“How i learned to stop worrying and love the bomb”: oltre ad essere il sottotitolo de “Il Dottor Stranamore”, questa epigrafe risulta, senza tema di smentita alcuna, IL leitmotiv di Fallout. La serie televisiva, direttamente ispirata dalla saga sci-fi made in Bethesda e disponibile per tutti gli abbonati a Prime Video, può essere infatti considerata l’evento transmediale di questo 2024. Fedeltà alla lore e qualità realizzativa altamente sopra gli standard, oltre che una supervisione diretta di Zio Todd Howard, ci consegnano un prodotto ai limiti dell’eccellenza. Ma procediamo per gradi, e scopriamone di più, con la nostra recensione di Fallout.
Videogiochi e cinema: un rapporto difficile, fino ad ora
Serialità televisiva/cinematografica e videogiochi – un idillio mai realmente sbocciato. Se guardiamo, infatti, ai mille tentativi di creazione di universi transmediali ibridi, i successi si contano sulle dita di una mano. Passando infatti in rassegna blockbuster (videoludici) come Assassin’s Creed, Resident Evil, Silent Hill, Prince of Persia, ravvisiamo altrettanti fallimenti o, per lo meno, prodotti non all’altezza del blasone dei rispettivi franchise videoludici, nelle loro trasposizioni cinematografiche.
Finanche le serie di Halo e di The Witcher, attualmente in corso di serializzazione, non hanno riscosso il successo inizialmente sperato, lasciando l’amaro in bocca agli appassionati dei rispettivi franchise. Per ottenere un prodotto meritevole di plauso ed attenzione abbiamo dunque dovuto attendere il 2023, anno di uscita della serie The Last of Us, ambientata nel mondo creato da Neil Druckman e soci.
La serie HBO-Sony ha rappresentato uno spartiacque nel mondo della serialità cinetelevisiva, legata a doppio filo con il mondo videoludico, un punto di non ritorno di cui, qualsiasi produttore avrebbe dovuto tenere conto prima di approcciarsi ad un franchise videoludico di successo. Ed è esattamente quanto avvenuto nel caso della serie televisiva di Fallout, non trattata come mero riempitivo tra un episodio canonico e l’altro ma, con tutti i crismi del caso, con la cura spettante ad un franchise di tale levatura. Capolavoro? Qui lo diciamo e qui lo confermiamo: CAPOLAVORO. Ma procediamo con ordine.
Fallout: Bentornati nella Wasteland
Quello di Fallout è un universo denso e complesso da rappresentare. Per evitare, dunque, il rischio flop, Amazon si è affidata alle sapienti mani di Jonathan Nolan e Graham Wagner, rispettivamente nei ruoli di produttore e sceneggiatore. Lo sforzo (e l’investimento economico) profuso per realizzare una versione “verosimile” del mondo post-apocalittico made in Bethesda, ci consegna uno dei migliori prodotti seriali mai realizzati. Già a pochi minuti dall’inizio del primo episodio è naturale sentirsi “a casa”, come se il mondo messo in scena da Nolan Jr e soci fosse un amico di lunga data, perso di vista e ritrovato dopo tanti anni.
La Wasteland, ai più nota come zona contaminata, prende vita divenendo protagonista assoluta della serie live action made in Amazon. Un terreno di gioco in cui le vicende di protagonisti e comprimari scorreranno fluidamente, in un tripudio di citazionismo, mai sterile o relegato al ruolo di puro fan-service, che riuscirà a tenerci incollati allo schermo fino all’ultima puntata. Per rendere, al meglio, la caducità della sopravvivenza nelle lande radioattive, la rappresentazione delle stesse è stata effettuata mediante un color grading sul giallo, con una netta saturazione dei toni intermedi tra il giallo e l’arancione. Fotograficamente, incedere nella microsaturazione dei toni intermedi, un po’ come fatto da Dennis Villeneuve in Blade Runner 2049, crea uno stato di ridondanza cromatica, capace di indurre un senso di meraviglia e di oppressione al contempo.
Mentre, però, il regista canadese ha, nel sopraccitato lungometraggio, inceduto nella microsaturazione cromatica facendo ricorso ad un teal and orange estremo, qui si è propeso per lavorare su una adiacenza cromatica ben marcata, un po’ come fatto dallo stesso Villeneuve, in modi tecnicamente differenti, va detto, nella dualogia di Dune.
Vault, mon amour
Come da tradizione videoludica, se da una parte la zona contaminata rappresenta il punto di attrazione primario, oltre che il palcoscenico principale su cui andranno in scena le gesta di protagonisti e comprimari, uguale importanza rivestono i Vault. Creati e progettati dalla Vault-Tec, si pongono come ultimo baluardo della civiltà, oltre che come mezzo di sopravvivenza ultimo, in caso di Fallout nucleare.
La realizzazione dei Vault, improntata ad una estetica in guisa di retro-futuro vede il potenziale di una tecnologia futuristica, impiantata in marchingegni tecnologici risalenti agli anni 50. Questi nuovi “giardini dell’eden sotterranei”, realizzati per garantire la sopravvivenza della razza umana in tempo di guerra nucleare e sparsi su tutto il territorio statunitense, si rivelano ben presto luoghi pieni di pericoli, forse anche più grandi di quelli presenti in superficie. Tra complotti governativi e false amicizie, ambientati in una microsocietà tutt’altro che edeniaca, i vault assurgono a secondo palcoscenico per eventi canonici nella continuity di Fallout.
Come per la zona contaminata, particolare attenzione è stata data alla trasposizione su schermo dei rifugi anti-atomici made in Vault-Tec. Al netto della controparte tecnologica, già esaminata, anche i Vault presentano una tinta guida gialla, già vista in superficie, come colore preponderante. Questa volta, però, contrariamente al viraggio “caldo” visto in precedenza, assistiamo alla miscelazione della palette cromatica presente all’interno dei valt con un netto viraggio verso il ciano, a raffreddare l’immagine e ad interrompere la sensazione di tranquillità che dovrebbe trasmettere la presenza all’interno di un rifugio antiatomico. Parimenti, detto viraggio è presente, al netto della dominanza colore, anche in tutte le scene della confraternità d’acciaio.
A Fallout Story
Quella narrata in questi otto densissimi episodi, potrebbe essere tranquillamente definita “A Fallout Story”, una linea narrativa perfettamente integrata nella continuity dell’universo di Fallout, così come la abbiamo conosciuta grazie al terzo e quarto episodio. Ci troviamo, dunque, all’interno del Vault 33, nel momento in cui viene deciso uno scambio “commerciale” con l’adiacente Vault 32, per garantire la prosecuzione della specie mediante cessione di una donna prescelta, in cambio di cibo e accordi commerciali.
Lucy McLean, figlia del sovrintendente Hank (interpretato dal caro Kyle McLachlan), è la prescelta per questo scambio, destinata all’accoppiamento con un esemplare di sesso maschile del Vault 32. Ad accordi compiuti, però, il voltagabbana: gli abitanti del Vault 32 si rivelano essere, invece, predoni al soldo di Lee Moldaver, notissima criminale della zona contaminata. Da qui all’eccidio degli abitanti del Vault 33, il passo è breve. Il tutto si conclude con la fuga dei predoni dal Vault 33 e con il contestuale rapimento del sovrintendente Hank McLean. Lucy, desiderosa di riportare il padre nel Vault riesce, con la complicità di alcuni abitanti del Vault 33, a fuggire dallo stesso e a lanciarsi, nella zona contaminata, alla ricerca del padre scomparso.
Gli eventi qui narrati prendono piede nell’anno 2296, ben 219 anni dopo il 23 Ottobre 2077, data di inizio (e fine) della Grande Guerra atomica, che portò l’umanità all’estinzione. Una seconda linea narrativa prende piede pochi mesi prima il day 0 della guerra, per mostrarci come e perchè si arrivò al punto di non ritorno per l’umanità. Nei panni di Cooper Howard, stella di Hollywood e marito di Barb Howard, dirigente della Vault-Tec, scopriremo, a nostre spese, il lento ed inarrestabile processo che, di li a poco, avrebbe portato l’umanità sull’orlo dell’estinzione.
La guerra, la guerra non cambia mai…
Ci troveremo dunque ad assistere ad un incedere a passi lenti, ma inesorabili, verso l’estinzione del genere umano, scoprendo, episodio dopo episodio, le tante macchinazioni e le tante facce dietro un evento apparentemente generato dalla cupidigia umana e dalla rivalità tra stati. Scopriremo quanto la umana natura del “cane non mangia cane“, impiantata in un sistema capitalistico prima e post-capitalistico poi, abbia guidato l’uomo, con ferrea cecità verso l’estrema ratio, in nome del più becero profitto.
In un susseguirsi ferrato di colpi di scena, narrati ed evidenziati in maniera multifocale, ricostruiremo il puzzle che nasconde l’inizio della fine dell’umanità, incedendo in un continuo “who is who” atto a svelare pirandelliane maschere poggiate su multiformi visi, colpevoli ciascuno a modo suo, nel voler seguire la propria idea di resurrezione dalle ceneri del Fallout atomico.
Quella che ci troviamo davanti è una storia dannatamente ben narrata, piena di coup de théâtre sullo stile della trama di Fallout 3, debitamente innestata e canonizzata nella lore dell’universo post-atomico made in Bethesda. Una lucida disamina di un futuro distante ma (speriamo di no) non troppo, in cui l’uomo rappresenta il principale nemico di sè stesso: giudice, giuria ed esecutore del genere umano tutto.
La recensione in breve
La serie televisiva di Fallout, rappresenta quanto di più vicino ci sia ad un canonico episodio live action del franchise Bethesda.
Completamente immerso nella lore del prodotto originale e con una realizzazione ai limiti del maniacale, Fallout svetta in cima alla classifica delle serie Tie-in più belle mai create, lasciandoci con l'imminente desiderio di conoscere il seguito degli eventi.
Che siate appassionati del franchise o meno, fatevi un favore e guardatela: non ne rimarrete delusi.
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Voto Game-eXperience