Quando il mio caporedattore mi ha detto “devi scrivere uno speciale su Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy”, ho iniziato a sudare.
Davvero.
Il peso mediatico che la remastered in questione ha acquisito dal giorno del suo reveal sul palco del PlayStation Experience 2016 a oggi è equiparabile a quello di una pallina di neve che si tramuta in una valanga, e il rischio di venirne travolto era letteralmente fuori scala. Ma la pressione sulle spalle del sottoscritto poteva solo aumentare al pensiero della lunga schiera di detrattori del povero marsupiale che avrebbero preferito vederlo ammuffire piuttosto che tirato a lucido sugli scaffali dei negozi.
Eppure, noncurante del pericolo, ci tengo a dire che quest’opera di svecchiamento mi è piaciuta non poco; conclusione alla quale sono giunto senza nemmeno dover ripescare dal mare della memoria chissà quale aneddoto per abbandonarmi ai flutti della nostalgia. Anche perché Crash Bandicoot non è stato certo un gioco che ha segnato la mia infanzia nonostante si tratti di un classico e, si sa, i classici vendono sempre, soprattutto quelli belli. Tant’è che Vicarious Visions, team incaricato da Activision di realizzare questa raccolta, si è “limitata” a rivisitarne il comparto grafico senza intaccare in alcun modo l’esperienza finale.
Il risultato? Un gran gioco oltre che probabile campione di incassi dell’estate 2017.
Però, è anche vero che parlare di Game Of The Year (o più comunemente GOTY) come qualcuno ha già fatto, magari, è un pochino esagerato.
UNA VOLTA QUI ERA TUTTA CAMPAGNA…
Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy conserva, invariato, tutti i difetti dei tre titoli dedicati all’ex mascotte di casa Sony e pubblicati durante la prima generazione PlayStation: in primis, la questione puramente prospettica. Alle volte, soprattutto giocando al primo capitolo della trilogia, si ha una totale mancanza di percezione della profondità degli ambienti, acuita proprio dalla particolare posizione della telecamera. Probabilmente qualche ombra piazzata al posto giusto avrebbe potuto attenuare il problema o quanto meno evitare futili morti per via di un mostriciattolo che tutto si trovava men che fuori dalla traiettoria del salto. Questo, senza contare un paio di collider fuori posto e un level design forse eccessivamente punitivo, seppur sempre piacevole nella sua essenzialità. Potrei continuare citando i movimenti imprecisi o le evidenti compenetrazioni poligonali ma il punto è che, inutile negarlo, qualche difettuccio questo Crash lo ha. Abbastanza da far cadere nel vuoto le affermazioni di chi lo vorrebbe gioco dell’anno. Nessuna pubblica gogna, semplicemente la constatazione di come l’effetto nostalgia, il più delle volte, possa alterare la normale percezione di ciò che si para davanti ai nostri occhi. Non tanto perché il prodotto confezionato da Activision sia carente o deficitario, ma perché nel 2017 sono usciti e usciranno tanti di quei titoli da far girare testa e portafogli per almeno altri sei mesi. Giochi ben più innovativi e meritevoli di una menzione di questo calibro come, tanto per citarne uno, The Legend of Zelda: Breath of The Wild.
Ma resto pur sempre dell’idea che Crash sia invecchiato bene, se non benissimo. Anzi, il lavoro svolto da Vicarious Visions, seppur limitato al solo restyling grafico, è qualcosa di davvero eccezionale e lo si nota fin da subito osservando proprio lo stesso bandicoot: più colorato ed espressivo che mai, un esubero di animazioni, oggi come lo era due decadi fa, però meglio. Ogni sua azione sembra bucare lo schermo, così come la quantità esorbitante di siparietti a cui si assiste ogni qualvolta Crash cade, affoga, si schianta o viene colpito da un nemico. E fidatevi, avrete modo di vederli uno per uno. Fonte di discussione tutt’altro che pacifica nella comunità dei giocatori, infatti, è proprio la facilità con cui si riesce ad azzerare il contatore delle vite errore dopo errore. Tant’è che qualcuno ha addirittura paragonato questa remastered alla serie ideata da Hidetaka Miyazaki e che porta il nome di Dark Souls.
Ora, è vero che in Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy basta un salto mal calibrato per vanificare ogni sforzo profuso al completamento di un livello ma si tratta del medesimo grado di difficoltà, se non inferiore, al quale soggiacevano buona parte dei platform negli anni ‘90 (come ad esempio Donkey Kong Country o Super Mario 64) e non un’eccezione, come è invece il caso della saga firmata From Software che, col genere in questione, ha davvero poco a che spartire.
Anche questa volta, la percezione distorta della realtà ha mietuto non poche vittime.
Volendo tirare le somme, è difficile non essere favorevoli ad operazioni di restyling di questo tipo: non semplici riproposizioni in HD di qualche titolo non più vecchio di cinque anni ma un modo per riscoprire personaggi, franchise, giochi anneriti dal tempo eppure noti persino da chi, all’epoca della loro pubblicazione, non era nemmeno nato.
Senza contare che si tratta anche dello strumento meno dispendioso per un publisher di testare lo stato di salute e l’appetibilità dei propri brand. Difficile stupirsi pertanto della manovra remastered (o forse sarebbe meglio parlare di remake) operata con Crash, così come era del tutto scontato che, dopo il sold out del gioco un po’ ovunque, Activision confermasse di essere già al lavoro su un altro progetto dedicato al fulvo marsupiale. Un tiepido segnale (si spera) del ritorno del platform in grande stile al di fuori dei lidi Nintendo, che negli ultimi anni ha detenuto in maniera ininterrotta il monopolio sul genere. Questo nell’interesse e a vantaggio di tutti, con buona pace di chi, Crash, non l’ha mai potuto sopportare.