo caso applicare il concetto di tank, healer e dps. Valorant propone infatti un modello più soft di quello che è il concetto eroe puro senza però trascurare l’aspetto deterministico del singolo personaggio, ragion per cui l’utilità degli agenti può essere un aiuto devastante se utilizzata nel modo corretto o può dimostrarsi completamente inutile. Le fasi della partita rispecchiano quello che è il modello proposto da Counter Strike, una fase di acquisto precede l’inizio di ogni turno, è possibile fare scorta di scudi, armi ed abilità per poi lanciarsi in battaglia. Anche l’arsenale proposto da Riot Games rispecchia quella che è la produzione di Valve, fatta eccezione per un fucile d’assalto non presente in Counter Strike. Anche il gunplay strizza l’occhio allo sparatutto tattico made in Valve avvicinandosi però al mondo più “casual” grazie alla presenza, in quasi tutte le armi, della possibilità di mirare attraverso mirini ottici o semplice iron-sight. Quello dei mirini al di fuori dei fucili di precisione o dei DR potrebbe far storcere il naso ai puristi del genere ma in realtà cerca di avvicinare i giocatori provenienti dai mondi come Overwatch e Rainbow Six con più accortezza.
Anche il design delle mappe ricorda moltissimo quanto già visto su Counter Strike, le somiglianze con il titolo Valve iniziano infatti a farsi preoccupanti man mano che si approfondisce il titolo. Una piccola riflessione a questo punto è lecita. Riot Games sembra aver infatti colto a piene mani quelli che sono i punti di forza di altre produzioni riuscendo in qualche modo a far convivere il tutto in un equilibrio che speriamo non si riveli precario al momento dell’arrivo di nuovi contenuti. Ciò che preoccupa è la preponderanza, quasi a voler “copiare” quelli che sono elementi vitali di Counter Strike, visto da fuori potrebbe infatti sembrare un semplice reskin del titolo Valve quando in realtà c’è molto di più. Una delle criticità che emerge analizzando Valorant è il modo in cui elementi provenienti da mondi completamente diversi da quelli degli sparatutto tattici si ritrovino in qualche modo a “soffocare” sotto le rigide regole del genere, piegandosi talvolta in una forma distorta e poco convincente di quelle che sono meccaniche invece ben funzionanti. Anche il concetto di Eroe viene infatti distorto e sacrificato alla rapidità degli scontri che si concludono molto spesso con un singolo colpo alla testa, incrinando quello che è invece un concetto più cementato in Overwatch e titoli simili. Se infatti da un lato Valorant sembra essere la risposta a coloro che cercano di avvicinarsi a qualcosa di fresco ed incredibilmente competitivo, dall’altra si evince una sorta di “compitino” svolto in base a delle ricerche di mercato, freddo e poco ispirato. Due facce della stessa medaglia che probabilmente impareranno a convivere con il tempo e con il supporto post-lancio, resta l’incertezza e l’eccitazione di un possibile titolo capace di rivoluzionare il mondo degli sparatutto competitivi.