Si è tenuta da poco l’edizione 2018 dei Game Awards, la cerimonia che premia i migliori videogiochi dell’anno secondo il giudizio di una giuria di critici del settore, tuttavia stavolta c’è stata un’insolita pioggia di annunci e anteprime, che hanno catalizzato l’attenzione in modo anomalo per un evento di questo tipo.
Il numero di novità presentate in questa cornice ha sicuramente sortito l’effetto sperato dall’organizzatore/presentatore Geoff Keighley, il quale ha portato la sua manifestazione agli onori delle cronache con molto più richiamo di quanto non sia accaduto in passato. Il clima creato ha reso i Game Awards 2018 come una specie di piccola conferenza dell’E3 in termini di interesse suscitato. Nonostante molte anticipazioni sulle presenze si siano rivelate infondate (Borderlands 3, Superman di Rocksteady, il nuovo Alien e l’evanescente Avengers di Square-Enix e Crystal Dynamics, che doveva addirittura essere introdotto dai registi del film, i fratelli Russo) è anche vero che qualche sorpresa non è mancata, pertanto eccoci con questo articolo a tirare le somme ed effettuare qualche riflessione libera dall’hype, come ormai abitudine della linea editoriale di Game Experience.
Inizierei pertanto riallacciandomi ad un’osservazione del caporedattore, il quale ha fatto notare come i Game Awards 2018, per la quantità di annunci che avrebbe dovuto ospitare stava finendo per essere più una vetrina pubblicitaria per prodotti in arrivo, che non una premiazione vera e propria di materiale già uscito e completato. Personalmente condivido questa idea e vorrei partire da essa ampliandola e aggiungendoci qualche considerazione a mia volta. Il fatto che i Game Awards 2018 siano stati letteralmente invasi da trailer di annunci potrebbe non essere stato un grande affare per la comunità videoludica, se non addirittura una sconfitta della manifestazione stessa. Dal punto mediatico ne è stato sicuramente tratto vantaggio, perché chi già segue l’E3 non si è perso le tre ore (anche di fronte un fuso orario in notturna per noi europei), confermando come la manovra abbia intercettato il pubblico delle fiere di settore e portato spettatori che magari non erano interessati alla premiazione. Dall’altro però è l’ennesima ammissione di come il settore dei videogiochi non riesca proprio a ritagliarsi uno spazio privo di pubblicità e clamore commerciale, specialmente per celebrare il videogioco dal punto della creatività e visione autoriale.
Sotto questo aspetto sono molti anni che si disquisisce in lungo e in largo se possa sfociare in arte o meno. Un tale traguardo donerebbe a questo media una nobiltà e una considerazione che ancora manca, specialmente considerando le dure e sprezzanti frasi che riceve dall’esterno. Tuttavia emerge impietoso il confronto con manifestazioni analoghe in altri settori, che godono dello status di arte oltre che di ben maggiore rispetto e considerazione.
Le premiazioni cinematografiche e letterarie, per quanto si ritaglino magari qualche lieve parentesi pop o promozionale (come avviene con gli Oscar), non arrivano ad occupare gran parte della loro scaletta col pompare trailer che si chiudono con “pre-order now, to get free dlc” (Prenotate ora per ricevere contenuti aggiuntivi gratuiti).
Alle premiazioni della giuria dell’Orso d’Oro di Berlino o del David di Donatello nostrano, per quanto non manchi la promozione, non assistiamo ad una trafila di trailer stile Deadpool 2 con in conclusione “prenota il biglietto ora per ricevere popcorn omaggio alla cassa”. Tuttavia se c’era un posto dove poter mantenere un buon compromesso tra evento per le masse e attenzione al lato autoriale del videogioco, era proprio questo.
Possiamo farci andare bene le premiazioni ai campioni esport, agli allenatori esport (nonostante siano dei momenti da “Pallone D’oro” che finiscono per rendere tutto ancora più un mescolone, ma per ora accettiamo volentieri di ospitarli qui), tuttavia ridurre i TGA a mera vetrina pubblicitaria per spingere prenotazioni finisce per essere un passo indietro, che deprezza ancora di più la visione che un esterno può avere del mondo dei videogiochi e della comunità videoludica stessa (alla quale spesso basta fare “WOW” su di un trailer e pazienza se i tentativi di nobilitare il media si perdono per strada). Pertanto smettiamo di offenderci quando qualcuno esterna delle dichiarazioni magari infelici e ingiuste, se però all’interno della scena videoludica stessa non siamo capaci di pretendere di più in termini di qualità e serietà dalla stessa gestione degli spazi che dovrebbero celebrarla sotto il profilo creativo.
E’ un discorso che potrebbe essere ampliato ed esteso alla stessa ricezione dei giochi, i quali spesso vengono accolti in base all’attaccamento verso una specifica etichetta o serie, magari reagendo ad una votazione negativa persino come fosse un’offesa personale (succede, ve lo assicuriamo). Non viene quindi riservata la criticità e l’obiettività che invece sono necessarie e indispensabili quando si dibatte su altri media riconosciuti come arte.
Per fare un parallelo con il mondo del cinema, non assistiamo a litigi tra gli ammiratori di Rossellini e quelli di Kubrick, così come sono i fan stessi di Woody Allen ad ammettere quando una delle sue pellicole è poco riuscita. Pensate adesso alla console war o a quanto alcune fanbase tollerano le critiche (persino qualora siano motivate) verso le proprie saghe videoludiche preferite.
A questo aggiungiamo che anche a livello produttivo mancano dei capisaldi fondamentali, in quanto al di fuori dalla scena indie, il mercato dei TriplaA è strozzato nel processo creativo da mille ragioni commerciali, pertanto come si può parlare di “visione artistica” se un game designer è costretto a modellare il gioco in un certo modo perché si presti all’inserimento di microtransazioni?
All’interno della scena videoludica non ci sono ancora presupposti solidi per azzardare parole come “arte”, nonostante non manchino velleità in quel senso e qualche timido passo nella direzione giusta. Pertanto prima di offenderci di fronte a qualche commento negativo dovremmo essere per primi noi giocatori ad esigere una qualità maggiore sia nella creazione che nel dibattito.