Che da Resident Evil si possa trarre un derivato, non c’è niente di male e di cui stupirsi. Questa pratica infatti, se ben gestita, può regalare titoli di qualità, che espandono una serie e ne reinterpretano alcuni aspetti in modo interessante. Basti pensare a Mario Kart, Halo Wars, Metal Gear Rising dei Platinum, Final Fantasy Tactics o World of Warcraft. Ci sono anche esempi negativi però, come Umbrella Corps o Metal Gear Survive, ma dopo averne provato la Beta possiamo rassicurarvi che Project REsistance non rientra tra questi, per i motivi che ora andremo a spiegare.
Lo spinoff come pratica è stato talvolta gestito in malo modo da Capcom in passato, basti pensare a Operation Racoon City o Umbrella Corps. Il primo infatti era l’ennesimo sparatutto, uscito in un periodo in cui gran parte dell’offerta videoludica stagnava in quella direzione per seguire la moda, per giunta in un momento in cui persino la serie principale di Resident Evil veniva declinata più in quel senso, che non per il suo tipico aspetto survival. Umbrella Corps invece era un gioco realizzato in modo sciatto e approssimativo, con molte risorse riciclate e adattate in malo modo.
Project REsistance non rientra in nessuno dei casi sopracitati. Tanto per cominciare il filone principale di Resident Evil è tornato ad essere un survival horror già da un paio di anni (REVII e RE2Remake) e Capcom non ha indicato di voler cambiare la cosa, delegando apposta ai derivati il compito di sperimentare o prendersi licenze poetiche. Inoltre Project RE rimane saldamente ancorato a due aspetti caposaldo di Resident Evil: ovvero l’ambientazione zombie e l’aspetto survival. Il motivo che aveva fatto storcere il naso a molti all’annuncio di Metal Gear Survive era infatti il volo pindarico necessario per giustificare degli pseudozombie nella serie di Hideo Kojima, cosa qui non necessaria, essendo ogni singolo aspetto perfettamente tematico. L’idea di creare un survival game 4vs1 inoltre andrebbe a colmare una lacuna, dato che le alternative sono soltanto due (Venerdì 13 e Dead By Daylight) e lasciano molto a desiderare su diversi aspetti importanti come varietà e qualità grafica. In particolare sul secondo punto, Project REsistance usa il nuovo RE Engine con risultati soddisfacenti.
Il gioco verte su di un gruppo di persone rapite dalla Umbrella Corporation per fare da cavia nel testare l’efficacia delle sue creature e gli effetti del T-virus sui prigionieri. I protagonisti dovranno quindi aprirsi una via di fuga in mezzo ad alcune zone di Raccoon City, cercando di scampare a tutti gli ostacoli che l’orchestratore dell’esperimento, Daniel Fabron, gli scaglia contro. Già dalla stanza pre-partita, le atmosfere e le musiche cercano di riprodurre la parte riuscita meglio del primissimo film di Resident Evil, ovvero quella tensione claustrofobica provata dai personaggi nel ritrovarsi chiusi in un luogo infestato da creature ostili e meccanismi mortali. Una partita nei panni delle cavie ricrea questo clima opprimente, enfatizzando anche nella giocabilità l’aspetto chiave dei survival horror. A nostra disposizione ci saranno infatti limitatissime risorse, pochi oggetti e ancora meno armi, molte delle quali ben lontane dal farci sentire dentro uno sparatutto (spranghe, coltelli, una pistola o un fucile a pompa). Il gruppo inoltre è composto secondo ruoli classici, ma ben amalgamati, in modo tale che anche personaggi votati al combattimento abbiano abilità studiate in funzione degli altri, per evitare finiscano a giocare da soli ignorando gli altri (tipo Tyrone, che può incoraggiare i suoi alleati, diminuendo i danni subiti). Per quanto non centrale, anche la sparatoria è gestita ansiogenamente: il sistema di puntamento e sparo restituisce molto bene l’effetto di pesantezza nell’usare un fucile, così come la difficoltà nel puntare alla testa di uno zombie, specie mentre sta afferrando un alleato. Si crea quindi un’azione convulsa e angosciante tipica dei film di zombie dove i personaggi sono delle persone qualunque. Oltre a questo sarà anche necessario svolgere compiti secondari per aprire le porte e proseguire all’area successiva di ciascuna mappa, sino all’uscita che garantirà la fuga e la vittoria al gruppo. La presenza di un cronometro complica ulteriormente le cose, segnando un conto alla rovescia entro cui bisogna scappare, il quale può essere esteso qualora si sconfiggano i nemici scagliati dall’orchestratore o accorciato qualora invece se ne subisca l’offensiva. Questo elemento è necessario data la natura PVP del titolo, in quanto altrimenti si rischierebbe di creare situazioni di stallo tra orchestratore e cavie.
Il perfido Fabron invece gioca da solo, ma avendo a disposizione molte risorse per impedire la fuga delle cavie. La prima è l’uso delle telecamere, con cui può seguire costantemente il gruppo. Queste offrono una visuale su ogni stanza, ma possono essere danneggiate e disattivate, limitandone l’offensiva. L’orchestratore infatti può dislocare nemici e trappole soltanto dove ci sia una telecamera attiva, ritrovandosi tagliato fuori in caso qualcuno decida di usare i suoi preziosi proiettili per distruggere uno di questi dispositivi (o qualora la hacker usi la sua abilità speciale).
I nemici e le trappole possono essere creati usando dei punti spendibili in modo limitato e piazzati lungo la mappa a piacere, aggiungendo un pizzico di strategia alla Dungeon Keeper, oltre che di varietà. Come non bastasse Fabron può sfruttare un dispositivo di controllo remoto delle creature, che tradotto significa prendere letteralmente il comando di uno zombie o di un tyrant e lanciarsi in battaglia, salvo poi tornare alla modalità telecamera in caso di sconfitta. Di modi per raggiungere il suo scopo ce ne sono quindi molti, sia basati sull’eliminazione diretta, sia sull’azzerare il cronometro. Giocare come orchestratore consente diverse opzioni, diversificando bene ciascuna partita disputata come antagonista. Unico aspetto a non convincere è la possibilità di piazzare nemici e trappole ad azione in corso, mentre le cavie stanno già combattendo contro qualcuno. Questo arriva a complicare forse troppo le cose per il gruppo, ritrovandosi magari una mina attivata di colpo dove prima non c’era nulla e proprio mentre si sta scappando da uno zombie. Bisognerà quindi verificare in sede finale se l’esperienza sia complessivamente bilanciata, lasciando quindi l’unico interrogativo circa la qualità di questa produzione in quello che è ormai il problema tipico dei multigiocatore asincroni 4vs1.