Se il buon giorno si vede dal mattino, quella che si prospetta all’orizzonte dei ragazzi di Out of the Blue, tutto sommato, dovrebbe essere una bella giornata. Con una forte passione per l’universo di H.P. Lovecraft e un’ispirazione mai troppo celata per titoli del calibro di Firewatch, Myst e Subnautica, il piccolo studio indipendente con base a Madrid è in questi giorni sotto i riflettori mediatici di Xbox Series X grazie a Call of the Sea, ispirato titolo d’esordio – esclusiva Xbox e PC – che, vuoi per l’atmosfera evocativa, vuoi per le peculiari meccaniche di gioco, strizza l’occhio al sempreverde genere dell’adventure game in 3D. Un titolo di nicchia, per certi versi, disponibile a costo zero per gli abbonati all’ottimo Game Pass di Microsoft e abile nell’offrire sei/sette ore di riflessione, tranquillità e (tanti) enigmi: il tutto accompagnato da una buona storia, che pur senza scendere nell’orrore viscerale del profeta di Providence attinge a piene mani dalle sue memorabili atmosfere e dai suoi misteri. Misteri che, immersi nella natura rigogliosa di un’isola (quasi) inesplorata nel Pacifico degli anni ’30, convincono e ammaliano anche su Xbox Series X.
A spasso per la Polinesia
La struttura ludica di Call of the Sea, come anticipato in apertura, ripropone gli stilemi dell’adventure 3D più tradizionale: un mix di walking simulator in perfetto stile Firewatch, dove la progressione è scandita dalla soluzione di una serie di enigmi (su cui torneremo a breve) più o meno complessi. Siamo pertanto di fronte ad uno schema di gioco estremamente semplice ed intuitivo – lo stesso control schema, che richiederà la pressione di tre tasti in tutto per interagire, accelerare il proprio passo e aprire il diario di viaggio, ne è un testimone lampante – che si basa su due pilastri interdipendenti: la narrazione da un lato, il puzzle solving dall’altro.
Partiamo dunque dalla sceneggiatura di Call of the Sea, che vede per protagonista la giovane Norah. Vittima di una malattia ereditaria che le ha già portato via la madre e, lentamente, sta iniziando a divorarla, la giovane ha dalla propria parte Harry, il coraggioso marito che, pur di liberarla da tale fardello, si è imbarcato in una misteriosa spedizione in un’isola polinesiana sperduta del Pacifico. Un’isola inesplorata, dove forse si nasconde il segreto per la salvezza dell’amata moglie – ma che, allo stesso modo, cela pericoli e insidie ben oltre l’immaginazione umana. Non è infatti un caso se, una volta raggiunto il luogo della spedizione, Norah è “vittima” di un rapido precipitare di eventi che lasciano intendere che sì, il cammino di Harry e della sua brigata tutto è stato tranne che semplice. E che, forse, non è la sola a rischiare la vita…
Se da un lato il concetto di ritmo, in un titolo come Call of the Sea, è ragionevolmente inutile, dall’altro va premiato l’ordito narrativo intessuto dai ragazzi di Out of the Blue, che evitano la strada facile del “rendere tutto fumoso e droppare dal nulla la bomba atomica del colpo di scena” in favore di un approccio davvero più letterario, dove ciascun tassello raggiunge progressivamente il proprio posto permettendo di delineare in modo via via più nitido quel terribile quadro, inizialmente inintelligibile. Certo, i giocatori più smaliziati potrebbero capire in anticipo dove Call of the Sea voglia andare a parare – e lo ripetiamo, non fa nulla per nasconderlo già dalle prime missioni: ma il risultato complessivo è comunque gradevole, e accompagna il giocatore in una disperata (a tratti delirante) ricerca dell’amore perduto. E della salvezza, non dimentichiamocelo… In questo contesto, l’universo di Lovecraft trova un’ottima collocazione: dimentichiamoci creature dormienti, mostri eterni che soggiogano lo spazio-tempo dell’isola, culti spietati o altre chicche che la letteratura ludica ci ha regalato negli anni, però. In Call of the Sea, lo zampino dello scrittore è lampante nelle atmosfere generali, nelle metamorfosi che l’isola compirà attorno a noi trasformando un’enorme foresta rigogliosa in una geometria fredda, metallica e spigolosa. È qualcosa di più sottile, forse persino più infido: come se l’isola fosse un crocevia, un portale oscillante tra due dimensioni dove la nostra realtà e… beh, l’altra, di volta in volta coesistono o si scambiano di posto. Una scelta stilistica azzeccata, insomma, che rende ulteriormente appassionante la narrativa del titolo.
Un enigma dopo l’altro
Sul fronte gameplay, l’unico attore a calcare il palcoscenico di Call of the Sea è il sistema di enigmi: il titolo di Out of the Blue si compone da sei livelli (prologo escluso), ciascuno dei quali richiede la soluzione di un enigma principale per garantire la progressione allo scenario successivo. Per risolvere questo, nel livello sono disseminati altri puzzle, più ridotti, la cui soluzione darà al giocatore le informazioni (o gli oggetti) necessari per venire a capo del quesito del “master”. Un principio di sintesi additiva che funziona in modo astuto, abile nel gettare il giocatore in un fisiologico sconforto iniziale per poi accompagnarlo passo dopo passo verso la soluzione principale. Gli enigmi, dal canto proprio, non sono mai eccessivamente arzigogolati (ad eccezione di un paio, nei livelli conclusivi, dove le vostre meningi – o la pazienza? – saranno messe a dura prova). Certo, sarà necessario esplorare anche più volte la location corrente e ricorrere alla propria concentrazione in svariate occasioni: ma col minimo piglio di attenzione e la giusta dedizione, non dovrebbero servire più di sei o sette ore per venire a capo del primo playthrough di Call of the Sea. Senza contare che, in tutto questo, avrete sempre un valido alleato.
Un alleato che si chiama Diario, suddiviso nelle sezioni Note e Registro al cui interno Norah, con alacre perizia, andrà ad annotare qualsiasi cosa di “fuori posto” noti nel proprio viaggio. Più in generale, all’interno del Diario andranno a confluire indizi, appunti e annotazioni figli dell’esplorazione dell’area corrente di gioco: non aspettatevi di trovare la soluzione bella e scritta, una volta analizzati tutti gli indizi – pensatelo piuttosto come un valido sostituto della carta e penna che i giocatori più attempati, ere geologiche or sono, utilizzavano per non perdere pezzi per strada. Se da un lato stiamo parlando del miglior compagno di viaggio che potreste desiderare in una caccia al tesoro dispersi nel Pacifico, dall’altro preparatevi ad un rapporto d’amore e odio quando, di fronte alle sue pagine piene zeppe di appunti, la soluzione non vuol comunque palesarsi nel vostro cervello – cosa che sì, almeno un paio di volte capiterà. Potrete sempre andare a caso, questo è chiaro, ma vi privereste di quella bellissima sensazione di scoperta che accompagna ogni enigma rispedito al mittente: a voi la scelta…
Enigmi Next Gen
Piccola parentesi conclusiva sulla componente tecnologica di Call of the Sea, che pur senza far gridare al miracolo fa la propria figura nella nuova ammiraglia Microsoft. Non stiamo certo parlando di un titolo con ambizioni fotorealistiche, ma lo stile artistico imposto dallo studio madrileno è piacevole da vedere e esplorare, complice una palette cromatica che alterna colori sgargianti e vividi (la tipica foresta polinesiana) ad altri, freddissimi e ostili, quando l’animo Lovecraftiano del titolo emerge… Non mancano alcune piccole magagne tecniche, come delle texture visivamente più sbiadite o trasandate di altre, qualche calo di fluidità (nelle rotazioni veloci della telecamera, ad esempio, quando si cerca affannosamente qualche punto di interesse) o sezioni in cui il motion blur risultata più fastidioso che realistico. Trattandosi di un avventura decisamente slow-paced, possiamo comunque affermare che l’impatto di tali difetti sulla giocabilità complessiva sia comunque ridotto: del resto, sarete troppo impegnati a spremervi le meningi per notare i peccati di gioventù di Out of the Blue. Positivo anche il doppiaggio lingua inglese, anche se la parte da leone nell’impianto audio spetta agli FX e – più in generale – all’audio “ambientale”: volume alto e un buon impianto acceso, tutto sommato, renderanno la ricerca della salvezza di Norah ancora più coinvolgente.
Versione testata: Xbox Series X
Versioni disponibili: Xbox One, Xbox Series X|S, PC
La recensione in breve
Call of the Sea, da qualsiasi parte lo si guardi, è quel grazioso regalo di Natale che dedichi ad una persona speciale, sapendo di far centro nel suo cuore. Fuor di metafora, stiamo parlando di un titolo dichiaratamente rivolto ad una nicchia di pubblico di romantici amanti dell’adventure game – declinato ovviamente secondo i dettami della moderna arte videoludica – che rifuggono dalla frenesia dello “spara-spara” e preferiscono dedicare il proprio tempo libero ad un avventura più compassata, riflessiva e, seppur potenzialmente frustrante, capace di regalare una degna sfida alla propria materia grigia. Un titolo che ovviamente non soddisferà tutti i palati, ma che all’interno del proprio segmento di appartenenza gioca la propria prima partita in modo convincente: la giovine età di Out of the Blue paga dazio (tanto nel versante tecnico quanto, in un paio di occasioni, nel puzzle design), ma come punto di partenza non c’è male. Anche il buon Lovecraft, questa volta, dovrebbe essere d’accordo.
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Voto Game-Experience