Pensare che dall’annuncio di Bayonetta 3 ad oggi, giorno in cui chi vi scrive ha messo mano per la prima volta al codice definitivo del titolo, sono passati la bellezza di 5 anni beh, è una di quelle situazioni che fa sì sorridere, ma pure riflettere parecchio. 60 mesi in cui è successo di tutto: una new gen di console, un’infinità di illustri ritardi/rinvii e sparizioni dai radar, un’epidemia su scala globale che tutto ha fatto tranne rendere facile la vita a numerosi team di sviluppo – tra cui Platinum Games stessa e sì, chi più ne ha più ne metta. Al punto che non è passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui davamo per spacciato il terzo capitolo della strega più famosa del medium: un capitolo atteso oltre la soglia del febbrile da milioni di giocatori, stregati (non una parola a caso) letteralmente da un franchise che, nel corso degli anni, ha saputo non solo ritagliarsi il ruolo di protagonista indiscusso nel regno dello stylish combat ma, e soprattutto, divenire metro di paragone per un numero enorme di produzioni a seguire. Un franchise divenuto un’icona, un cavallo di razza per la scuderia Nintendo sul cui futuro gravava l’enorme peso delle aspettative dei giocatori. E ora che quel futuro è divenuto presente possiamo svelarvi da subito che sì, l’abbiamo aspettato forse quasi troppo, ma ne è valsa dannatamente la pena: Bayonetta 3 è il titolo più ambizioso, spregiudicato, irriverente, folle, qualsiasi cosa vi venga in mente partorito ad oggi dalla mente di Platinum Games e del Team Little Angels. Un tiro che sfiora il centro perfetto: e se mai i precedenti capitoli avessero appoggiato da qualche parte lassù (molto) in alto la proverbiale asticella, oggi preparatevi a vederla volare in orbita a suon di calci. Ce l’eravamo vista brutta, inutile nasconderlo: ma come vedremo nella recensione di Bayonetta 3, dire che stavolta è andata meglio del previsto, credeteci, è riduttivo.
Bayonetta 3: Tremate, tremate, le streghe son tornate…
Che Bayonetta 3 sia un titolo con una gestazione travagliata, primancora che un capolavoro, lo si può intuire da qualche dettaglio. Il cambio del Director in corso d’opera è solo la punta di un iceberg sulla cui base, difficilmente, avremo mai notizie certe. Prendere le redini di un progetto ambizioso come questo, in un periodo storico tutto tranne che favorevole non è impresa da tutti: il che, in una timeline standard, lascerebbe presagire qualche mancanza al prodotto finale, figlio di una potenziale inerzia derivativa (più che giustificabile, sia chiaro) o di quella fretta che, dopo anni di sviluppo, spinge quanto prima a chiudere i lavori, magari a discapito di parte della qualità. Ma quando si parla di Bayonetta nulla va come lo si prevede: e al netto di un paio di difetti, il risultato supera ogni aspettativa.
In termini prettamente narrativi, è cosa abbastanza conclamata che, sin dagli esordi, le sceneggiature della serie non fossero esageratamente profonde. Non certo una mera cornice per dar sfoggia di un gameplay pantagruelico, questo è chiaro, ma una lore stregonesca soltanto abbozzata e alcune idee un po’ pretestuose hanno da sempre accompagnato le gesta di Bayonetta e Jean. Una formula che si mantiene anche in questo caso, laddove il tentativo parziale di approfondire l’origine del personaggio, scalfito nel secondo episodio, viene abbandonato a favore di un racconto del tutto inedito che usa (o forse, visto il periodo, è il caso di dire abusa) del concetto di Multiverso. Come sempre non scenderemo nei dettagli, lasciando al giocatore il piacere della scoperta – e, al netto di un paio di colpi di scena un po’ telefonati, la possibilità di godersi di un ritmo sempre incalzante che, senza sosta, butta sempre più benzina sul fuoco. Spesso in modo un po’ troppo fine a sé stesso, altre volte quasi senza ritegno, in molte occasioni in modo astuto per spingere il giocatore ad addentrarsi nei segreti degli Homunculus.
Sì, perché se da un lato l’introduzione del Multiverso potrebbe apparire come la scelta comoda del team di sviluppo (quella che, per definizione, garantisce un via libera creativo per il quale “beh, perché no?”), l’arrivo degli Homunculus è un jolly che cambia il secolare equilibrio Bene/Male che caratterizza il franchise. Niente più angeli e demoni, ma creature apparentemente figlie dell’uomo che, guidate da un misterioso leader chiamato Singularity mirano a distruggere la struttura del Multiverso al fine di far collassare tutte le possibili realtà in una sola. Tra sequenze iniziali dal profumo poco velato di Doctor Strange e mirabolanti intro, come sempre, dal ritmo indiavolato (avete mai visto Manhattan vittima di un’inondazione che arriva fin sopra i tetti dei grattacieli? Ok, questi sono i primi 10 minuti di Bayonetta 3), la coppia di Streghe di Umbra farà la conoscenza di Viola, viaggiatrice degli universi in salsa punk che, sopravvissuta per miracolo alla distruzione del proprio, sarà costretta a chiedere l’aiuto delle nostre eroine: sia per recuperare oggetti specifici chiamati Componenti del Caos, capaci di tener testa a Singularity e al suo esercito, sia per trovare tale dottor Sigurd, l’unico uomo sul pianeta che abbia una vaga idea di come usarli. E qui ci fermiamo perché, non l’aveste capito, il bello arriva subito.
Una valanga di novità
Bayonetta 3, pur senza fuggire dal solco scavato dal franchise Platinum Games, non fa assolutamente nulla per nascondere ambizione, sfrontatezza, irriverenza e voglia di osare. E lo fa in modo brutalmente sfacciato con una vocazione spudoratamente action fatta di sequenze dal ritmo asfissiante, con il giocatore di volta in volta accerchiato da nemici standard (gli Homunculus, nonostante ve ne siano di più tipologie), da creature grandi come palazzine o da evocazioni che vabbè, abbiamo temuto che la nostra Switch esplodesse per il carico computazionale richiesto. Il tutto sfrecciando senza sosta da enormi spazi aperti, dove la morte piove da ogni angolo, ad interni angustissimi dove è quasi impossibile muoversi – pensate ai vagoni di un treno di una Tokyo alternativa: abbiamo detto “quasi impossibile”, sia chiaro, perché le novità in termini di meccaniche introdotte in questa nuova iterazione portano alla luce un gameplay profondamente rivisitato che sì, scrolla di dosso ogni dubbio sulla possibilità che Bayonetta 3, come il predecessore, possa essere alla lunga derivativo.
La base d’asta rimane sempre la stessa: un action stylish con un numero pressoché indefinito di combo chilometriche, che possono a propria volta essere inanellate per dare vita a sequenze di attacco devastanti. Nei menu di caricamento sarà come sempre possibile allenarsi (oltre che nella sezione di training apposita) quantomeno per memorizzarne alcune, ma se già vi sembravano un’esagerazione quelle dei precedenti capitoli beh, in bocca al lupo. Come sempre sarà possibile equipaggiare Bayonetta con armi diversi, alternare tra diversi stili offensivi ovviamente configurabili, sfruttare i servigi del consueto Rodin per equipaggiarsi a tutto punto e scendere sul campo di battaglia senza indugi. Quindi sì, la base di partenza è il solito, eccellente stylish action che conosciamo: e ora, le novità.
La prima, estremamente utile tanto in fase di esplorazione quanto nelle sequenze combat, è la Mimesi Demoniaca. Bayonetta, detta in modo facile, potrà assumere le sembianze umanoidi dei demoni le cui essenze ne permeano le armi: ammettiamo che al primo giro sia alquanto difficile da digerire, ma pad alla mano basta davvero poco per intuire come, ad esempio, un doppio tap su ZR la trasformerà in una farfalla – con tutti i pro che derivano nella gestione delle fasi aree, di doppio salto o planata. Ci sono parecchie varianti di Mimesi Demoniache, alcune molto folli, altre così tanto fuori di testa che qualche domanda sullo stato mentale dei dev ve la porrete – e no, zero spoiler. È evidente come questa meccanica rappresenti un primo game changer rispetto al passato, laddove dona all’esplorazione un nuovo layer di profondità) – complice anche un level design variegato e molto interessante – e, allo stesso tempo, delle alternative strategiche interessanti quando è ora di combattere.
Qualche demone per amico
Perché, lo sappiamo tutti, è quando si menano gambe e braccia che Bayonetta 3 regala il massimo del proprio potenziale. E visto che il leit motiv è “esageriamo”, ecco che fa capolino la meccanica delle Evocazioni. Avete presente quei mostri giganteschi che, in passato, nascevano dal capelli della strega e facevano a brandelli qualsiasi cosa si frapponesse nel loro cammino? La mitica Madama Butterfly o l’affamatissimo Gomorra potranno essere controllati, in questa nuova iterazione, direttamente dal giocatore, a patto di avere abbastanza energia spirituale per evocarli. Il tutto affidandosi all’antico rito della Succube, che richiederà a Bayonetta di ballare (letteralmente) per muovere le enormi creature demoniache a proprio piacimento. Sì, ce n’è abbastanza, almeno inizialmente, per uscire di testa.
La meccanica dell’Evocazione richiede al giocatore tre punti di attenzione: serve energia spirituale per evocare la bestia e tenerla sul campo di battaglia; la nostra creaturina può prendere legnate molto forti e se, menata abbastanza, può essere resa temporaneamente inutilizzabile; fintanto che Gomorra e soci sono in battaglia, la danzante Bayonetta sarà esposta agli innumerevoli attacchi di qualsiasi cosa ci sia su schermo. Il che ci porta ad un punto estremamente interessante: le Evocazioni vanno usate con un minimo di piglio strategico. La presenza di un meter energetico che si esaurisce in modo abbastanza veloce spinge al ricorso di questa tecnica solo quando la situazione lo richieda con forza – e non, permetteteci l’ovvietà, quando si vuole vincere facile lasciando il lavoro sporco al Godzilla dell’Inferno. Detto ciò, potremo evocare il nostro servitore liberamente (se permesso dalla location), mantenendo premuto ZL: schierarlo contro molti nemici piccolo o, al contrario, contro un singolo nemico enorme, sarà una scelta tattica interamente a carico del giocatore. Giocatore che dovrà tenere a mente l’ultimo punto citato poco fa, ossia l’esposizione della strega agli attacchi avversari: in base alla situazione sul campo di battaglia, nessuno ci vieterà di richiamare il Demone e tornare nei panni della strega, magari sfruttando i Sabbath Temporali per sfoltire le file nemiche e, come mossa finale, lasciare il palcoscenico alla creature. Un tale approccio strategico alla battaglia, in un franchise come Bayonetta, oltre che del tutto inedito è strepitoso sotto ogni punto di vista: sia di gameplay sia, come vedrete voi stessi, di spettacolarità.
Potremmo citare ancora moltissime cose sul gameplay di Bayonetta 3: le migliori boss fight dell’intera serie (che, a braccetto con le Evocazioni, portano a Climax finali da slogare la mandibola), un arsenale così stracolmo che vi dimenticherete presto di cosa sarete in possesso, una componente esplorativa marcata che premia i giocatori più perspicaci e volenterosi. Ogni livello nasconde tre lacrime di Umbra, nascoste nelle fattezze di un corvo, un gatto e un rospo: catturateli tutti (e ve lo diciamo subito, buona fortuna!) e avrete l’accesso a nuovi scenari e nuove sfide, che premiano i vincitori con armi o equip ben oltre l’immaginazione. Qualsiasi cosa, ormai l’avrete capito, è esagerata, spinta oltre ogni limite: quantità e dimensione dei nemici, attacchi, combo, armi, demoni da controllare, ogni cosa. Non che Platinum Games fosse celebre per essere uno studio morigerato, ma era difficile aspettarsi una display of power così brutale. E pensate che non è tutto…
L’ultima novità, e qualche dazio da pagare
Paragrafo speciale in questa lunghissima recensione di Bayonetta 3 è riservato a Viola, new entry del franchise capace di lasciare la propria stilosissima firma tanto in termini di narrazione quanto, seppur con qualche piccola riserva, di gameplay. Se sul versante trama manterremo ancora una volta il silenzio stampa assoluto, se non per elogiare l’ottimo rapporto sviluppato tra lei e la protagonista – con cui instaura una sorta di legame allieva/maestra nel tentativo di mostrare disperatamente il proprio valore, in termini di meccaniche di gioco Viola è l’ennesimo game-breaker alla collaudatissima formula Cereza-Jeanne dei precedenti episodi. E posto che Jeanne è ancora lì al proprio posto, con tanto di sezioni a lei interamente riservate ancora una volta ben oltre i limiti dell’immaginazione, le numerose sequenze nei panni di Viola ci permettono di districarci in un gameplay differente, più potente in termini offensivi e distruttivi di quanto la stessa Bayonetta sia in grado di fare e, seppur limitato in termini quantitativi (combo, armi ed evocazioni sono decisamente più limitate), a dir poco appagante. Dall’utilizzo della parry in luogo del Sabbath Temporale, passando per l’evocazione del fantastico Cheshire (una rivisitazione del gatto di Alice di cui sappiatelo, vi innamorerete alla follia), la fanciulla che proviene dall’altra dimensione è un ingrediente vincente nella ricetta complessiva, che dona all’intera esperienza di gioco un’ulteriore sfaccettatura cambiando parte delle carte in tavola.
Ma se ricordate quanto abbiamo scritto in apertura, vi avevamo promesso che sì, Bayonetta 3 sarebbe stato indimenticabile seppur non privo di qualche difetto. Sulla narrazione leggera abbiamo già speso alcune parole: ora, un po’ a malincuore, è tempo di parlare del comparto tecnico del titolo, che pur dimostrandosi abbondantemente sopra la soglia della soddisfazione ha finito per regalarci qualche grattacapo. Niente da dire sul frame rate, granitico dall’inizio alla fine del playthrough, e niente da dire nemmeno sulla modalità di gioco handheld, che appare cromaticamente appagante e, nonostante la ricchezza di elementi su scena, mai confusionaria – a patto di godere di buona illuminazione generale. I difetti più grossi, come alias a tratti molto evidente, texture a risoluzione inferiore o modellazione nemica spesso soltanto sufficiente appaiono chiari in modalità docked, magari su un televisore 4K dalla diagonale molto generosa. Nulla che infici il gioco in alcun modo, sia chiaro: ma sezioni dai colori più slavati o poco nitide, modelli in lontananza che sembrano appartenere alla passata gen di console o, più in generale, una resa visiva che a tratti appare opaca e poco dettagliata sono elementi su cui, in sede di recensione, non possiamo soprassedere. Che poi si tratti di un dazio inevitabile da pagare, per garantire a Bayonetta 3 giocabilità stellare, dozzine di nemici su schermo e un ritmo diabolico dai titoli di testa ai titoli di coda beh, questo lo sappiamo tutti. E se leggete il numero in fondo a questa analisi beh, capirete da soli quanto, in uno spettacolo gargantuesco come questo, possano in qualche modo fare la differenza.
La recensione in breve
Si dice che tre sia il numero perfetto. Nel caso di Bayonetta, dati tutti gli onori del caso al capostipite per aver portato ai massimi livelli il genere dello stylish action, possiamo solo ribadire l’ovvio. Bayonetta 3 è un must have per chiunque ami il franchise, per chiunque ami il genere e, osiamo dirlo, per chiunque possegga l’ibrida Nintendo e sia alla ricerca di un’esperienza memorabile, divertente, frenetica ed appassionante. Un’esclusiva per il colosso di Kyoto che pesa come un macigno, che dopo 5 anni di attesa, paura e previsioni funeste scaccia magicamente (ovviamente di magia Umbra stiamo parlando) ogni dubbio per svelare al mondo quello che, per chi vi scrive, è a mani basse il miglior action disponibile sul mercato. Poco importa se il comparto tecnico, ogni tanto, fa le bizze: una storia non eccelsa ma ben calibrata, un nuovo doppiaggio che non fa minimamente rimpiangere quello passato e, soprattutto, un gameplay stellare bastano e avanzano. Se volete davvero sapere cosa significhi, per un videogioco, osare ed esagerare oltre ogni misura, non troverete insegnante migliore sulla piazza.
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Voto Game-Experience