Per chi, come me, ha qualche anno sul groppone ed è cresciuto a pane, PlayStation 2 e survival horror, la possibilità di recensire Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse ha rappresentato una piacevole possibilità. Considerato poi che questo episodio, originariamente rilasciato nell’oramai lontanissimo 2008 su Nintendo Wii, non vide mai la luce nel nostro continente, i miei sensi di ragno hanno iniziato a tittillare come impazziti.
Ed è così che ci accingiamo a verificare se, nonostante l’inevitabile scorrere del tempo, quello che è ritenuto, giustamente direi, uno dei migliori capitoli della saga, risulti ancora godibile e giocabile ben 15 anni dopo, nell’anno domini 2023. Immergiamoci dunque in queste inquietanti atmosfere giapponeseggianti, grazie alla nostra recensione di PROJECT ZERO: Mask of the Lunar Eclipse.
Ritorno all’isola di Rogetsu, 15 anni dopo
Quella di PROJECT ZERO: Mask of the Lunar Eclipse, meglio conosciuto in terra natia come Fatal Frame 4, è una storia alquanto bislacca. La proprietà intellettuale del franchise, nato originariamente sull’ecosistema PlayStation 2, venne acquisita da Nintendo che rese, di fatto il brand una esclusiva della allora ammiraglia Nintendo Wii.
L’approdo di Wii U sui mercati vide questo episodio specifico come oggetto di migrazione ma, sfortunatamente per noi europei, questo quarto episodio non varcò mai le soglie del paese del sol levante. Ed eccoci qui dunque, nell’anno domini 2023, a mettere le mani su una versione rimasterizzata del titolo originale.
Seguendo le orme di quanto fatto, un paio di anni fa, in occasione di PROJECT ZERO: Maiden of Black Water, questo quarto capitolo giunge su piattaforme Microsoft, Sony, oltre che, ovviamente, PC e Nintendo, dotato di un comparto grafico aggiornato e di una UI completamente aggiornata e rivista.
Misteri e fantasmi (da catturare)
Gli eventi narrati in PROJECT ZERO: Mask of the Lunar Eclipse prendono atto dieci anni dopo la misteriosa sparizione, avvenuta nel corso del Rogetsu Kagura Festival, un evento folkloristico che si svolge, per l’appunto, ogni dieci anni, atto a celebrare la memoria dei defunti, sull’isola di Rogetsu, nel sud del Giappone, di ben cinque ragazze.
Dopo una assenza di qualche giorno, le stesse furono ritrovate, completamente all’ignaro di quanto loro successo durante la loro assenza, conservando della stessa, solo il flebile ma orrorifico ricordo di una donna mascherata che danzava al ritmo di una sinistra melodia.
In questi dieci lunghi anni, ben due delle cinque ragazze sono morte in circostanze misteriose, rinvenute entrambe rannicchiate, con le mani protruse sul viso, atte a celare un incessante pianto. Le ragazze sopravvissute decideranno dunque di tornare, a dieci anni di distanza, sulla funesta isola, in concomitanza con la nuova edizione del festival.
La loro presenza in loco sarà la miccia che innescherà una serie di sinistri eventi, tra i quali cercheranno di districarsi, provando a svelare il mistero che avvolge le loro vite da tanto, decisamente troppo, tempo.
Combattere? No…Fotografare!
Nei panni di vari personaggi, ci troveremo dunque ad esplorare, secondo dettami già straconosciuti, ed ascrivibili a classici del genere come Clock Tower o, per l’appunto, PROJECT ZERO, gli spettrali ambienti dell’isola di Rogetsu. A differenza, però, del classicone made in Capcom, in PROJECT ZERO: Mask of the Lunar Eclipse, non avremo alcuna arma a nostra disposizione, potendo fare affidamento solo sulla nostra rapidità per evadere dagli attacchi nemici e su di una macchina fotografica capace di infliggere danni agli spettrali abitanti dell’isola.
Si perché, man mano che avanzeremo nel playthrough, entreremo in contatto sempre più di frequente con gli abitanti ultraterreni dell’isola, pervicaci custodi dei segreti celati dalla stessa. L’esplorazione ambientale ci metterà in contatto, il più delle volte, con una serie di rompicapi mai eccessivamente difficili o poco intuitivi, inseriti come riempitivo di qualità tra l’uno e l’altro “scontro” ectoplasmatico”.
Saremo dunque tenuti a catturare l’anima dei nostri avversari grazie alla Camera Obscura, una macchina fotografica creata grazie a dei materiali presenti sull’isola di Rogetsu, capace di impressionare le pellicole inserite volta dopo volta, con le immagini degli spiriti maligni ivi presenti.
Oltre ad avere belle, ma inquietanti, istantanee dei nostri cari fantasmi, la camera obscura riuscirà nel compito di infliggere danni, in maniera via via crescente, ai suddetti non-morti, aiutandoci dunque a fare piazza pulita degli astanti ultraterreni che ci si pareranno davanti.
Fosse tutto qui, il gameplay risulterebbe abbastanza monotono, trovandosi a dover semplicemente fotografare ogni elemento ultraterreno presente nelle varie location. Ma invece, fortunatamente direi, non sarà tutto così semplice.
Approcci fotografici, e non solo…
Se, infatti, almeno inizialmente sarà vero quanto appena affermato, proseguendo nel playthrough, ed imbattendoci in fantasmi, demoni o spettri sempre via via più coriacei, non sarà più sufficiente scattare loro delle foto perfette per averne ragione. La Camera Obscura, infatti, al pari di una arma di un qualsiasi shooter, potrà essere potenziata mediante il ritrovamento di cristalli azzurri, ottenibili tanto mediante una accurata esplorazione ambientale, quanto effettuando degli “scatti perfetti”.
Catturare, infatti, l’immagine di uno spettro, farà si che quest’ultimo emetta una serie di frammenti spirituali e, se saremo abbastanza veloci da fotografare lo spettro con la scia di questi frammenti, scateneremo il cosiddetto “Fatal Frame“, uno scatto dall’elevatissimo potere, capace di infliggere ingenti danni al nostro avversario di turno.
Dopo aver raccolto un determinato numero di cristalli azzurri potremo aumentare la velocità di scatto, la capienza del rullino o il danno inferto dal singolo scatto. In aggiunta a ciò, sarà possibile rinvenire, sparsi nel mondo di gioco, componenti aggiuntivi come obiettivi particolari che, equipaggiati, amplieranno talvolta lo spettro di azione della Camera Obscura.
In aggiunta, sarà possibile “caricare”, mediante l’utilizzo di gemme viola, delle particolari tipologie di scatto, al fine di massimizzare il danno contro determinati nemici. La possibilità di scegliere tra diverse tipologie di pellicole rappresenterà una ulteriore variazione sul tema, permettendoci di affrontare, così, nemici altresì invulnerabili a scatti fatti con le pellicole standard.
A completamento, per dare un tocco “fotografico” al tutto, premendo il tasto L2 potremo trattenere il fiato e dare maggiore precisione allo scatto, concatenando una sequela di punti bonus al cui aumento corrisponderà un danno direttamente proporzionale allo spettro che avremo di fronte.
Niente di male, per un gioco di appena quindici anni fa.
Il passato sopravvive al presente
Ed è appunto sulla qualità di questa produzione, datata 2008, che ci concentriamo nell’ultima parte di questa recensione. Le tante vicissitudini susseguitesi nel corso degli anni, han fatto si che questo episodio, non vedesse mai la luce, fino all’anno scorso, al di fuori del Giappone. Anche il seguito, Maiden of the Black Water, subì la medesima sorte, privando una nutritissima fanbase di due titoli di tutto rispetto.
L’opera di riproposizione, tanto del sequel, quanto di questo PROJECT ZERO: Mask of the Lunar Eclipse, ci ha dato la possibilità di provare con mano, queste due perle videoludiche ingiustamente dimenticate, anche su console di ultima generazione. Come è lecito aspettarsi, l’opera di remaster ha portato, in nuce, un comparto grafico nuovo di pacca, capace di svecchiare, ma non di rivoluzionare, due produzioni che, al netto di una innegabile qualità, mostravano in modo palese ed evidente i segni del tempo.
Troviamo dunque un nuovo sistema di illuminazione che, unitamente ad una conta poligonale maggiorata rispetto alla versione wii, coadiuvata a sua volta da una qualità delle textures di gran lunga superiore, ci permette di rendere quanto meno presentabile un prodotto che però, tocca comunque dirlo, non ha mai fatto della grafica spaccamascella il suo principale appeal.
Nonostante, però, tutti questi accorgimenti, è impossibile non notare come il sistema di controllo, unitamente ad una telecamera non sempre al passo con i tempi, ci renda evidente la natura “archeologica” di questo episodio del franchise di PROJECT ZERO. Pur essendo stato debitamente “svecchiato”, è incontestabile la natura old-gen del titolo: a livello personale, il tutto non ha dato fastidio, ma capisco che potrebbe stridere con una sensibilità ludica strettamente moderna o contemporanea.
Accuratezza grafica, ma non solo
La saga tutta di PROJECT ZERO, ha fatto delle atmosfere cupe e disturbanti, oltre che di una narrazione allo stato dell’arte, la tara distintiva del suo successo. Questo PROJECT ZERO: Mask of the Lunar Eclipse non fa eccezione, mettendoci al cospetto di una trama di primissimo livello, innestata in un mondo di gioco talmente cupo e disturbante da risultare conturbante e, alla fine della fiera, additivo o affascinante.
La tensione, mantenuta costante da un comparto musicale – atmosferico che fa da accompagnamento, senza mai soverchiare quello narrativo, sarà il fil rouge che ci condurrà, a forza di jumpscares mai telefonati e di primissimo livello, alla fine del playthrough, lasciandoci increduli, in una sospensione del pathos che ci turberà ben oltre le tredici ore necessarie per completare, a difficoltà normale, l’arco narrativo.
Un tocco di classe, non da poco, è la resa grafica filtrata da una “grana” come ad emulare il rumore analogico derivante dallo sviluppo di rullini ad alti iso, in condizioni di bassa luce, per meglio riprodurre l’utilizzo di una macchina fotografica analogica.
Sempre parlando di accorgimenti “fotografici” spicca, rispetto alle versioni Wii e Wii U, la presenza di una modalità fotografica che ci permetterà di trasformare qualsiasi location del gioco in un vero e proprio set fotografico.
Potremo infatti disporre gli spettri ed i fantasmi fino ad ora scoperti, decidendone postura ed atteggiamento, nella scena, posizionando poi la macchina fotografica in qualsiasi punto della stanza, al fine di ottenere una vera e propria foto “posata” in puro “Fatal Frame mood”.
Il tutto è completato, ovviamente, dalla possibilità di personalizzare lo scatto aggiungendo o sottraendo grana o distorsioni, intercambiando le lenti raccolte durante il playthrough per ottenere un risultato esteticamente e tecnicamente appagante e dando, dunque, sfogo alle velleità da novelli Cartier Bresson residenti in noi.
La recensione in breve
La rimasterizzazione di Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse ci permette di giocare, per la prima volta, ad uno dei migliori capitoli di tutta la saga. Tensione ed emozioni a non finire, per quanto innestate in un gameplay che inizia a sentire il peso degli anni, ci regalano una esperienza che difficilmente dimenticheremo. La modalità foto, poi, per quanto spartana, arricchisce ulteriormente l'offerta di gioco: consigliatissimo.
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Voto Game-Experience