Mauro Fanelli e Marco Mazzaglia sono le due figure di punta dello studio italiano Mixed Bag, autore di indie apprezzati da pubblico e critica come Forma.8. Tuttavia il loro ruolo all’interno della scena videoludica italiana è molteplice, polimorfo. Mixed Bag infatti fa da editore anche per titoli indie di altri studi ancora (come nel caso di Wheels of Aurelia), mentre loro ricoprono ruoli di rappresentanza all’interno di due associazioni che si pongono come riferimento per quello che inizia seriamente ad essere un possibile mestiere del domani anche per molti ragazzi sul suolo italico: lo sviluppatore di videogiochi.
Domanda: Molti titoli indie su switch stanno riscuotendo un buon successo. Qual’è la ragione e che ecosistema si sta creando per gli indie su questa console?
Fanelli: E’ una cosa che succede quasi sempre quando esce una piattaforma nuova. Se riesci a pubblicare vicino al lancio ci sono buone possibilità che la gente sia interessata perchè ci sono pochi titoli. E’ accaduto già all’uscita di Playstation 4 e Xbox One, Switch ormai è sul mercato da mesi, ma è ancora una piattaforma relativamente giovane (l’intervista si è svolta lo scorso Ottobre. NDR). La gente che compra console portatili ha poi una predilizione per giocare gli indie anche in giro, era successa la stessa cosa su Playstation Vita.
La combinazione di questi due fattori ha aiutato Switch, inoltre quello che si vede sull’ecosistema è favorevole agli indie e Nintendo lo sta gestendo bene. Le procedure di approvazione di nintendo sono abbastanza snelle e per studi piccoli questo va bene.
D: In un domani in cui possano esserci grossi investitori italiani a puntare sul settore videoludico nostrano, ritenete ci sia la possibilità di salvaguardare sia esigenze commerciali che visione artistica?
Mazzaglia : La situazione è cambiata negli anni. C’era stata verso metà anni 90 la crescita del mercato italiano con Milestone, Graffiti (autrice di Screamer) e con EA che pubblicava la serie Superbike.
Poi, per diversi motivi, sino alla fine dei 2000 c’è stato un periodo di regressione. Dopodiché Milestone ricominciò a realizzare una serie di titoli grazie ad un accordo con Capcom per Moto Gp 07-08.
Cosa c’è di diverso da allora a oggi? Sicuramente il modo di intendere i videogiochi dal punto di vista affaristico. Prima il rapporto dell’Italia era solo verso l’esterno, in cerca di editori, da adesso invece vediamo grossi investitori del settore finanziario che si sono interessati direttamente. Intesa San Paolo ha sponsorizzato una parte di Milan Games Week, inoltre la stessa banca, sui suoi sportelli bancomat pubblicizza anche la propria presenza a Lucca Comics.
Quindi questo ci porta a dire che le cose sono cambiate, ma a loro comunque interessano i soldi. Come italiani, per la nostra creatività, c’è una probabilità maggiore di fare prodotti artistici, ma quello che importa all’investitore è rientrare dei soldi e rientrarci bene.
E’ anche possibile investire su un certo tipo di prodotto, che magari non farà guadagni esponenziali, ma ha sicuramente un ritorno. Ad esempio grazie all’uso del tax credit per garantire un guadagno fiscale concreto. Qui forse si può investire sulla qualità e creare un tipo di prodotto artistico. Succede anche nel cinema, in cui fondazioni bancarie investono su film d’essai. Con il tax credit è possibile rientrare grazie al guadagno fiscale, e permettere una produzione culturale, creando un circolo virtuoso.
D: Cosa conta di più oggi nel panorama indie? Uscire con un prodotto di alta qualità oppure dargli maggiore visibilità? Perché a volte la sola qualità non sembra ripagare nelle vendite.
Fanelli: Non è un fatto di visibilità o qualità secondo me. Devi avere il gioco giusto, al momento giusto, sulla piattaforma giusta. Tutto il resto non conta, perché puoi avere una visibilità pazzesca o un gioco stupendo e non vendere lo stesso. Devi avere un titolo che in quel momento cattura un desiderio, un tipo di immaginario. Parlo di quelli che vendono molto, non quelli che vendono così così.
Per esempio, quanta gente voleva Stardew Valley? Se chiedevi in giro quanti volevano il clone di Harvest Moon la gente ti guardava e diceva “ma cos’è Harvest Moon?”, poi esce Stardew Valley, che è la stessa cosa, e vende milioni di copie.
Mazzaglia: Se avessi provato a presentare il prospetto di Minecraft a quelli di EA…..
Fanelli: …..ti avrebbero riso in faccia.
Fanelli: Un sacco di titoli hanno raggiunto una necessità che nessuno sapeva ci fosse, ma esisteva. Anche Player Unknown Battleground, per quanto la gente dietro fosse esperta e preparata, se il giorno prima gli avessi raccontato che avrebbero venduto 20 milioni di copie non ci avrebbero creduto neppure loro. Già solo per la cifra di un milione di copie sarebbero stati pronti a stappare le bottiglie di spumante. Eppure quel titolo lì, in quel momento su Pc, ha raggiunto quel risultato.
Prendo un gioco italiano , Mario Rabbits, come altro esempio. Se tu avessi chiesto agli utenti se avrebbero voluto giocare uno strategico con Super Mario e con i Rabbits, la risposta sarebbe stata “ma che dici? dammi un platform piuttosto”. E invece è andata bene.
Persino con molta visibilità su Steam un gioco può andare male lo stesso, anche se è di qualità. Può essere fuorviante parlare solo di visibilità e qualità, perché a volte non dipende neanche quello. A volte basta fare qualcosa che tu vuoi, che alla gente piace, ma che non lo sa ancora. Secondo me il vero problema con un gioco nuovo è “chi lo vuole?”
C’è però stato un ribaltamento della prospettiva. Prima uscivi con un gioco di qualità e quello era un richiamo che attirava i giocatori. Ora invece bisogna modellare la data di uscita e anche l’impostazione del prodotto affinché ottenga successo.
Mazzaglia: Una cosa che ci fa pensare è come Apple abbia deciso di impostare il suo negozio digitale. Non ci si focalizza su “io compro il gioco”, ma “compro quella app o quel gioco perché mi racconta una storia”. Non la storia del gioco, ma la storia dello sviluppo e delle persone che lo hanno creato. Un insieme di informazioni che sono concentrate nella pagina di presentazione del prodotto. E’ un’impostazione diversa da quella precedente, dove c’era questo catalogo senza una parte emozionale che veniva fuori sin dalla panoramica delle caratteristiche. Questa svolta di Apple è significativa e potrebbe dirci qualcosa.
Come rappresentanti di Aesvi e T-Union, potete parlare ai nostri lettori di queste due associazioni e del loro manifesto? Per comunicare il ruolo di questo tipo di organizzazioni a chi voglia un domani affacciarsi nel mondo dello sviluppo.
Mazzaglia: T-union nasce nel Novembre 2013 da un gruppo di persone veterane del mondo dei videogiochi e appartenenti a diverse aziende, che decidono di fondare una loro realtà. L’associazione ha due profili, uno per la singola persona (studente o professionista) e uno per promuovere la cultura del videogioco come opportunità lavorativa ma anche per un utilizzo non soltanto ricreativo. Le sue tecniche sono adatte infatti anche a contesti aziendali, di promozione, formativi, etc.
Per alcuni motivi la società italiana ha difficoltà ad accettare il videogioco di per sé, come un opportunità. Alla fine il videogioco è anche quello: un’esperienza interattiva tramite la tecnologia. Con questo strumento è anche possibile imparare l’inglese. Io ho imparato molto di questa lingua con i videogiochi e quando sono andato a fare un corso all’estero sono passato subito da “intermedio” ad “avanzato” perché avevo un ottima base di inglese, difatti tenevo sempre il dizionario Collins accanto mentre giocavo.
Dall’altra parte c’è il lato aziendale di T-Union (ma informale come associazione). Le aziende si aiutano e creano una collaborazione per lavorare insieme e creare del lavoro, come condividere le particolarità di una tecnologia in realtà virtuale o le submission di Switch. Se due aziende fanno lo stesso lavoro e hanno dei dubbi, questi possono essere coperti grazie un intermediario. Così come chi produce asset e chi sviluppa applicazioni mobile: qualora sia necessario realizzare un gioco si mettono in contatto le due richieste e si lavora insieme. Queste aziende confluiscono nella realtà più grande che è Aesvi, di cui parlerà Mauro ora.
Fanelli: Aesvi è la società di categoria che raduna sviluppatori ed editori per quello che riguarda il mercato videoludico italiano, rivolta solo alle aziende e non ai privati.
Attualmente l’idea è quella di rappresentare l’industria dei videogiochi in Italia a tutti i livelli. C’è un costante impegno di lobbying sul governo per portare vantaggi al settore. Il tax credit è stata una grande conquista dell’ultimo anno (il 2017), assieme ai vantaggi dell’ultima legge sul cinema.
La legge è molto complessa, ma oltre lo sgravio fiscale ci sono altri incentivi collegati in base ai prodotti. Si cerc a di aiutare gli sviluppatori facendo eventi sul territorio. Ad esempio Aesvi organizza la Milan Games Week e la parte indie quest’anno era ben nutrita. Viene agevolata anche la partecipazione alla GDC (Game Developers Conference) e alla Gamescom di Colonia anche grazie all’Istituto per il Commercio Estero, che supporta le iniziative italiane in altri paesi. Nel settore dei videogiochi ogni anno si riesce a portare il proprio spazio nell’area business della Gdc e Gamescom con 10-15 aziende con tariffe molto, molto basse.
Aesvi cerca di fare da sportello per gli studi di sviluppo, i quali se hanno appena iniziato possono rivolgersi ad Aesvi o altri associati per chiedere supporto, consulenze e sapere come muoversi.
Ora la mia domanda tipica. Su quale serie famosa vi piacerebbe lavorare se aveste carta bianca?
Mazzaglia. Senza subbio vorrei lavorare con Keichiro Toyama e fare un nuovo capitolo di Siren (survival noto anche come Forbidden Siren, recentemente riproposto in digitale su Playstation 4. NDR), mantenendo la severità e la bellezza del primo, che era proprio incantevole. Lascerei intatta la giocabilità che lo ha contraddistinto, aggiungendo solo una storia diversa e un supporto alla realtà virtuale per garantire un coinvolgimento maggiore. Mi affascina l’idea di poterci lavorare con quella filosofia. Il gioco è stato confuso con una specie di trial&error, ma non era così. La sua difficoltà era parte della sua impostazione (come per Dark Souls. NDR) e della storia: la lotta tra il bene e il male. Ci ho impegnato quasi un anno e mezzo a finirlo, ma ne è valsa la pena. Il seguito e la rivisitazione per Playstation 3 erano carini ma molto più facili. Il primo fu fantastico.
Fanelli. Io vorrei fare un rifacimento di Damocles Mercenary 2, un gioco per Amiga in cui bisognava salvare il pianeta da un meteorite che rischiava distruggerlo. Si trattava di un open world, dove puoi fare quello che vuoi per risolvere questa situazione: prendere veicoli, fare molte azioni, svolgere diversi compiti. Non so neanche come definirlo, era un gioco decisamente grande. Si tratta di un’avventura open world in un 3d primordiale dei primi anni 90 su Amiga. Si poteva viaggiare tra pianeti, era in tempo reale e bisognava tenere il conto delle ore per impedire lo schianto della cometa, scegliendo la propria soluzione per abbatterla. Oggi si pretende la grafica super realistica e un titolo diventa problematico da realizzare, ma all’epoca potevi astrarre di più l’aspetto visivo e offrire una maggiore profondità simulativa, alla Lords of Midnight. Su molte cose magari era procedurale per risparmiare memoria, ma non ci facevi caso.