C’è sempre qualcosa di straniante, e per certi versi di affascinante, nel camminare all’interno di una città che conosciamo attraverso le cartoline del presente e che ci viene invece restituita in una chiave ucronica, cupa, marcia. God Save Birmingham prende questo concetto e lo spinge fino all’estremo, immaginando la storica città inglese non come cuore pulsante dell’industrializzazione, ma come terreno di caccia infestato da orde di zombie e declinato in una curiosa fusione con l’estetica medievale.
È proprio qui che si apre la nostra prova: una demo senza missioni né obiettivi particolari, una sorta di sandbox contenuto e delimitato in cui il giocatore è stato chiamato unicamente a esplorare, sopravvivere e prendere confidenza con le meccaniche principali. Una vetrina che, se da un lato ci ha permesso di saggiare l’atmosfera e il feeling del combat, dall’altro non ha ancora mostrato nulla che vada realmente oltre l’idea alla base del progetto.
Una location poetica e spaventosa
La prima impressione, del resto, è tutta nella location. Birmingham viene reinterpretata come una sorta di città-mondo in rovina, sospesa tra il passato remoto e il presente distorto. Ci si muove tra mura fatiscenti, piazze che un tempo dovevano essere luoghi di mercato e che ora sono cimiteri a cielo aperto, vicoli ingombri di cadaveri e strutture d’assedio reinventate come ripari improvvisati. L’ambientazione non punta tanto al realismo filologico, quanto a una ricostruzione immaginifica che mescola architettura medievale, rovine gotiche e scorci urbani, restituendo un insieme disomogeneo ma dal colpo d’occhio notevole. La città è il vero teatro della nostra esperienza. Labirintica al punto giusto, disseminata di oggetti e risorse da raccogliere, costantemente minacciata dalla presenza famelica dei non morti.
Il cuore dell’esperienza, almeno per quanto riguarda la demo, risiede nel sistema di crafting. Non c’è sopravvivenza senza ingegno, e qui gli sviluppatori sembrano aver voluto accentuare la necessità di improvvisazione. Raccolti pezzi di legno, ferraglia, corde e frammenti metallici, il giocatore è chiamato a dare forma a un arsenale tanto rudimentale quanto efficace: asce arrugginite, lance improvvisate, mazze chiodate e persino rudimentali archi. La varietà è ampia e le combinazioni sembrano garantire un buon margine di sperimentazione. Al netto di qualche trovata simpatica, il sistema rimane fedele a quello che ormai è diventato lo standard del survival contemporaneo. Si cercano materiali, li si assembla tramite un’interfaccia intuitiva e li si porta in battaglia, con la costante necessità di riparare o sostituire strumenti logori dopo pochi scontri.
La spina dorsale del gameplay
Proprio sul fronte loot la demo ha insistito parecchio. Ogni anfratto della città, ogni cadavere smembrato, ogni casa abbandonata diventa un potenziale scrigno di risorse, con la solita logica del “raccogli tutto e seleziona dopo”. Cibo, acqua, materiali, armi di fortuna: l’economia del loot funziona come spina dorsale del gameplay e mette in chiaro fin da subito quanto la gestione dell’inventario sarà determinante. Non c’è stato mostrato, per ora, alcun sistema di commercio o scambio – altro dettaglio che potrebbe arricchire il ventaglio di possibilità – e ci si è limitati a saccheggiare e riutilizzare ciò che la mappa aveva da offrire. Un approccio lineare, utile per capire la filosofia di design, ma che lascia ancora in sospeso la questione varietà: per quanto tempo, in una run completa, sarà divertente rovistare negli stessi ambienti alla ricerca delle stesse risorse?
Oltre alla raccolta ossessiva di risorse, God Save Birmingham introduce anche una gestione piuttosto marcata degli aspetti vitali del personaggio. Fame, sete e stato di salute generale giocano un ruolo chiave, e vengono costantemente monitorati attraverso un set di icone ben visibili in alto a sinistra dello schermo. Ignorare uno di questi parametri significa compromettere le prestazioni del protagonista: la disidratazione riduce la resistenza, la fame rallenta i movimenti e l’esposizione a malattie o infezioni può limitare sensibilmente l’efficacia in combattimento. Anche qui la logica rimane quella classica del survival: raccogliere cibo e acqua, purificarli quando necessario, costruire medicazioni rudimentali e prestare attenzione a non accumulare status negativi che, a lungo andare, rischiano di trasformarsi in condanne silenziose. Un sistema funzionale, certo, ma che per ora non sembra introdurre varianti particolarmente sorprendenti rispetto agli standard del genere.
Sul campo, invece, God Save Birmingham ci ha messo davanti a una formula di combat che oscilla tra il corpo a corpo crudo e diretto e qualche timida apertura verso il ranged. I colpi vanno portati con decisione, le armi bianche hanno un peso tangibile e il feeling restituito dal contatto con i non morti è quello giusto: duro, sporco, a tratti goffo, proprio come dovrebbe essere quando ci si trova a lottare con ferraglia improvvisata contro corpi putrescenti. L’IA dei nemici, almeno nella demo, non si è mostrata particolarmente brillante. Gli zombie sono lenti, prevedibili, più che altro utili come banco di prova per verificare la resistenza delle armi o per gestire piccoli gruppi. È chiaro che la sfida sarà tutta nella quantità e nella pressione costante più che nella qualità degli avversari. Resta da capire se, in futuro, assisteremo anche a varianti più pericolose, capaci di alterare la dinamica degli scontri.
Grafica e conclusioni
Dal punto di vista grafico, il lavoro compiuto è senza dubbio convincente. Non tanto per il livello di dettaglio assoluto – che non raggiunge le vette di certi colossi del genere – quanto per la coerenza stilistica e la resa atmosferica. Le luci calde delle torce che illuminano le piazze, il contrasto con il grigiore degli edifici, i riflessi umidi sulle pietre delle strade contribuiscono a dare vita a un contesto suggestivo, impregnato di una costante sensazione di minaccia. Gli zombie, pur non brillando per varietà estetica, sono rappresentati con una cura sufficiente a rendere disgustoso ogni incontro ravvicinato. C’è margine di crescita, soprattutto sul fronte animazioni, che al momento appaiono un po’ rigide e ripetitive. Il colpo d’occhio complessivo comunque funziona e restituisce quell’identità ibrida che è al cuore del progetto.
Quella provata a porte chiuse, in definitiva, è stata un’esperienza circoscritta e più dimostrativa che rivelatrice. Una sandbox limitata, utile per prendere dimestichezza con il ritmo, con la raccolta delle risorse e con le basi del combattimento. Al netto di un concept che funziona sulla carta – il Medioevo reinterpretato come teatro di un’apocalisse zombie è un’idea fresca e immediatamente riconoscibile – quanto mostrato non ci ha ancora convinti. Il gioco potrà davvero differenziarsi in modo significativo dalla concorrenza? Abbiamo visto crafting, loot, combattimenti all’arma bianca e scenari decadenti. Tutti elementi già familiari a chi mastica survival da anni. La sfida per gli sviluppatori sarà proprio questa: dimostrare di avere in serbo sorprese e meccaniche capaci di dare spessore e longevità a un titolo che, al momento, sembra poggiare su fondamenta solide ma non particolarmente innovative.
Non un passo falso, quindi, ma nemmeno un’anteprima che lascia intravedere rivoluzioni. God Save Birmingham ha una buona identità visiva e un’ambientazione intrigante. Per capire se saprà davvero salvarsi dall’anonimato servirà ben più di una demo sandbox piena di zombie da abbattere.