Forspoken è finalmente arrivato. Uno dei titoli più misteriosi degli ultimi anni è giunto, dopo un paio di rinvii, sulle PlayStation 5 di tutto il pianeta, circondato da una aura di sfiducia derivante da una gestazione complicata e rinforzata dal rilascio, oramai un mese e mezzo fa, di una demo che ha lasciato i fan molto freddi riguardo l’ultimo prodotto Luminous Productions.
Lo sviluppo, inoltre, in esclusiva per PlayStation 5 mediante il Luminous Engine, motore grafico-fisico proprietario di Square Enix, appena nato – e sembrerebbe, già abbandonato dal colosso nipponico – ha contribuito ad alimentare i dubbi su Forspoken, un prodotto che avrebbe dovuto rivoluzionare, dal punto di vista grafico e di dinamismo del gameplay, il genere di riferimento.
Sviluppato da un team di veterani Square Enix, già coinvolti nella realizzazione di Final Fantasy XV, manca però clamorosamente il bersaglio, riguardo almeno uno degli aspetti qui sopra indicati. Ma procediamo con ordine, vi lasciamo alla nostra recensione di Forspoken.
Il genere Isekai
Quello degli Isekai è un genere che, nonostante affondi le sue radici nei tardi anni ‘90, si è sviluppato ed evoluto al punto di avere una rilevanza abbastanza marcata, soprattutto nell’ultimo decennio. Basta infatti pensare alla saga di Sword Art Online e al numero di aficionados della stessa per capire quanto, l’ingresso in questo campo, almeno considerando la platea di questi titoli, fosse considerato un passo sicuro a garantire, almeno parzialmente, il successo di Forspoken..
Sovente negli Isekai il protagonista, solitamente un reietto della società, viene trasportato in una dimensione altra in cui si troverà ad affrontare – mentalmente e fisicamente – i traumi che lo hanno segnato nella dimensione di partenza: Forspoken può essere ascritto, tout court, a questo genere, essendo Frey Holland una ladruncola senza tetto, più volte “beccata” dalle forze dell’ordine, costretta a scappare da tutto e tutti per via di un retro vissuto tanto ingombrante quanto triste.
Dopo esser stata trovata, picchiata e quasi incenerita, mentre dormiva nascosta nel suo appartamento, in compagnia del suo felino da compagnia, da una gang di quartiere, è costretta a fuggire, arrivando a determinare di togliersi la vita per porre fine ai suoi problemi.
Poco prima di dar atto ai suoi intendimenti, viene attratta dalla presenza di un bracciale dorato, salvo poi scoprire che lo stesso è, in realtà, una antica reliquia dotata di un non meglio specificato potere magico, che, dopo essere stata indossata, la trasporta in una dimensione parallela, senza apparente possibilità di rientro nel mondo di appartenenza.
Il mondo di Athia e la sua storia
Questo universo parallelo, meglio conosciuto come il mondo di Athia, è infestato dalla “rovina”, una maledizione capace di cancellare dal piano dell’esistenza qualsiasi essere vivente con cui entra a contatto, trasformandoli in non morti assetati di sangue. Oramai Athia pare condannata al suo destino e solo la città di Cipal, unica roccaforte ancora “abitata” da esseri non corrotti dalla rovina, rappresenta il cuore di una resistenza che, però, parrebbe avere le ore contate.
Ed è appunto qui che Frey verrà in contatto con la profezia che incarnerà il suo destino: salvare, mediante i poteri ottenuti dall’unione con Cuff, il bislacco bracciale incontrato nella New York del mondo reale, il mondo di Athia per guadagnarsi la possibilità di rientrare a “casa”, nella dimensione di sua pertinenza.
Pur non brillando per originalità, la fase iniziale della trama di Forspoken potrebbe essere considerata come un deus ex machina utilizzato per indirizzare la narrazione nel canone degli isekai e per “lanciarla” verso una evoluzione esplosiva al pari delle magie che arriveremo a padroneggiare ma, purtroppo, non è così.
Le prime ore di gioco ci pongono davanti ad una serie di cliché stereotipati volti si a giustificare il turbolento passato di Frey e per creare un substrato di emozioni che ci permettano di meglio immedesimarci nella giovincella newyorkese. Tutto questo, purtroppo, non succede a causa di una caratterizzazione e di scelte narrative per lo meno discutibili.
Frey è un personaggio tignoso che si rende inaccessibile sin da subito: di contraltare, per smorzare questa personalità, è stato inserito Cuff (o Vambrace, simpatico il gioco linguistico in inglese…) il bracciale animato rinvenuto nelle prime fasi di gioco, dotato però di una logorrea e onnipresente senso dell’umorismo, che riesce nell’arduo compito di interrompere con cadenza pressoché continua il crescente climax degli eventi. Le cose migliorano leggermente settando il doppiaggio in inglese, ma oramai il danno è bello che fatto.
Se a ciò aggiungiamo che la progressione narrativa risulta essere piatta, scontata e prevedibile, al netto di un paio di guizzi verso il finale, colpi di scena che, però, risulteranno fini a loro stessi, senza riuscire a scuotere una linearità dannatamente troppo marcata, otterremo un melting pot non certo appetibilissimo.
La cosa risulta alquanto strana, visto che la scrittura è stata affidata a veterani del calibro di Gary Whitta, salito agli onori della cronaca per la sceneggiatura di Codice Genesi (film del 2010, con Denzel Washington) e, soprattutto, Rogue One: A Star Wars story, coadiuvato da Amy Henning co-autrice di titoli del calibro di Uncharted, il cui quarto episodio è da poco approdato su pc, e direttrice creativa di JAK 3. Con un tale roster sarebbe stato quanto mai debito ottenere un comparto narrativo almeno al di sopra della media: prendiamo, purtroppo, atto dell’insuccesso e andiamo avanti con la disamina.
Un gameplay divertente, con una narrazione piatta e lineare
Perché tutta questa importanza al comparto narrativo, vi starete chiedendo? Perché Forspoken, un JRPG open world, con marcati componenti di esplorazione ed interazione ambientale legate al parkour, è, sostanzialmente, una avventura story driven che fa della narrazione il suo fulcro, tanto è vero che, volendo forzare la mano, potremmo considerare le sezioni giocabili dei veri e propri ponti tra un filmato in CG e l’altro.
Va da sé dunque che, andando in sofferenza la narrazione, anche tutti gli eventi conseguenti risulteranno slegati e, comunque, di fruizione frammentaria, per quanto ben realizzati.
Si perché, al netto di quanto detto fin’ora, il comparto ludico di Forspoken, nonostante una partenza dai ritmi blandissimi, funziona e diverte debitamente, pur scontrandosi con evidenti limiti tecnici dati dalla caratura del Luminous Engine, ma di questo ne parleremo più avanti.
Ci troveremo dunque ad esplorare un mondo popolato da esseri viventi, più o meno letali, corrotti dalla rovina e dovremo combatterli utilizzando due set di magie, uno di matrice offensiva ed uno di matrice difensiva (incantesimi di supporto), il tutto muovendoci velocissimamente ed interagendo con l’ambiente circostante a suon di parkour, al fine di incrementare ulteriormente la frenesia degli scontri.
Niente armi, da distanza o bianche che siano, solo la ruvida potenza di svariati set di incantesimi (tre per tipo) associati ciascuno ad uno dei quattro elementi governabili da Frey.
Per ridurre il senso di confusione che, già a descriverlo, potrebbe generarsi durante il gameplay, in presenza di cotanto arsenale magico, è stata implementato un sistema di “pausa dinamica”, una specie di slow motion stile matrix, che si attiva automaticamente ogni qual volta si accede alla ruota di selezione incantesimi, per scegliere la tipologia di attacco da effettuare.
Contestualmente sarà possibile assegnare, a mo’ di macro, ognuno dei quattro elementi magici alla croce direzionale, in modo da permettere un rapido cambio di strategia, per meglio affrontare dei nemici immuni a determinate tipologie di attacco magico.
La corretta combinazione, infine, di magie offensive e di supporto porterà Frey a “rompere” un limite e poter lanciare, dopo un determinato periodo di tempo, una “magia impetuosa”, ne esiste una per ogni elemento padroneggiato, grazie alla quale sarà possibile aver ragione finanche di ingenti schiere di avversari.
Il problema del Luminous Engine
Come dicevo prima, al netto di alcuni limiti specifici ravvisati nel Luminous Engine, il combat system di Forspoken, innestato in una esplorazione ambientale a suon di parkour, regala emozioni e soddisfazioni, soprattutto nelle fasi avanzate del gioco, quando la nostra Frey avrà acquisito un numero di poteri tali da poter diversificare e movimentare quanto dovuto l’azione. Rimane il cruccio di vedere il tutto applicato nella sua completezza solo nei pressi dell’endgame, oltre a quello di trovarci davanti ad una gigantesca occasione sprecata, essendo Forspoken un isekai fortemente story driven.
Per ben due volte ho parlato, non a caso, di limiti specifici ravvisati nel Luminous Engine. Forspoken, pur essendo stato vittima di due rinvii, si presenta come un gioco “sporco” (dal punto di vista di pulizia del codice) e male ottimizzato, tanto su PlayStation 5, quanto su PC.
La prova effettuata sull’ammiraglia di casa Sony ci mette infatti in contatto con un gioco ben lontano dalle magnificenze grafiche tanto della versione mostrata nel reveal trailer del 2020, quanto dalla accuratezza fotorealistica vista nelle prime tech demo del Luminous Engine, quale che sia la modalità grafica prescelta (tra le tre disponibili), a favore di framerate o di resa grafica.
Se da una parte si può pensare che la fase di adattamento all’hardware della PS5 abbia portato i ragazzi di Luminous Productions ad un downgrade della visione originaria, l’esame della versione PC fa invece pendere l’opinione su una deadline troppo stringente e che il gioco sia stato rilasciato, purtroppo, avendo ancora bisogno di altro tempo per l’ottimizzazione.
Quel che vediamo a schermo, infatti, mentre su PlayStation 5 ha ben poco di next-gen, su PC non giustifica minimamente le esosissime richieste hardware e le conseguenti basse prestazioni anche su configurazioni di alta fascia, visto e considerato il risultato finale, sicuramente più appagante della controparte console ma non “da urlo”, come sarebbe stato lecito aspettarsi da una produzione Square Enix.
La recensione in breve
Forspoken osa ma non brilla. Un combat system appagante, unito ad un parkour che dona dinamismo alla azione ci consegna un JRPG divertente e godibile, azzoppato purtroppo da un comparto narrativo più che lineare e da una ottimizzazione tutt’altro che riuscita. L’ultima fatica di Luminous Production ha il sapore dell’occasione persa: il ragazzo ha potenzialità ma non si applica, direbbero a scuola.
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Voto Game-Experience