“Non può esserci rinascita senza una notte oscura dell’anima, un totale annientamento di tutto ciò in cui credevi e pensavi di essere.” Così spiegava Vilayat Inayat Khan, principale esponente del Sufismo, riguardo la Rinascita. Spostandoci su argomenti più terreni e meno aulici, applicando però quei concetti, potremmo scoprire come Final Fantasy VII Rebirth parta proprio da quella premessa per arrivare sul mercato. Square Enix infatti, nel 2020 pubblicò la sua notte oscura dell’anima, bombardando (in pieno stile Avalanche) le fondamenta dei ricordi dei fan attraverso il primo capitolo del progetto remake di Final Fantasy VII. Quattro anni dopo, eccoci di fronte alla sua rinascita, con un secondo capitolo dal respiro più grande, dall’ambizione maggiore e atteso forse in maniera ancora più spasmodica del diretto predecessore. Lasciateci dunque essere il vostro Caronte, per condurvi tra gli inferi metaforici di un viaggio conclusosi con 73 ore di gioco effettivo al fine di proporvi la nostra recensione di Final Fantasy VII Rebirth.
La narrativa: un viaggio inesplorato
Quando nel 2020 il capitolo 18 colpì i fan dell’universo Final Fantasy VII, si creò una forte spaccatura. Da una parte, gli integralisti, coloro i quali non possono vedere né concepire un cambiamento della linea originale, dall’altra i rivoluzionari che hanno intravisto in questa scelta la possibilità di ottenere modificati alcuni dettagli che per loro erano delle lacune del gioco originale. In questo scenario molto paradossale, in cui la guerra tra Shinra e Wutai viene ben rappresentata dai due fronti anti e pro Nomura, si colloca un limbo di persone curiose di capire e scoprire da qui alla fine del progetto remake dove verremo condotti. La nostra recensione vuole iniziare con un pensiero dedicato a loro, a quelle persone che si godranno a pieno ogni sfumatura di questo mastodontico titolo: “beati voi che godete del viaggio senza preoccuparvi della meta, perché solo così otterrete il piacere” – Luca Porro, 22/02/2024.
Il concetto narrativo da cui parte la divisione dei due schieramenti sulle novità narrative introdotte dal progetto remake è chiaramente il medesimo per Final Fanatsy VII Rebirth, essendo questo un sequel. Il nuovo viaggio ci attende, ed in effetti esplorare ogni anfratto del mondo fuori Midgar è, per davvero, una magia speciale. Incontrare personaggi come Cid, Bugen, Dyo e vedere la cura e il tatto con cui è trattato il materiale originale emoziona sotto diversi punti di vista. E proprio questa cura ha risvolti molto importanti sulla narrativa, dato che l’incipit da cui si parte è il medesimo dell’opera originale: lo spasmodico inseguimento di Sephiroth fino ai confini del mondo per impedirgli di fare altri danni e la scoperta di cosa si cela dietro gran parte dei misteri che vengono introdotti nella prima parte dell’avventura.
Dal punto di vista narrativo dunque, dovete pensare a Final Fantasy VII come un vero e proprio seguito strutturale di quanto visto nel 2020: la cura e il rispetto toccano le riproposizioni originali. La coerenza delle introduzioni di approfondimento e contesto riempiono gran parte dei nuovi momenti e poi ci sono alcune licenze poetiche che ovviamente risulteranno divisive agli occhi dei fan. Quello che è importante comprendere per assaporare al meglio i gusti di questo progetto è la volontà del gioco di non soppiantare l’opera originale bensì di affiancarla, comunicando con essa. Una sorta di danza all’unisono, che funga da paniere onnicomprensivo ma che aggiunga anche diversi dettagli inediti nati proprio da questo nuovo innesto. Per quanto ci riguarda, siamo soddisfatti da quanto visto e anzi avremmo quasi preferito in alcuni frangenti che la strada intrapresa osasse addirittura di più. Rimaniamo dubbiosi sull’utilizzo delle Weapon, che soprattutto per stile artistico, come anche mostrato nei trailer, non ci hanno convinto a pieno.
Il gameplay: la miglior fusione tra turni ed action
Una volta conclusa la complessa disamina narrativa che deve per via dell’assenza di spoiler, essere priva di alcuni dettagli, possiamo spostarci verso un punto focale dell’esperienza di Final Fantasy VII Rebirth: il gameplay. Il percorso di evoluzione di una saga storica come Final Fantasy, non è un argomento esauribile in poche righe. Parliamo infatti di una saga che ha trasceso le ere videoludiche, andando ad abbracciare svariate generazioni di giocatori. Padri e figli, fratelli e sorelle, amici e conoscenti, ci sono storie incredibili che portano impresse a fuoco il marchio indelebile della saga principe di Square Enix.
Questo percorso ha dunque visto anche un cambio radicale di struttura ludica dettata non solo dalle esigenze, ma anche dal tempo. Il sistema dei turni, spinoso argomento da anni, ha lasciato spazio ad una necessaria virata action. Ciononostante, nel tempo, orfani di un sistema vetusto ma incredibilmente profondo, i fan hanno sempre guardato con nostalgia “i bei tempi andati” di fine anni ‘90. Da quel momento, la succitata transizione all’action ha visto un susseguirsi di inciampi e cadute, legate alla difficle coesione tra fluidità e frenesia d’azione e strategia e profondità di un sistema a turni.
Nel 2020 però, Final Fantasy VII Remake, introdsse un sistema assolutamente sorprendente che ad oggi rappresenta, a mani basse, il miglior gameplay action GDR dell’intera saga di Final Fantasy e uno dei tre migliori gameplay action GDR dell’intero mercato. Nessuno meglio di questo sistema può interpretare la definizione di Active Time Battle (ATB) meglio di quanto visto con il progetto remake. Migliorare dunque questo sistema era molto complesso, eppure ancora una volta il risultato è stato sorprendente.
Abilità e combo sinergiche
L’infrastruttura rimane intatta con un tasto per gli attacchi del personaggio selezionabile (Cloud, Tifa, Barret, Aerith, Red, Yuffie, Caith Sith), un tasto per il modificatore di colpo, un tasto per la schivata, uno per la parata, una scorciatoia sul dorsale per effettuare quattro abilità principali (mappabili) e il menù che rallenta il gioco in una dinamica pausa tattica. Questo menù ovviamente possiede le caselle classiche dei Final Fantasy: abilità, magie, oggetti, invoca e le abilità sinergiche (che tornano dopo INTERmission) e le abilità limite.
In aggiunta a tutto ciò, le combo sinergiche sono state assegnate al dorsale destro. Entrando in modalità parata si potranno scegliere ben quattro opzioni di combo sinergiche in cui il personaggio utilizzato, assistito da un alleato del party, usufruirà di colpi e animazioni sincronizzate e spettacolari. Ve lo diciamo senza mezzi termini, la profondità, il divertimento, la fluidità e la stratificazione di scelte effettuabili è davvero senza pari. Anche grazie a una personalizzazione delle skill invidiabile, offerta da un albero abilità in stile sferografia per ognuno dei personaggi, il gioco offre possibilità per tutti i gusti.
A massimizzare queste opzioni anche la personalizzazione dello stile di ogni personaggio: Red punta tutto sui perfect parry, Aerith sulle magie, Tifa sullo Stremo, Barret sulla distanza, e via discorrendo. Ogni personaggio ha le sue peculiarità e il gioco spinge perché il giocatore impari a provi a creare combinazioni senza paura. Ovviamente tutto ciò con l’occhio ben attento alla dinamica dello Stremo, ovvero la consueta barra della resistenza dei nemici che una volta riempita a suon di colpi, causerà un fattore stordimento a tempo in cui massimizzare i danni.
Un valore produttivo fuori scala
Dove però Final Fantasy VII Rebirth sorprende è nella densità di contenuti, spingendo l’asticella verso livelli di produzione fuori scala sotto ogni punto di vista. Una delle principali peculiarità di Final Fantasy degli anni ‘90 era non solo la durata dell’opera, ma la densità dei contenuti. Un elemento andato a scomparire, con il graduale passaggio degli anni. Ma vi siete mai chiesti perché? La risposta è semplice, la tecnologia dell’epoca limitava le possibilità creative dal punto di vista tecnico, costringendo gli sviluppatori a un impiego di risorse in altri ambiti per garantire una esperienza in linea con le idee originali sul gioco.
La grande sorpresa di questo Final Fantasy VII Rebirth è non solo la riproposizione di grandi classici minigiochi, non solo la vastità dell’open world, ma la scala di produzione, ovvero banalmente il numero di questi contenuti rapportati alla qualità degli stessi.
Final Fantasy VII Remake, data la necessità di raccontare gli eventi di Midgard si presentava come piuttosto limitato nell’esplorazione di quelle che erano le mappe di gioco. Qui, una volta condotto il giocatore tra le lande variegate di Gaia, ci si trova immersi in un mondo vivo, ricco, sfaccettato, immenso. L’esplorazione è sublimata da un design artistico a nostro avviso senza precedenti. Dalla rigogliose e verdeggianti foreste di Gongaga, al deserto arido e bruciante di Cormo Canyon, dalla vivace Costa del Sol alla vibrante Junon, per non parlare dell’emozionante Gold Saucer.
Potremmo stare qui a sciorinare mille elementi che caratterizzano questo open world, ma il servizio offerto da questa recensione sarebbe quello di qualsiasi altro listone della spesa. Risponderemo dunque alle vostre domande: esiste un sistema di torri? Sì. Ci sono quest secondarie? Sì. E possibile effettuare lo spostamento rapido? Sì. Ci sono minigiochi? Sì. Ci sono ancora le simulazioni virtuali per ottenere le invocazioni? Sì. Ora però, permetteteci di raccontarvi un’emozione, perché alla fine quello siamo, videogiocatori anche noi, e come voi ci emozioniamo. Lasciamo per un attimo la fredda e asettica analisi e tuffiamoci nelle emozioni.
Un viaggio emozionale
La Shinra ci è alle calcagna, fuggitivi nel nostro stesso paese. Braccati da una organizzazione che succhia la linfa vitale del pianeta per alimentare una industria senza scrupoli in cui se sei fortunato e ricco vivi da nababbo, se invece hai la sfortuna di essere nato dalla parte sbagliata del mondo, non avrai diritti, ma solo doveri. La tua colpa è quella di aver dato voce ai senza voce e nel mentre di aver scatenato le ire di un folle soldato dai capelli argentei, che una volta chiamavi eroe. Mentre gli spari sono lontani, le grida di truppe alla ricerca di indizi che li conducano a te e ai tuoi compagni riecheggiano tra le mura di questo passaggio segreto. La città di Kalm ricorda un borgo in cui il tempo si è fermato, un piccolo agglomerato urbano la cui unica colpa è stata quella di non girarsi dall’altra parte quando hai chiesto alloggio alla locanda. La galleria finisce. Una luce abbaglia gli occhi. Distese verdeggianti si stagliano fino all’orizzonte, dietro di te la città, davanti a te la libertà. Profumo di rugiada mista a salsedine, a destra la costa a sinistra le praterie che ci condurranno a Junon.
Quello che abbiamo messo in parole è la descrizione di un’emozione, il racconto di un singolo momento in cui il giocatore dopo essere stato braccato a Kalm, guida Cloud e compagni attraverso un cunicolo che li porta fuori dalla città aprendo davanti ai suoi occhi la mappa delle Praterie. Un momento come un altro, che non ha importanza di trama e che non racconta nulla, ma che inserito nel contesto di Final Fantasy VII Rebirth assume contorni magnetici supportati dalla scala di produzione del gioco.
Non possiamo negare però, Final Fantasy VII Rebirth abbia dei difetti. Per noi riscontrabili nella ridondanza di alcune attività di “completismo” secondarie. Proponendo un gioco così vasto e complesso è normale che alcune attività si ripetano in pattern prestabiliti. Sebbene gli incarichi secondari principali siano tutti molto ben strutturati e godibili. Vi sono alcune missioni secondarie che riciclano alcune meccaniche stealth e lente che a lungo andare possono stuccare. Infine, da menzionare è la pesantezza di alcune missioni principali (circa sei in tutto il gioco) che allungano il brodo in maniera tediosa con meccaniche da Quick Time Event di pressione dei dorsali molto tediose. Sono parti che avrebbero potuto benissimo essere ridotte a scene di intermezzo senza nessun impatto e avrebbero evitato di subire la ridotta velocità di camminate zoppicanti che rompono l’idillio del resto del gioco.
Il comparto audiovisivo
All’appello non possiamo far mancare una disamina audiovisiva dell’opera. Avendo ancora negli occhi la spettacolarità visiva di Final Fantasy 16 è difficile fare un elogio a tutto tondo al livello tecnico di Final Fantasy VII: Rebirth, capace di offrire un livello artistico di livello si eccellente ma non paragonabile, per via della scala del gioco, a quello raggiunto dall’ultimo capitolo della fantasia finale. Si tratta di un miglioramento rispetto al Remake del 2020, ma abbiamo ravvisato svariate incertezze. Si tratta per lo più di caricamento delle texture in lontananza (il lupo perde il pelo…) e problemi nella gestione dell’illuminazione negli ambienti aperti: niente di sconvolgente ma sicuramente evidente.
Per quanto riguarda il comparto audio, non si può che rimanere strabiliati dall’ennesimo lavoro sublime di Nobuo Uematsu e del team musicale che ancora una volta sforna una riproposizione da brividi delle tracce classiche, con anche qualche citazione a un capitolo in particolare della trilogia VII, VIII, IX, a voi però scoprire quale altro capitolo.
Da sottolineare per altro come la musica sia un elemento cardine dell’esperienza. Tutto il gioco è permeato da momenti musicali più o meno importanti, più o meno espliciti che rendono questa seconda parte un titolo molto legato alla componente emozionale delle sonorità. Peccato per la localizzazione che soffre dello stesso problema del predecessore con discordanze tra parlato inglese e localizzazione italiana.
La recensione in breve
Final Fantasy VII Rebirth è l’abbraccio di un padre amorevole al figlio ormai adulto che lascia la casa natale. Sei consapevole che ritornerà da te ma allo stesso tempo devi lasciarlo andare per la sua strada. Final Fantasy VII Rebirth è un’opera mastodontica che difficilmente passerà inosservata, che lascerà il segno e che farà emozionare indipendentemente che siate integralisti o rivoluzionari.
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Voto Game-Experience