È difficile raccontare a parole quello che rimane dentro dopo Death Stranding 2. A maggior ragione se si ha vissuto intensamente il primo capitolo di questa saga così fortemente marchiata dall’impronta del suo creatore. Mettere insieme i concetti e farlo, per altro, limitandosi per preservare l’utente finale è ancora più difficile. Death Stranding 2 è troppo in tutto per poter essere imbrigliato in un numero di caratteri utili a raccontarvi i dettagli di come si spara, se ci sono 5 oppure 8 armi e se finalmente ci sia o meno un sistema di copertura dinamica.
Il titolo è però molto di più di questo, così come lo fu il primo, anche se in maniera nettamente opposta dal’opera del 2019. Ci scuserete dunque, se questo articolo non sarà denso di dettagli narrativi, ma ci sembrava giusto rispettare la natura di un gioco che è molto più di un semplice videogioco. Tuffiamoci dunque nella recensione di Death Stranding 2.
Per quelli che arriveranno dopo
Quando annunciarono Death Stranding 2 il sibilo di un boomerang (arma per altro nata proprio in Oceania) ha attraversato le orecchie di chi vi scrive. Perché fare un sequel di un titolo che già di per sé aveva portato a termine in maniera perfetta un viaggio tendenzialmente perfetto nella chiusura del cerchio? Onestamente, questo boomerang ritorna indietro, portando con sé la consapevolezza, che non esiste un cerchio perfetto, a maggior ragione se disegnato a mano da un autore, e non attraverso i freddi calcoli di automatismi intelligenti.
Death Stranding 2 è la perfetta metafora di un viaggio. La destinazione è un pretesto, l’obiettivo una “scusa”, ma a fare la differenza è il percorso, i compagni di viaggio o, semplicemente, sé stessi. Narrativamente il titolo tocca temi con una maturità e una sensibilità davvero spiazzanti. Accettazione del lutto, suicidio, solitudine, sanità mentale, maternità ma anche amore, amicizia e felicità. Inoltre, il titolo di Kojima Production rinsalda il legame con la critica sociale, politica e anche ambientalista, portando sullo schermo con acume e spregiudicatezza un messaggio potente e di impatto.
Noi siamo vittime e carnefici, siamo bastone e carota, siamo sia la corda che unisce che il coltello che la recide. Non possiamo scappare dal nostro destino, ma possiamo plasmarlo con delle azioni consapevoli al fine di salvaguardare sia il domani che l’oggi. Questa spasmodica ricerca di un futuro migliore è poi così pregna di significato che risulta quasi opprimente, stringente e asfissiante. Bisogna comunque fermarsi qui, sebbene ci sarebbe tanto di cui discutere, per preservare la vostra esperienza. Sappiate però che il tocco di Death Stranding 2 è caldo e rassicurante, sicuramente visionario, ma accogliente per tutti coloro i quali, quelle tematiche affrontate le sentono vicine a qualunque grado di profondità.
La maturità
Quello che emerge prepotente dall’esperienza di gioco è un generale senso di maturità che l’opera porta in campo. Sia dal punto di vista della narrazione, come abbiamo potuto vedere prima, ma anche dal punto di vista del gioco in sé. Se lo si raffronta con quanto fatto nel primo capitolo, il gioco mostra come il possibile timore iniziale nel voler osare e proporre un gameplay loop così straniante, abbia lasciato spazio alla consapevolezza e alla necessità di veicolare il viaggio in un mondo ormai collegato. Questo si traduce in una effettiva maggiore giocosità e libertà data al giocatore. Badate bene, la possibilità di scegliere come proseguire (a piedi o con mezzi di trasporto), come affrontare i nemici (furtivi, a fuoco spianato), con che armi (silenziate, non silenziate, armi bianche, armi da lancio, postazioni fisse) non è un semplificare la vita al giocatore ma permettergli di simulare davvero il passare del tempo rispetto al primo capitolo.
Sebbene il viaggio di Sam, lo porti lontano dal Nord America, gli effetti delle sue azioni hanno avuto un’effettiva ripercussione sui collegamenti di un mondo fino a quel momento impossibilitato a vivere le connessioni. É chiaro che questo ha una faccia oscura della medaglia, che consiste nella propensione del giocatore a spostarsi coi mezzi di trasporto, rinunciando al senso di scoperta che permeava le passeggiate del primo capitolo. Se questo, può sembrare un dietrofront, così non è. Kojima Productions ha infatti scelto sapientemente delle missioni in cui il giocatore non può per motivi che non vi racconteremo, utilizzare i sistemi di spostamento più veloci. Questo obbligo, fa in modo che il giocatore riacquisti quelle sensazioni di intimità e viaggio, senza sentirne il peso. Un uroboro di sensazioni che fanno riflettere, quale scelta è quella che fa per noi? Siamo davvero schiavi delle comodità? Siamo in grado di scegliere con raziocinio o l’accesso in maniera istantanea a ogni oggetto è una condanna che ha cambiato la nostra vita?
Il combattimento
La spina nel fianco del primo gioco non è un mistero, erano le boss fight. Figlie di un sistema poco digeribile, macchinose e troppo assillanti. In Death Stranding 2, il modo di affrontare il sistema di combattimento è il medesimo: non ci sono roll, schivate veloci, coperture dinamiche. Bisogna sfruttare l’ambiente, sparare e utilizzare i gadgets per annichilire i nemici.
Nonostante questo, le boss fight non sono così tante. Le CA sono presenti, gli incontri casuali con mid-boss possono accadere, ma sono molto più rari di prima. Questo, aggiunto al fatto che gli strumenti al servizio di Sam sono tantissimi, ci porta a vivere gli scontri in maniera davvero differente e divertente. Per quanto riguarda gli incontri principali, ad esclusione del primo Boss ci hanno invece investito con la loro personalità, con le loro caratteristiche uniche e con delle scenografie magistrali e d’impatto.
Hideo Kojima al suo massimo splendore, con la libertà di inserire il suo tocco folle assieme a quelle stranezze per noi incomprensibili che il mondo orientale inserisce qua e la. Genio e sregolatezza, ma anche citazionismo estremo a opere di cultura di massa, cinema, letteratura e non solo, anche a quei Metal Gear Solid e P.T. che tanto sono rimasti nel cuore dell’autore.
La visione artistica
Un elemento importante e avvolgente è sicuramente la visione artistica, travolgente, ispirata, magnifica e mai stucchevole. La varietà di binomi, di ambienti, di illuminazioni, agenti atmosferici e scorci non ha precedenti a nostro avviso. Il colpo d’occhio è fuori scala per quanto riguarda la generazione attuale e sicuramente ne rappresenta l’apogeo, soprattutto in ambito open world. Quello che stravolge, poi, gli schemi sono gli avvenimenti atmosferici che capitano nelle mappe. Da terremoti e frane a valanghe, da inondazioni a tempeste di sabbia, da tormente di neve a tempeste passando per la nebbia. Tutti elementi visivamente d’impatto, ma con implicazioni pratiche anche nel gameplay, non solo orpelli visivi. Catrame e voragini infine sono dei ritorni importanti, che hanno delle piccole sorprese che non vi sveleremo.
Accanto alla direzione artistica visiva, non si può non parlare della musica, parte fondamentale e integrante dell’esperienza. Se nel primo Death Stranding Ludvig Forssell aveva proposto assieme ai Low Roar ed altri un insieme di musica e sound design di accompagnamento dal tratto emozionale, in questo secondo capitolo gli artisti coinvolti sono di più ma soprattutto la partnership con Woodkid ha un valore quasi simbiotico col gioco. La musica è presente nella narrazione, nella trama, nel gameplay e ha, ancor più che nel primo Death Stranding, il compito di veicolare messaggi e sensazioni dentro e fuori il giocatore.
Commento finale
Il problema, se vogliamo chiamarlo così, di Death Stranding 2 è la sua spiccata e marcata natura narrativa che, nonostante i cambiamenti, porta con sé le difficoltà congenite del primo capitolo nel raggiungere una fluidità di combattimento più vicina a quello che ci si aspetterebbe da un titolo di questa generazione. Nonostante la scelta logistica di dare più varietà di approcci e funzioni, è chiaro che un lavoro sulle funzionalità base del combattimento come i movimenti e l’agilità si sarebbe potuto proporre.
Nonostante ciò, Death Stranding 2 è un’opera sensazionale, un sequel strabiliante che conduce il giocatore per mano verso la scoperta di tematiche delicate e difficili da inserire nei videogiochi. Ci vuole coraggio, ma anche una sensibilità fuori dall’ordinario per scegliere di rompere una delle regole più importanti e non scritte del cinema, facendolo fuori dal cinema, ma in un’opera che è “absolute cinema”. Death Stranding 2 ha nel suo arsenale una delle scene, a nostro avviso, più forti della storia di questo medium e questo è solo uno dei motivi per cui questo gioco rimarrà sicuramente inciso nell’albo di chi il videogioco lo ha segnato per sempre.
La recensione in breve
La maturità con cui Death Stranding 2 si presenta sul mercato è qualcosa di raro. Un gioco in grado di prenderti a pugni lo stomaco con una piuma, lasciandoti interdetto ma felice, scosso ma soddisfatto. Death Stranding 2 è la metafora perfetta del viaggio, dove conta più il percorso che la destinazione.
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Voto Game-eXperience