Nel variegato panorama del videogioco moderno, lo sappiamo tutti, i modi per stupire non mancano mai. C’è chi punta tutto sull’impatto visivo, per regalare la proverbiale esperienza “stacca mascella” più realistica della realtà; c’è chi, invece, cerca di rifuggire dalla mediocrità aggrappandosi a meccaniche consolidate, per poi rielaborarle in modo unico e distintivo. E poi, un po’ dal nulla, c’è Mandragora: Whispers of the Witch Tree, un titolo “obliquo” che si muove a metà strada tra suggestione artistica e rigore ludico: una piccola sorpresa che unisce la struttura ricorsiva del metroidvania alla brutalità, oseremmo dire quasi sistemica, del soulslike. Non certo una formula innovativa, questo è chiaro, ma forte di un’interpretazione personale e decisa, in grado di incantare anche lo sguardo più esigente ancor prima che si passi al sibilo delle lame.
Sviluppato dal team ungherese di Primal Game Studio e pubblicato da Marvelous, Mandragora: Whispers of the Witch Tree è un titolo suggestivo e profondo, non privo di qualche imperfezione ragionevolmente soppesata sia da una direzione artistica di sicuro impatto, sia da una solidità meccanica invidiabile per una produzione semi indipendente. Il tutto, per creare un’avventura memorabile che merita davvero di essere vissuta.
Mandragora e il richiamo della Tenebra
Cuore scuro dell’universo di Mandragora è Entropia, un’entità miasmatica intrisa di magia oscura che divora progressivamente la realtà corrompendone gli abitanti. Un mondo decadente e oramai senza speranza, solcato dai passi di un Inquisitore il cui incarico è indagare e trovare un’estrema soluzione a questa piaga – il tutto mentre il resto del mondo viene decimato da superstizione, cannibalismo e fanatismo. Una premessa narrativa tanto solida quanto accattivante, che il team di sviluppo affida alla ben nota penna di Brian Mitsoda (celebre, tra le varie cose, per il proprio lavoro Vampire: The Masquerade – Bloodlines), con esiti più che soddisfacenti: lore stratificata quanto basta, scelte di dialogo non lineari, personaggi stratificati e finali multipli che premiano l’attenzione al dettaglio.
Tuttavia, e questo è un grande pregio, per quanto profonda e appassionante la narrazione non ruba mai la scena al gameplay, ma si “limita” ad accompagnarlo con discrezione, eleggendo a uniche guide l’esplorazione e il desiderio di scoprire cosa si celi dietro ogni rovina, sotto ogni tomba. O, in un senso più assoluto, tra i pochi resti riconoscibili di un’umanità ormai disgregata.
Metroidvania? Soulslike? Entrambi.
Mandragora è un action RPG a scorrimento in 2.5D, che – come ampiamente prevedibile – prende in prestito gli elementi chiave da due dei generi più amati e difficili da domare: la mappa labirintica ed interconnessa dei metroidvania da un lato, la spietata severità dei soulslike dall’altro. La progressione si snoda in modo organico ed estremamente tradizionale, con aree inizialmente inaccessibili che si sbloccano attraverso abilità acquisite – doppio salto, rampino, attacchi speciali – e un backtracking mai noioso e gestito con intelligenza. La mappa, pur non sempre chiarissima (specie nelle battute iniziali), invita all’esplorazione più spinta, premiando l’attenzione e la memoria visiva con zone segrete e scorciatoie piazzate ad arte.
Il combat system è letteralmente una dichiarazione d’intenti: lento, metodico, ragionato, interamente basato sulla stamina e sulle finestre d’attacco. Parate, schivate e attacchi pesanti non vanno dati mai per scontati, ma al contrario vanno dosati con tempismo e attenzione: anche il nemico apparentemente più debole e insignificante rischia di tramutarsi in una minaccia letale se affrontato con supponenza. La difficoltà, nel proprio complesso, è calibrata con attenzione e non risulta mai punitiva in modo fine a se stesso: anche la distribuzione delle “lanterne”, versioni spirituali dei falò di Dark Souls che fungono da checkpoint e da hub per il potenziamento del personaggio, ci è apparsa quanto mai ragionevole.
Altro aspetto cardine nell’economia ludica di Mandragora è il crafting. Disseminati nelle aree di gioco saranno disponibili risorse, reagenti e specifici materiali che di volta in volta potranno essere usati per creare nuove armi, migliorare armature e sintetizzare consumabili fondamentali per la nostra sopravvivenza. L’approccio è funzionale e mai eccessivamente macchinoso, con ricette che si sbloccano grazie all’esplorazione attenta delle aree di gioco o sfruttando appositi NPC secondari. In questo senso, la gestione dell’equipaggiamento è un aspetto fondamentale all’interno della curva di crescita, laddove quest’ultimo – a fianco delle abilità apprese – diventa parte attiva anche nell’identificazione di uno specifico stile di gioco.
Classi, progressione e albero delle abilità
In Mandragora: Whispers of the Witch Tree, sono disponibili sei tipologie di classi di personaggio (Vanguard, Spellbinder, Nightshade, Harlequin, Flameweaver e Wyldwarden), ciascuna contraddistinta da uno stile di gioco unico, un’arma specifica e un proprio albero dei talenti. Fino a qui nulla di trascendentale, ma la complessità ludica inizia a farsi concreta quando entra nel vivo dell’evoluzione del personaggio: tale sistema di progressione è qualcosa capace di farci perdere la testa, uno skill tree che possiamo comodamente definire mastodontico, la cui suddivisione per rami specifici e specializzazioni garantisce una personalizzazione bel oltre l’inaspettato. Qualcosa di enumerabile in oltre 200 perk, passivi e attivi, capaci di influenzare praticamente ogni aspetto del gioco – danni, parate, effetti secondari, magie, stamina e interazioni ambientali.
Inutile dire che l’introduzione di questo schema ludico è un viatico eccellente per chiunque sia alla ricerca di un titolo ad alto tasso di rigiocabilità. Ma attenzione, tale varietà di soluzioni richiede attenzione, dedizione e profonde riflessioni strategiche sul medio e lungo termine: ogni punto speso ha un peso specifico, e sbagliare build può compromettere l’intera efficacia in combattimento. Chiaro, Mandragora è abbastanza gentile da permettere anche ai giocatori meno esperti un ragionevole margine di sperimentazione, ma la profondità del sistema può scoraggiare, almeno nelle fasi iniziali, i giocatori meno avvezzi agli stilemi dei GdR più rigorosi.
Un mondo che respira (e soffoca)
Il vero colpo di fulmine di Mandragora: Whispers of the Witch Tree lo regala però la direzione artistica. Reminiscenze e ispirazioni gotiche, cromie cupe, contrasti netti tra il rosso del sangue che scorre a fiumi e il freddo grigio delle pietre: Mandragora è un’autentica sinfonia decadente che brulica di dettagli visivi. I fondali in parallasse, i villaggi abbandonati, le biblioteche infestate e i castelli in rovina: ogni scorcio racconta qualcosa, nasconde una storia incredibile anche in totale assenza di dialogo. In questo meraviglioso quadro d’autore, l’uso del 2.5D appare tanto azzeccato quanto raffinato, con modelli 3D che non stonano nel contesto pittorico.
Inutile quasi sottolineare quanto il comparto audio sia all’altezza: le musiche, firmate da Christos Antoniou dei Septicflesh, alternano sonorità lugubri e suggestioni orchestrali di rara bellezza, mentre il doppiaggio – in particolare l’eccellente performance di Aysha Selim – impreziosisce ulteriormente le sezioni narrative. Su PS5 il gioco conferma performance ben oltre la sufficienza, con caricamenti rapidi e una buona fluidità generale.
Non mancano però alcuni inciampi. Le animazioni, per quanto artisticamente coerenti, appaiono talvolta leggermente più legnose – specie nelle fasi di schivata e nelle transizioni di attacco. La risposta ai comandi non è sempre precisissima, e alcuni pattern nemici mancano di quella rifinitura più “cesellata” che non riesce a renderli davvero memorabili. Anche la densità nemica appare vistosamente altalenante: in alcune sezioni si avverte un vuoto, in altre si sfiora l’eccessivo affollamento. Ultima, ma non meno importante, la gestione della mappa e dell’interfaccia può migliorare, soprattutto quando ci si avventura nei dungeon più articolati.
Vale comunque la pena sottolineare che stiamo parlando di nei tutto sommato più che accettabili, non così gravi da compromettere l’esperienza complessiva ma che, d’altro canto, denotano una produzione di fascia AA che necessita un ultimo, leggero raffinamento.
In conclusione
Mandragora: Whispers of the Witch Tree è un progetto ambizioso che riesce a coniugare estetica e sostanza con un equilibrio che possiamo definire sorprendente. È un titolo che premia la pazienza, l’osservazione e la voglia di esplorare, in grado di offrire una sfida gratificante per chi sa apprezzare la scuola souls. Non tutto è perfetto: alcuni limiti tecnici e una certa rigidità di fondo ne impediscono il salto verso l’eccellenza, la cura nella direzione artistica, il fascino e il rispetto verso i generi che omaggia bastano e avanzano per renderlo un’esperienza da consigliare.
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Voto Game-eXperience