Se anche voi avete avuto una PlayStation a cavallo degli anni ’90 e, per qualche motivo, provate da sempre un amore incontrollato anche per il più strambo del platform a 3D, è estremamente probabile che quel buffo coccodrillo verde con uno zaino in spalla, nel vostro cuore da videogiocatori, un piccolo segno l’abbia lasciato. Croc: Legend of the Gobbos non sarà certo tramandato nei secoli come paradigma assoluto del genere, ma è innegabile quanto tutti noi lo ricordiamo per quel suo essere scanzonato e immediato, per la sua storia leggera che sembrava quasi una fiaba da bambini e per la sua giocabilità semplice e diretta, capace però di nascondere anche un’inaspettata difficoltà nelle fasi finali. A quasi trent’anni di distanza, questo piccolo classico torna su PS5 con una versione rimasterizzata in alta definizione che, inesorabilmente, prova a muoversi sul filo dell’equilibrio tra rispetto del passato e comfort moderno. Sarà un’impresa alla portata di Croc? Scopriamolo nella nostra recensione di Croc: Legend of the Gobbos Remastered.
Croc, una vecchia fiaba dal cuore di pixel
La storia di Croc: Legend of the Gobbos non ha mai scommesso sulla sceneggiatura, e anche stavolta tutto vuole fare tranne che provarci. I pacifici Gobbos vengono catturati dal cattivissimo Baron Dante, e l’unico a poterli salvare – indovinate un po’ che coincidenza – è Croc, quello strano “figlio adottivo” con la coda, le squame e i riflessi di un giocatore di platform anni ’90 alle prime armi. La struttura narrativa è basilare, sì, ma funziona: è una miccia fatta di nostalgia, che accende un viaggio fatto di salti, segreti e mondi dal sapore retrò.
In termini di gameplay, la formula base è rimasta identica a quella dell’originale. Croc corre, salta, colpisce i nemici con la coda, raccoglie cristalli e, soprattutto, cerca di liberare tutti i Gobbos nascosti nei livelli. Facile, diretto, immediato: il feeling è proprio quello di un platform d’altri tempi, ma l’intervento sui controlli è stato fondamentale – laddove ora è possibile scegliere uno schema di comandi moderno che rende l’esperienza più fluida e reattiva, lasciando la famigerata modalità tank agli amanti più incalliti dei tempi che furono. Inutile dire che, in questa nuova versione, Croc riesce a muoversi decisamente meglio, salta con più precisione e risponde in modo più naturale agli input.
Tuttavia, non basta un vestito nuovo a rendere tutto oro ciò che luccica. La telecamera, illo tempore, rappresentava il tallone d’Achille di Croc: Legend of the Gobbos e, sorpresa, si riconferma tale anche in questa Remastered: nonostante il supporto allo stick destro, l’inquadratura arranca ancora a seguire l’azione nei momenti più frenetici o nei salti più tecnici – che, specie nelle battute finali del gioco, rappresentano la norma. Il tutto sì, chiudendo benevolmente un occhio su alcune animazioni che rimangono un po’ legnose, specie quando si cambia direzione rapidamente o si atterra dopo un balzo.
Un level design tra comfort zone e déjà-vu
I livelli sono strutturati nella più classica delle modalità platform: si parte da un punto A per arrivare a un punto B, cercando nel frattempo cristalli, interruttori da attivare per procedere e Gobbos da liberare. Ogni zona presenta uno stile diverso – praterie, ghiacciai, castelli solo per citarne alcuni– e un leggero incremento nella complessità del platforming, che subisce un’impennata più sensibile in occasione degli scenari finali. La varietà visiva è sicuramente garantita, ma il design mantiene costantemente una forte linearità di fondo risultando quindi alla lunga un po’ prevedibile.
Croc: Legend of the Gobbos non è un gioco che brilla per longevità o particolare profondità, ma riesce comunque a bilanciare ottimamente accessibilità e sfida. I primi livelli scorrono via lisci, quasi coccolando il giocatore. Più procederemo con la raccolta di Gobbos, però, più il gioco inizierà a chiedere un tributo a base di salti precisi, tempismo e attenzione. Niente di insormontabile, specie per i veterani delle piattaforme, ma foste anche voi tra quelli che puntano ad un fisiologico 100%, sappiate che momento di seria frustrazione non mancherà affatto.
Un revamp che ammoderna quanto basta, ma senza esagerare
Giunti a questo punto, viene più che lecito porsi una domanda: ma rispetto a 30 anni fa, cosa aggiunge questa Remastered alla versione originale di Croc: Legend of the Gobbos? Duole un po’ dirlo, ma la risposta non si allontana moltissimo dal “poco”. Niente modalità speedrun, infatti, niente sfide alternative o una qualsivoglia inaspettata modalità online. L’unica vera aggiunta è la “Crocipedia”, un archivio digitale con bozzetti, curiosità e documenti di sviluppo dell’originale: un contenuto pensato per chi c’era allora, indubbiamente apprezzato dagli amici di vecchia data del simpatico Croc ma, se passate la metafora un po’ cinica, è una carezza nostalgica più che un elemento ludico vero e proprio. Funziona, non c’è dubbio, ma non ha nulla a che vedere con un’introduzione in grado di rendere il pacchetto più robusto per chiunque cerchi longevità o contenuti extra.
Sul piano visivo, il lavoro svolto dal team di sviluppo è pulito e rispettoso, ma non certo mosso da ambizione o velleità smodate. I modelli sono più definiti, le texture sono in alta risoluzione e tutto gira a 60fps granitici quanto basta su PS5. Alcuni fondali e parte degli scenari mantengono una certa povertà nei dettagli, ma è abbastanza evidente che la scelta dello sviluppatore è nel solco della continuità, al fine di preservare quanto più possibile l’identità originale anche a costo di sembrare un po’ spoglio e semplicistico. Il risultato è comunque ben più che gradevole, seppur lontano dagli standard artistici del platform moderno.
Stesso discorso per il comparto audio, che segue pedissequamente la stessa filosofia: le musiche iconiche tornano in una scanzonata versione riarrangiata, con un gusto orchestrale leggero che accompagna senza mai invadere. Gli effetti sonori sono basilari ma familiari, e sì, niente doppiaggio. Proprio come una volta.
In conclusione
Croc: Legend of the Gobbos Remastered non vuole stupire, né riscrivere le regole. È un progetto pensato per chi vuole assaggiare ancora una volta un’epoca diversa, più semplice, fatta di giochi che mettevano alla prova con tre cuori e una manciata di cristalli colorati. Funziona? Beh, in parte sì: il gameplay è più accessibile, la grafica è stata ammodernata quanto basta e il cuore dell’avventura è ancora lì, fedele a se stesso. Però i limiti ci sono, ed è impossibile non sentirli: telecamera capricciosa, level design datato e una struttura su cui si è posata parecchia polvere. Per i nostalgici sarà come risfogliare un vecchio album di foto: sbiadite quanto basta, ma ancora capaci di far sorridere. Per gli altri un viaggio curioso, ma con un piede ben piantato nel passato.
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Voto Game-Experience