L’arrivo di Atomic Heart, la cui recensione è oggetto di questo articolo, ci porta finalmente a contatto con uno dei giochi più attesi o, per lo meno, più chiacchierati degli ultimi anni. Si è parlato tanto di questo fps single player, del suo essere un Bioshock made in Russia e dell’impatto che, la release dell’ultima fatica Mundfish Games avrebbe avuto sul mondo dei videogiochi.
Abbiamo ricevuto, dunque, una copia di Atomic Heart per Xbox Series X e lo abbiam spolpato a fondo, dopo aver guardato il gustosissimo trailer live action, reo di canzonare ben benino Hogwarts Legacy, per renderci conto se le tante aspettative riposte in questa produzione russa siano state, totalmente o solo in parte, ripagate. Procediamo con ordine ma, vi dico sin da ora che l’hype, spesso e volentieri, è il miglior game killer esistente. Scopriamo, dunque, insieme, la reale caratura di questo fps atomico, con la nostra recensione di Atomic Heart.
La storia, riscritta
Il mondo, così come lo conosciamo oggi, è una gigantesca menzogna: la seconda guerra mondiale, infatti, è stata vinta dall’Unione Sovietica che, per via degli enormi risarcimenti di guerra, è riuscita a porsi in prima linea per quel che riguarda l’evoluzione tecnologica, risultando faro e modello per tutte le altre nazioni del mondo.
L’immenso progresso scientifico, conseguito dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha portato all’inizio della cosidetta “Robot Age“, una società utopica in cui, grazie all’opera del regime comunista russo, la meccanizzazione ha raggiunto punti tali da permettere una pacifica coesistenza tra umani e macchine.
Il Kollectiv 1.0 ha guidato questa fase di transizione spingendo talmente in avanti il progresso scientifico, da permettere, in un futuro prossimo, il compimento dell’ultimo passo nella strada della integrazione meccanizzata, la fusione tra uomo e macchine.
Questo passo, che coinciderà con l’inaugurazione del Kollectiv 2.0, porterà l’uomo a poter compiere immensi balzi di conoscenza solo mediante l’utilizzo di polimeri che, integrati nel corpo umano mediante sofisticati meccanismi di implementazione, garantirà l’acquisizione di qualsivoglia conoscenza in pochi secondi.
L’avvento del Kollectiv 2.0
Niente più studi matti e disperatissimi o addestramenti bellici di durata pluriennale, la conoscenza di qualsiasi materia, e di qualsiasi arte (bellica o meno) sarà alla portata di tutti, garantendo così la proliferazione di menti geniali all’interno della società bolscevica, oltre che una ulteriore spinta verso l’evoluzione, ed il conseguente successo, della madre Russia nei confronti del mondo intero.
Nei panni del Maggiore Sergey Alekseyevich Nechaev, meglio conosciuto come Maggiore Nechaev o Agente P3, un membro del KGB, ci troveremo in Chelomey City esattamente nel giorno dell’inaugurazione del Kollectiv 2.0. La macchina propagandistica bolscevica ha dato rilevanza mondiale a questo evento, al punto da organizzare una dimostrazione atta a mostrare i muscoli della nazione nei confronti del mondo.
Giunti in città sarà nostro compito metterci in contatto con Dmitry Sechenov, direttore delle operazioni speciali del KGB nel mondo. L’Agente P3 nutre un debito di riconoscenza immenso nei confronti di Sechenov, responsabile del suo salvataggio e artefice del suo accesso ai Combat Polymer Implants, un meccanismo di acquisizione polimerico che, accoppiato ad uno scheletro rinforzato da una innovativa lega metallica, rendono il maggiore Nechaev una vera e propria macchina da guerra.
Durante il trasferimento, a bordo di un mezzo volante, un apparente malfunzionamento dei robot di sorveglianza fa si che il convoglio utilizzato dal maggiore venga preso di mira dagli stessi, facendolo schiantare rovinosamente. Questo sarà l’incipit narrativo grazie al quale scopriremo la ribellione della maggior parte dei robot esistenti che, di punto in bianco, hanno iniziato ad attaccare (e sterminare) gli esseri umani da cui prima dipendevano.
Il Bioshock russo…o forse no
Scopriremo, di li a poco, che la ribellione altro non è che il frutto di un sabotaggio deliberato da parte del compagno Victor Vasilievic Petrov, precedentemente detenuto come nemico della patria: nostro compito sarà, dunque, mettersi sulle sue tracce per scoprire il motivo di tale voltafaccia. Nostra spettanza sarà, inoltre, trovare un rimedio a quanto successo, onde evitare che la notizia di questo ammutinamento high-tech giunga alle nazioni nemiche, evitando dunque di mettere in imbarazzo il regime bolscevico agli occhi del mondo.
Da quel che possiamo vedere il comparto narrativo risulta essere di primissima caratura e, per quanto vi abbia raccontato solo la fase iniziale delle avventure del Maggiore Nechaev, posso assicurarvi che la visione di insieme allestita dai ragazzi di Mundifish Games rende giustizia ad una idea di base interessante e davvero ben sviluppata.
Non incederò oltremodo nella narrazione, per non togliervi il piacere di scoprire le interessanti pieghe evolutive della storyline, visto anche che Atomic Heart sarà disponibile sin dal day one su Game Pass ed è, tra l’altro, già disponibile per il preload.
Nei ben cinque anni intercorsi dal trailer di annuncio, Atomic Heart è stato spesso definito, tanto per ambientazione, quanto per comparto narrativo, come la risposta russa a Bioshock ma, alla prova dei fatti, seppure sia innegabile notare più di qualche somiglianza con il capolavoro made in Irrational Games, tocca notare quanto l’ultimo nato in casa Mundfish, abbia una anima sua propria.
Bioshock, sicuramente, ha rappresentato una importante ispirazione per il team russo, ma sarebbe ingeneroso ridurre il tutto ad una così ardita similitudine speculare. Di fatto l’unica vera somiglianza è rappresentata dal combat system ibrido, che ci permetterà di affrontare i robot utilizzando tanto armi da mischia o da fuoco, quanto dei poteri psichici con i quali manipolare la realtà e le forme di energia a nostro favore.
Combat system ispirato ma datato
Le prime ore di gioco ci vedranno alle prese con un sempre crescente numero di robot nemici, capaci tanto di assalto da contatto, quanto di attacchi da distanza, armati solo di una ascia e, dopo poche ore di gioco, di un attacco elettrico atto a immobilizzare temporaneamente i nostri avversari al fine di poter meglio attuare una strategia di attacco funzionale alla loro neutralizzazione.
Come da prassi in questa tipologia di giochi, l’attacco fisico potrà essere debole o forte con il secondo che richiederà, ovviamente, un tempo di preparazione più lungo: da qui, come è facile intuire, sarà fondamentale mixare attacchi fisici con attacchi psichici per non risultare vulnerabili per troppo tempo. La curva di apprendimento in questa fase, anche a livelli di difficoltà non proibitivi, risulta essere comunque, se non irta, sicuramente non in discesa. Questo a causa di alcune scelte, inerenti la fase difensiva, che mi hanno lasciato alquanto perplesso.
Non è infatti presente la possibilità di parare gli attacchi: l’unica soluzione per non impattare sistematicamente contro le metalliche membra dei nostri avversari sarà affidarsi ad una schivata contestuale, da attivare all’apparizione di un warning di colore rosso a schermo. Tutto ciò va, però, a scontrarsi con una legnosità del sistema di controllo che va a svilire l’innegabile dinamismo dell’azione.
Se a ciò aggiungiamo, inoltre, che il buon Agente P3 ha a disposizione una sola velocità di movimento (non è presente, infatti, la possibilità di correre o, quantomeno, di scattare temporaneamente) vi renderete ben presto conto che ci troviamo davanti ad un sistema di controllo che odora di stantio da tutti i pori. Considerando inoltre che la maggior parte dei robot, invece, avrà la possibilità di variare la velocità, correndo verso di noi per indirizzarci repentinamente al nostro viaggio terminale, la scelta di non dotare P3 di almeno due velocità risulta alquanto bislacca ed inspiegabile.
Certo, avremo la possibilità di effettuare un approccio stealth, ma il livello di rifinitura di questa dinamica, alquanto approssimativo, non ci permetterà mai di impostare un intero stage in modalità incognita: basterà infatti essere scoperti da un robot, per allertare tutti i robot dello stage riguardo la nostra presenza, anche se non in distanza di avvistamento.
Non pensiate, però, che Atomic Heart viva solo di ombre, anzi. Il combat system sarà infatti passibile di costante variazioni ed aggiornamenti, con la progressione nelle varie aree di gioco. Mano a mano che raccoglieremo polimeri e materiali, potremo infatti investirli per potenziare tanto le armi in nostro possesso quanto il guanto polimerico, andando dunque a sbloccare nuove features e, contestualmente, innovativi livelli di approccio al combattimento.
Character design, tra luci ed ombre
Potremo, infatti, padroneggiare la levitazione, sollevando un sempre maggior numero di avversari, per poi scagliarli violentemente al suolo continuando ad attaccarli, contestualmente alla fase di sollevamento, con attacchi classici. Avremo anche la possibilità di smembrare, mediante poteri psichici i nemici che si frapporranno tra noi ed il successo, e così via, andando a variare e vivacizzare, di fatto, un gameplay che, altrimenti, sarebbe risultato ripetitivo dopo qualche ora di gioco.
Al netto del tutto, insomma, l’unico vero problema di Atomic Heart, dovuto palesemente ad una progettazione che sa di old-gen da miglia di distanza, risulta essere il sistema difensivo, capace di svilire (e causare repentini game over) la freneticità del gameplay, da metà playthrough in poi: fortunatamente il sistema di check-point dinamico ci permetterà di ri-iniziare senza troppi patemi da dove si era (meritatamente) conclusa la nostra precedente esperienza di gioco.
La medesima alternanza tra luci ed ombre è presente, ahinoi, anche nel segmento del character design: assistiamo infatti tanto alla presenza di robot ben disegnati e ben animati, quanto a quella di loro colleghi realizzati in maniera molto più spartana. Lo stesso può esser detto dei pattern di attacco dei nostri nemici, dotati di una IA “kamikaze” che vede nell’attacco matto e disperatissimo l’unico leitmotiv del loro approccio al combattimento.
Interessanti, invece, le dinamiche dei robot volanti che, oltre alla fase di attacco, si adopereranno, se non abbattuti in tempo, a riparare le strutture offensive nemiche (torrette o telecamere di sorveglianza) da noi distrutte per facilitarci la progressione nel livello. Tutto ciò, ad occhio, da l’impressione di un prodotto solo parzialmente rifinito, oltre che di un team talentuoso dotato di molte buone idee, applicate però solo parzialmente ed in modo talvolta frettoloso.
Level design ed interazione ambientale
Il level design, invece, esce nettamente sconfitto dal confronto con Bioshock: pur avendo, infatti, inserito una certa verticalità, spesso e volentieri il fulcro dell’azione si svolge sul livello “base” e la presenza di più livelli, ci servirà da pretesto solo per “tamponare” gli attacci di nemici “volanti”.
Le vette toccate infatti dal capolavoro “Irrational Games” sono ben lontane. Le stesse sono qui scimmiottate mediante la presenza di ascensori che, però, nulla aggiungono a livello di interazione, restituendoci un mondo di gioco che non riesce, contrariamente a quanto accaduto nel primo e terzo Bioshock, mai ad imporsi come protagonista. Paradossalmente, però, la lore dell’universo di Atomic Heart è ben diffusa e stratificata, restituendoci una storia di background interessante, andando a confermare la natura ibrida luci-ombre, vista anche nel caso del character design.
Tocca segnalare, inoltre, la presenza (in grande quantità) di enigmi che richiederanno una massiccia interazione ambientale per la loro soluzione. Purtroppo, però, spesso e volentieri abbiamo assistito ad una sterile riproposizione, anche a breve distanza l’uno dall’altro, degli stessi stilemi e delle stesse prove, dandoci l’impressione di meccanismi atti a voler allungare un brodo che, altresì, sarebbe risultato più breve ma gustoso.
Grafica e localizzazione, un’esperienza altalenante
Graficamente Atomic Heart è un rebus che ho avuto difficoltà ad interpretare completamente. Ad una pulizia grafica e ad una fluidità solitamente encomiabile, su Series X, fa da contraltare una scarsa ottimizzazione nelle scene di progressione scriptate, in cui il framerate tocca anche i 20fps.
Stride, inoltre, la mancata ottimizzazione, come successo al day one per Cyberpunk 2077, per le console di nuova generazione: non è infatti possibile scegliere tra nessuna modalità grafica avanzata, atta a prediligere grafica o framerate facendo risultare, di fatto, la versione per Series X, una semplice versione old-gen fatta girare su hardware più performante. Ecco a voi, a completamento del tutto, le reali performance del gioco su console next-gen.
La localizzazione in italiano è, invece, ben realizzata, fornendoci un accompagnamento continuo (anche troppo) durante tutto il nostro playthrough. A tal proposito, l’Agente P3 risulterà essere, sin dopo pochi minuti di gioco, a dir poco urticante con il suo discorrere infarcito di parolacce, maledizioni ed urlacci, spesso e volentieri inutili e fuori contesto.
Nota di merito, a riguardo, tanto per la colonna sonora, che affonda le radici tanto in musiche della tradizione russa, quanto in un parco rock-metal atto ad accompagnare degnamente le nostre scorribande belliche e belligeranti, quanto per il doppiaggio di “Nora”, una macchina dei potenziamenti che, dopo essere stata hackerata, è divenuta una sex machine infoiata e desiderosa di “attenzioni”, in puro Duke Nukem Forever style.
Ad annullare le polemiche, inoltre, inerenti la provenienza del team, ci ha fatto piacere leggere che il compositore della ost ha deciso di devolvere il suo compenso all’Ucraina.
La recensione in breve
Atomic Heart è la più classica delle occasioni mancate. Una idea di base interessante, unita ad una lore dettagliata ed approfondita, viene svilita da un sistema di controllo che tradisce la natura old-gen di questo titolo, sicuramente divertente ed appagante, ma di sicuro non imperdibile.
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Voto Game-Experience