Un nuovo soulslike da tenere sott’occhio o un titolo dalle belle speranze, che si infrangono una volta stretto il pad tra le mani? Un percorso non certo facile, per questo Dolmen…
I ragazzi di Massive Work Studio hanno da poco rilasciato su tutte le piattaforme di nuova generazione Dolmen, un titolo con grandi potenzialità e uno stile visivo dai tratti decisamente peculiari. Forte dell’esperienza pregressa legata alla serie di Red Faction, lo studio brasiliano ha deciso di cimentarsi in un genere diverso, l’apprezzatissimo Soul, contestualizzandolo in un’ambientazione che ricorda da vicino l’immaginario visivo dell’Alien di Ridley Scott. Il risultato è indubbiamente interessante, seppur non riesca a centrare pienamente il bersaglio prefissato: e ora vi spieghiamo il perché.
Prossima fermata Revion Prime
In termini narrativi, la sceneggiatura di Dolmen parte subito col piede sull’acceleratore, puntando al vivo dell’azione. Sul pianeta Revion Prime sono stati identificati dei cristalli in grado di alterare le relazioni tra le varie dimensioni: in qualità di militare super addestrato alla missione, il nostro obiettivo sarà quello di raggiungere la posizione e recuperarli in sicurezza prima che la situazione precipiti. Dopo un veloce briefing iniziale, in cui viene ribadito come – una volta atterrati sul pianeta – l’intero successo della missione dipenda solo ed esclusivamente dalle nostre azioni, ci ritroviamo immediatamente col pad tra le mani a prendere dimestichezza con i controlli principali, per addentrarci nel vivo dell’avventura.
Il tutto senza, ovviamente, ulteriori dettagli su Revion Prime, sui cristalli e su quali retroscena nasconda una missione, all’apparenza, standard come quella in corso. La scelta di una narrazione ermetica in un contesto alieno come quello di Dolmen è, sulla carta, estremamente interessante – laddove spinge il giocatore ad esplorare al meglio le location, visto che gran parte delle informazioni e della lore saranno disponibili su terminali piazzati nelle varie aree di gioco. Peccato che alcuni “piazzamenti” siano poco logici o accessibili, rendendo elevato il rischio di missare gran parte di questi dati e, alla lunga, di appiattire sensibilmente l’intera narrativa ordita dal team brasiliano.
Del resto, a conti fatti, i punti di fascino con cui Dolmen vuole far presa sono l’ambientazione molto azzeccata da un lato, il gameplay innovativo (almeno nel contesto di Massive Work Studio) dall’altro. E se la prima complessivamente funziona bene, sul secondo abbiamo più dubbi che certezze, a fronte dell’introduzione di meccaniche sì interessanti, ma spesso implementate in modo soltanto superficiale. Il tutto supportato da un’intelligenza artificiale che definire ballerina è riduttivo, che alterna momenti in cui è pressoché impossibile determinare (o anche immaginare) la prossima mossa dell’avversario, con inesorabile game over e retry dell’ultima sezione affrontata, ad altre sequenze in cui il pattern nemico è così ovvio e scontato da rendere la progressione corrente disarmante. Fattore, questo, che trasforma la curva di difficoltà complessiva in una montagna russa frenetica, dove frustrazione e successo pressoché scontato si alternano senza logica apparente.
Dolmen ha le capacità ma non si applica
Se quindi le potenzialità di Dolmen, ad un primo sguardo, sembrerebbero essere fuori da ogni ragionevole dubbio, è quando si stringe il pad tra le mani che la frustrazione non solo inizia a farsi sentire, ma diventa evidente. Inutile nascondere il fatto che, concettualmente, Dolmen cerca di ritagliarsi un piccolo spazio a fianco di mostri sacri del settore – primo su tutti Bloodborne: c’è impegno, questo è chiaro, ma duole dover ammettere che non basta.
Alla base delle meccaniche ludiche di Dolmen c’è la scelta dello sviluppatore di incentrare il focus sulla velocità dei combattimenti e sulla frenesia, donando ulteriore profondità al tutto con l’introduzione di vari elementali (Ghiaccio, Fuoco, Acido e Danno fisico) per garantire una varietà e una diversificazione nell’approccio offensivo. Il funzionamento degli elementali segue gli stilemi della tradizione, laddove ogni nemico sarà vulnerabile ad alcuni di essi e del tutto immune ad altri: compito del giocatore sarà non solo carpire tali informazioni tattiche, ma adattare di volta in volta il proprio stile di combattimento (spesso al volo nel cuore di una battaglia) per avere la meglio contro la minaccia offensiva.
L’utilizzo di shortcut e tasti rapidi, una volta presa confidenza, semplifica quanto basta le nostre mansioni eroiche, permettendo il cambio di tipologia di arma (distanza/melee) o dell’elementale utilizzato in modo sufficientemente rapido da garantirci qualche chance di vittoria aggiuntiva. Certo, prima di padroneggiare queste skill avanzate sarà fisiologico morire svariate volte, visto e considerato – come anticipato poco fa – lo sbilanciamento dell’offensiva nemica, che alterna momenti in stile “passeggiata di salute” ad altri ai limiti dell’abisso nietzschiano. In tutto questo, inoltre, sarà necessaria una bella dose di grinding, finalizzata al recupero di tutti i materiali necessari al miglioramento dell’equip e dell’arsenale in nostro possesso. Lo ripetiamo: le buone intenzioni ci sono tutte, quando si parla di gameplay nudo e crudo, ma una superficialità abbastanza evidente delle meccaniche, unita ad uno sbilanciamento vistoso della risposta offensiva rendono davvero difficile approcciarsi a Dolmen con stupore e meraviglia: l’idea di uno stile di gioco veloce e basato sul cambio radicale di approccio è oggettivamente interessante, ma presenta dei limiti strutturali su cui è difficile soprassedere.
Sul versante grafico, come già accennato, l’universo spaziale di Dolmen offre scorci interessanti, ma è nella cura e nell’attenzione ai dettagli che presta sovente il fianco. Le armature del protagonista appaiono spesso piatte e poco curate, mentre alcune animazioni sono così macchinose e rigide da sembrare prese in prestito alla passata generazione: più in generale, in qualche sezione si nota quanto un lavoro di polishing più fine avrebbe giovato alla resa visiva del tutto. Di contro, il level design si conferma positivo e ben congeniato, con una predisposizione alla verticalità e una diversificazione degli scenari di gioco che tradisce in modo inequivocabile la devozione alla cultura soulslike. Nella norma anche il sonoro, che porta a casa il compito senza tuttavia regalare passaggi più memorabili di altri: sotto questa lente, colonna sonora e effettistica in generale appaiono in linea col contesto ludico di Dolmen, enfatizzandone i passaggi cruciali senza tuttavia propendere verso l’epicità.
La recensione in breve
Seppur lodevole nelle intenzioni, interessante in alcuni suoi passaggi e, complessivamente, coraggioso nell’economia produttiva di Massive Work Studios, difficile considerare questo Dolmen diversamente da un tentativo poco riuscito dello studio brasiliano di affacciarsi ad un segmento, quello dei Souls, che non perdona il minimo errore. L’inesperienza nel genere pesa non poco, è un dato di fatto, ma vuoi per un’IA deficitaria, vuoi per uno sbilanciamento evidente della curva di difficoltà e, non ultimo, un gameplay che non riesce a brillare, dimostrandosi superficiale sotto alcuni punti di vista, difficile dare a Dolmen una sufficienza seppur tirata. Sia chiaro, eventuali fix future e aggiustamenti più o meno invasivi in termine di meccaniche di gioco potranno dare al titolo una propria identità e quella concretezza che, almeno per ora, si intravede solo parzialmente: di certo, dopo questi giorni spesi in quel di Revion Prime, la sensazione che prevale è la frustrazione scaturita da un titolo che non si fa remore alcuna a colpire pesante anche quando il giocatore non ha effettive colpe. Dolmen rimane a conti fatti un’occasione non del tutto sprecata, ma che avrebbe meritato destino migliore: una lezione per Massive Work Studios che, ne siamo certi, potrà tornare a far grandi cose, anche solo basandosi sui numerosi feedback raccolti dalla community. Del resto lo sappiamo, il soulslike non perdona.
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Voto Game-Experience