Se il nome Ahr Ech non dovesse suonarvi famigliare, c’è solo una spiegazione: non avete mai provato Pepper Grinder. Non certo una tripla A attesa da milioni di giocatori, né tantomeno un indie dalla nomea imponente: piuttosto, uno di quei titoli che appare un po’ in sordina, conquista rapidamente una nicchia specifica di giocatori e poi, in tempo ancor minore, genera dipendenza.
Sì, perché Pepper Grinder è soltanto all’apparenza l’ennesimo platform per l’ammiraglia di casa Nintendo, un piccolo mostriciattolo che dietro una pixel art tanto bella quanto già vista e delle musichine accattivanti nasconde un anima insolita e diabolica, che mescola le vecchie piattaforme di Mario a meccaniche molto più vetuste che sì, richiamano alla memoria il mai troppo lodato Dig Dug. Quindi sì, sulla carta una nuova piccola perla per la sempre arrembante Nintendo Switch: i motivi, nella nostra recensione di Pepper Grinder.
Pepper Grinder, un titolo che scava a fondo
Diciamocelo chiaramente: nella vorace formula dell’“ancora un minuto e poi smetto” di Pepper Grinder, il comparto narrativo rappresenta – anche abbastanza comprensibilmente – l’equazione più debole. Un po’ come accadeva in una qualsiasi delle mille declinazioni del sempre ottimo Super Meat Boy, la narrativa del titolo Ahr Ech altro non è che una cornice leggermente pretestuosa per dare una collocazione “base” alle gesta che andremo a compiere. Ovviamente, sudando le proverbiali sette fatiche.
Il punto, pertanto, è estremamente semplice: la nostra eroina si sveglia da un inaspettato sonnellino per scoprire che i suoi numerosi tesori sono stati impunemente rubati. Quando tutto sembra perduto, dal nulla appare quella che sarà l’arma della nostra vendetta, un mastodontico trapano. Che servirà a scavare buche al suolo, questo è abbastanza palese, ma ancor più importante si rivelerà prodigioso per ridurre a brandelli ogni disgustoso mostro che si frapporrà nel suo cammino: quindi pronti via, è tempo di reclamare ciò che è nostro e di partire all’avventura. Se detta in questi termini può sembrare abbastanza semplicistica, il mood scanzonato e leggero di Pepper Grinder ne rappresenta senza dubbio alcuni la chiave di lettura privilegiata. Semplicità ed immediatezza, l’equivalente – metaforicamente parlando – ludico del WYSIWYG informatico che, manco a farlo apposta, si traduce in un assenza praticamente totale di linee di dialogo. Una scelta azzardata, forse, ma niente di meglio per catapultare da subito il giocatore nel vivo dell’azione: che, l’avrete capito, tutto fa tranne che tardare a palesarsi.
Il control schema di Pepper Grinder, dal canto proprio, fa di tutto per mettere il giocatore a proprio agio. Che, badate bene, non significa affatto essere accomodante o semplificare la vita del giocatore nel corso del playthrough: semplicemente, è essenziale, immediato ed intuibile. Il male, quello vero, arriva comunque. Come in tutti i platform da una trentina d’anni a questa parte, anche in Pepper Grinder si corre e si salta, ma – badate bene – con la pressione del dorsale ZR si attiverà la magia della nostra enorme trivella. Con cui sì, possiamo innanzitutto liberarci della minaccia nemica (boss fight pazzesche incluse), ma capirete dopo pochi scenari che non è certo questo l’aspetto più complesso del titolo.
Parliamo di trivellazioni, insomma, o più in generale di come si scava secondo Ahr Ech. Questa operazione è possibile soltanto in aree specifiche del terreno, che si differenziano dalle altre per un tono più chiaro (idealmente, la sabbia si trivella facilmente, la roccia purtroppo no). Premendo il tasto B mentre si scava sarà possibile impartire uno scatto alla nostra eroina: una manovra cruciale quando, ad esempio, sarà richiesto di attraversare alcuni varchi tra zone sabbiose distinte, oppure fare uno scherzetto ad un nemico che cammina sopra la nostra testa, ignaro della sorpresa che sta per palesarsi.
In effetti, messa in questi termini, la difficoltà di Pepper Grinder non sembra nulla di trascendentale. Ok, ci sono nemici e boss fight da fronteggiare, unite a sezioni platform “di scavo” che richiedono un minimo di coordinazione; ma niente di troppo complesso, vero? Beh, piano con l’entusiasmo e chiariamo subito un paio di cose. Una volta attivato la trivella, i controlli di Piperita diventano volutamente più complessi e meno precisi, fattori che richiedono indubbiamente un rodaggio iniziale non certo impossibile ma, grazie ad un level design squisitamente subdolo, rendono alcune sezioni tutto tranne che immediate. Una volta avviata “la trivella” non sarà possibile fermarsi, a patto di sbucare dal terreno e uscire dalla sabbia: il che, ormai l’avrete capito, ci rende più esposti alle attenzioni nemiche. Ma non che sottoterra si stia più tranquilli: tra lava che scorre a fiotti, radici con spine acuminate da cui tenersi a debita distanza e altre trappole di varia natura, lo ripetiamo, non sarà di certo qualche mostriciattolo a rendere la vita così complicata.
Una trivella di emozioni
In perfetto mood old school, per completare ciascun livello avremo a disposizione quattro tentativi, falliti i quali verrà automaticamente riavviata la sezione corrente. In altre parole, potremo subire un massimo di quattro colpi prima del riavvio, a meno di recuperare occasionalmente delle “extra life” che aumentano il computo di tentativi a otto. Inutile dire che, in brevissimo tempo, persino otto “barrette di salute” vi sembreranno troppo poche: fortunatamente, a mitigare l’incubo che attende Piperita – quantomeno in parte – contribuiscono i vari checkpoint posizionati sadicamente all’interno di ciascun livello. Utilissimi, non c’è che dire, ma aspettate a cantare vittoria.
A rendere l’avventura più pimpante ci pensano gli immancabili collectibles, il miele per le api (leggasi i completisti più incalliti) e per gli amanti del perfect score. Che le cinque monete pirata nascoste negli scenari siano l’ennesimo omaggio agli stilemi platformiani in stile Mario è un palese segreto di Pulcinella, ma riuscire a portarle tutte a casa, alle volte, richiederà un surplus di intuizione e di ingegno che, di base, non ci si aspetterebbe da una tipologia di gioco come quella di Pepper Grinder.
Anche perché, di ingegno, ne sarà richiesto davvero parecchio per riportare a casa il maltolto. Nemici e “sabbia da trivellare” rappresentano la componente base del titolo, a cui vanno ad aggiungersi altri elementi che mescolano pesantemente le carte del gameplay regalando un’esperienza variegata e appassionante quanto basta. Ci saranno armi da fuoco da utilizzare in modi disparati, chiavi da recuperare, sezioni millimetriche dove il tempismo d’esecuzione è fondamentale e, perché no, altre in cui ci ritroveremo a saltare dalla sabbia per appendersi a ganci sospesi su cui oscillare per poi, sempre con precisione estrema, tuffarsi nuovamente con la trivella a massima velocità.
Il che, come più volte ribadito, porta ad una conclusione abbastanza scontata: Pepper Grinder appartiene a quella famigerata genia del Trial&Error, titoli in cui la curva della difficoltà è “matematicamente curva” soltanto all’inizio per poi divenire una retta inclinata pericolosamente verso le vette peggiori. Non bastasse il platforming serrato, le boss fight (alcune delle quali in bilico tra follia e ispirazione) portano il tutto a livelli esponenziali: e, vi foste venuto il dubbio, non serve procedere troppo nel playthrough per accorgersene.
Quindi sì, non lasciatevi trarre in inganno da quell’abito fascinoso e vagamente retrò di Pepper Grinder. I suoi pixel grandi come tovaglioli, quello stile scanzonato e adorabile, le sue musichine che ti entrano in testa per serate intere incarnano il migliore dei travestimenti per un titolo che, a conti fatti, nasconde sin troppe sorprese. La somiglianza con quel mostro sacro di Meat Boy, nonostante le meccaniche di gioco radicalmente differenti, vi basti come monito non appena stringerete Switch tra le mani, curiosi di vedere in che guaio si andrà a cacciare l’adorabile Piperita. Poi per carità, avremmo gradito qualche bug di meno – alcune collisioni imperfette ci hanno condannato al più infimo dei gironi infernali – e, a tratti, qualche rifinitura ulteriore. Ma, trattandosi di un’improbabile avventura a bordo di una gigantesca trivella, possiamo ritenerci soddisfatti.
VERSIONE PROVATA: Switch
La recensione in breve
Un platform come si facevano una volta, con un animo sadico Trial&Error, una fortissima reminiscenza di Dig Dug e un buon paio di strizzate d’occhio al caro vecchio Mario. Metteteci un gameplay frenetico e assuefante, delle meccaniche “easy to play, hard to master” e, stilisticamente parlando, un tripudio di pixel e colori che gli amanti dell’old school non potranno non notare. Pepper Grinder è tutto questo, con un coefficiente di difficoltà che a tratti vi farà rimpiangere l’ufficio e, al netto delle belle cose, qualche bug a cui avremmo rinunciato volentieri. A scavare nella sabbia, ogni tanto, si trovano anche delle belle perle…
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Voto Game-eXperience