C’è un momento, ogni anno, in cui la Gamescom di Colonia smette di essere soltanto una fiera e diventa un rito. File interminabili di appassionati, brusio costante, occhi che brillano di fronte a schermi accesi: e poi quell’istante sospeso, in cui la folla si ferma e l’aria si carica di un’attesa che dura da anni. È successo davvero: abbiamo finalmente provato Hollow Knight: Silksong. Non un semplice gioco, non una normale anteprima, ma l’evento che migliaia di giocatori aspettavano con devozione quasi religiosa. Al booth di Xbox il tempo ha perso significato, e le ore spese in coda si sono dissolte in pochi battiti di cuore, perché davanti a noi si è materializzata un’opera che, ancora prima di uscire, già appartiene alla leggenda.
Brividi di felicità
Eppure, passato il brivido del primo impatto e lasciato decantare quel senso di solennità che accompagna ogni attesa titanica, arriva il momento di posare lo sguardo oltre la leggenda e stringere il pad. Silksong smette di essere un nome sussurrato tra forum e conferenze, un miraggio che sembrava slittare ogni volta più in là, e diventa materia viva, palpabile, concreta. Non ci sono più i trailer enigmatici, non ci sono più le interviste evasive o gli interminabili silenzi di Team Cherry: a Colonia, per la prima volta, il mito diventa esperienza, e Hornet si concede finalmente al giudizio delle mani e degli occhi.
È qui che la differenza col passato esplode in tutta la sua evidenza. Perché non siamo di fronte a un semplice ritorno a Hallownest, a una replica pedissequa di meccaniche già viste: Silksong porta con sé un cambio di ritmo, una nuova fisicità, un dinamismo che già dai primi minuti si stacca dal passo felpato e contemplativo del Cavaliere. Hornet non è un’ombra silenziosa, ma una lama che danza: il suo corpo più agile, il movimento più verticale, la sua aggressività naturale riscrivono subito le regole non scritte del primo capitolo. È in questo scarto che si misura l’evoluzione dell’opera, ed è lì che comincia davvero la nostra prova.
Una prova, purtroppo, estremamente veloce, laddove la demo prevista da Microsoft in occasione di questa Gamescom 2025 ci ha permesso di stringere il pad tra le mani per poco più di dieci minuti, spalancando di fronte ai nostri occhi due sequenze di gioco non consecutive – ma, non per questo, meno interessanti.
Diamoci da fare
La prima sequenza è ambientata in un’area di gioco chiamata Moss Grotto, quella che si configura come la porzione iniziale di Silksong – tanto che vedremo la nostra eroina “liberarsi” e, da una grotta verdeggiante, iniziare il proprio percorso. Il gameplay vero e proprio è introdotto da una sequenza cinematografica in perfetto stile Team Cherry, dove – senza fare spoiler – viene anticipato il contesto narrativo, volutamente oscuro e criptico, entro cui ci muoveremo. E sì, il marchio autoriale fatto di narrazione emergente e dettagli sussurrati, che tanto abbiamo amato nel primo episodio, sembra permanere inalterato.
Moss Grotto, dicevamo. La somiglianza alla leggendaria Verdevia del primo Hollow Knight salta subito agli occhi, con un percorso sviluppato tanto orizzontalmente quanto verticalmente e la comparsa di quelle tipologie di nemici “poco problematiche” che, di norma, vengono messe a tacere con un paio di colpi ben assestati. In questa fase di gioco non sono ancora disponibili poteri speciali (quindi niente dash, niente doppio salto, niente attacchi caricati): si esplora e si combatte nel più semplice dei modi, notando immediatamente la presenza di percorsi non accessibili in questa fase (stiamo parlando di un metroidvania, del resto).
Nel complesso, chiunque sia avvezzo a Hollow Knight si sentirà immediatamente a casa sin da subito: Silksong procede liscio come l’olio da una piattaforma all’altra sino al culmine di questa breve sezione, lo scontro con un primo mini-boss (Mother). Una battaglia ragionevolmente semplice e indolore, considerando anche che il nostro nemico non offre pattern di attacco particolarmente complessi, al netto di un dash diagonale con pungiglione serrato e la capacità di far piovere dal soffitto massi o piccole larve dotate di aculei, anch’esse facilmente eliminabili.
Hollow Knigt, ma in potenza
Il passaggio ai Deep Docks è stato come spalancare una porta su un mondo completamente diverso, un cambio di passo netto e immediato. Qui l’equipaggiamento si arricchisce con strumenti inediti come il kunai, utile per colpire i nemici a distanza orizzontale, e con abilità familiari come la dash, che diventa subito indispensabile per sopravvivere. Ma non è solo una questione di arsenale: è l’intero design dell’area a imporsi con una complessità nuova, fatta di un dedalo di ascensori metallici cigolanti e leve semi-nascoste che li controllano, un labirinto che già dopo pochi minuti faceva intuire quanto sarebbe stato facile perdersi senza l’aiuto delle mappe sempre preziose di Cornifer.
Ed è proprio qui che Silksong ha mostrato i denti, ricordando in fretta quanto possa essere punitivo. I Deep Docks, con il loro intreccio di piattaforme meccaniche e colonne di fuoco scandite da cicli di reset brutali, offrono un livello di sfida che non perdona. I nemici stessi cambiano marcia: diventano più rapidi, più aggressivi, costringendo a sfruttare al massimo le capacità di Hornet, dal rimbalzo sulle pareti alla possibilità di scivolare attraverso piccoli varchi negli schemi d’attacco, fino al riposizionamento fulmineo. E quando finalmente eravamo convinti di aver preso il ritmo, ecco arrivare quelle creature con le campane come elmi, capaci di azzerare ogni approccio aereo e ricacciare al suolo con una violenza spiazzante.
In Silksong una delle differenze più incisive rispetto al predecessore riguarda il sistema di cura: Hornet può recuperare tre punti vita quasi all’istante grazie al comando Bind. La condizione, però, è avere la barra della Silk completamente carica, il che spinge a rientrare costantemente nel vivo del combattimento per rigenerarla. Un dettaglio solo in apparenza marginale, che invece cambia radicalmente l’approccio a ogni scontro, dal semplice ripulire una schermata fino alle boss fight più impegnative. Lo si percepisce chiaramente nello scontro con Lace, un mid-boss già intravisto nei trailer (un insetto bianco dalla grazia di un ballerino, non troppo diverso nell’aspetto da Hornet stessa, capace di combinazioni intricate eseguite a una velocità inumana), che qui mostra tutta la cura nelle animazioni e nelle trovate di design.
Grafica, ma non solo
Sul versante tecnologico, la prima cosa che balza agli occhi è l’esplosione di colori che permea Silksong, un contrasto netto con le atmosfere più cupe e monocromatiche del passato. Le caverne ribollono di lava e scintille incandescenti, mentre il verde brillante del muschio si aggrappa a sporgenze fragili sospese sopra specchi d’acqua che riflettono la luce come piccoli gioielli. In questo scenario vibrante, il mantello scarlatto di Hornet taglia la scena con decisione, fondendosi e al tempo stesso spiccando sullo sfondo come un segno distintivo, quasi fosse un pennello che completa un quadro animato.
Non è soltanto l’ambiente a colpire, ma anche la presenza della protagonista: Hornet occupa più spazio nello schermo, domina il quadro con un carisma che il Cavaliere non aveva, trasformando ogni movimento in un gesto di forza e controllo. La sensazione non è casuale, ma parte di una scelta precisa di Team Cherry, che punta a restituire al giocatore un’esperienza più dinamica e intensa. Dal combattimento ridisegnato alla rinnovata direzione artistica, ogni elemento sembra remare nella stessa direzione, creando un’armonia quasi sorprendente. Bastano pochi minuti per intuire che ciò che sta prendendo forma è un progetto in grado di coniugare spettacolo e sostanza con una naturalezza rara.
In conclusione, le prime impressioni
Dieci minuti pad alla mano non bastano certo per cogliere tutta la profondità di Silksong, ma la sensazione che lascia è cristallina: il gioco è qui, tangibile, e la sua uscita sembra ormai davvero imminente. L’attenzione maniacale ai dettagli grafici e sonori abbaglia a ogni istante, mentre l’animazione scivola con una naturalezza che rende il movimento il vero cuore dell’esperienza. Dove Hollow Knight mostrava qualche ruvidità, Silksong appare invece rifinito con la cura di un artigiano che lima ogni imperfezione. Le novità su combattimento, abilità ed equipaggiamento meritano ancora di essere sviscerate con calma, ma è già evidente come Team Cherry stia puntando a ritocchi sottili e mirati, capaci però di rivoluzionare l’intera architettura del gioco.