Dell’atteso ritorno di Assassin’s Creed in questa strana transizione generazionale, ormai, se ne parla già da parecchio tempo. E, permetteteci di dirlo, più che meritatamente: passati gli anni bui delle scorse iterazioni, caratterizzate da bug grafici divenuti meme o da gameplay fortemente derivativi che andavano a percorrere pedissequamente un sentiero di giocabilità sin troppo abusato, l’ultimo triennio si è configurato come la chiave di volta del franchise. Una rivoluzione a 360 gradi che ha scosso la saga sin nelle proprie fondamenta, trasformando un’esperienza di gioco collaudata ma, inutile dirlo, ai limiti dello stantio, in un action GDR occidentale in terza persona, vitale ed estremamente ricco in termini di contenuti di gioco. Il solco tracciato dall’ottimo Origins, nel 2017, ha gettato le nuove basi di quella che, tanto in Odyssey quanto nel recente Valhalla, è la nuova filosofia di una tra le IP più importanti dell’intero parterre Ubisoft: un open world mastodontico e interamente esplorabile, dove la tradizionale componente action/stealth della saga va a fondersi con meccaniche dal sapore rolistico e a piccole trovate che, se da un lato rimpolpano la lista delle “normali” cose da fare, dall’altro arricchiscono ulteriormente le dinamiche di un titolo capace di tenere incollati allo schermo per un quantitativo di ore spropositato. Nella nostra recensione andremo ad analizzare come Assassin’s Creed Valhalla nasca dunque con questa concezione impressa nel proprio DNA: un capitolo enorme, il più grande della saga, che – come prevedibile – non osa rispetto a quanto fatto nelle ultime due declinazioni del brand, ma conferma in modo esemplare quanto, checché se ne fosse detto, l’ordine degli Assassini (o, forse, è il caso di dire degli Occulti) abbia ancora parecchie cose da dire. Specie in ottica next-gen.
E inutile sottolinearlo, Assassin’s Creed Valhalla nasce proprio con la next-gen in testa. La potenza di calcolo delle nuove macchine e le soluzioni hardware introdotte da ambo gli attori sul palcoscenico, volte a massimizzare prestazioni e risoluzioni abbattendo al minimo i tempi di caricamento, sono il catalizzatore migliore per godere appieno dell’ultima creatura di Guillemot e soci. Creatura che, sia chiaro, gira e fa la propria porca figura anche sulle controparti current: certo, se già su PlayStation 4 Pro e XBox One X sono ravvisabili alcune magagne tecniche, i possessori delle versioni “lisce” di PlayStation 4 e XBox One finiranno inesorabilmente per storcere il naso in più di qualche occasione. Tuttavia, e questo è assodato, il potenziale di questo Assassin’s Creed Valhalla è qualcosa di impressionante: un potenziale che già in questi primi giorni di next-gen mette subito in chiaro quanto, oggi più che mai, l’era degli Assassini sia all’apice del proprio splendore. O, vista l’occasione, ad un passo dal Valhalla.
Un Valhalla tutto da ammirare
Sul versante grafico, Assassin’s Creed Valhalla mantiene fede alle promesse strette nelle settimane antecedenti il lancio, assestandosi su un livello assolutamente degno di nota nella versione Xbox Series X. Risoluzione e frame rate sono promossi senza alcuna riserva, con 60 frame al secondo granitici a 4K e HDR10+ onnipresenti. La resa cromatica delle ambientazioni di gioco è eccellente, e complice una fluidità del gameplay che non cede mai il fianco rende l’esplorazione memorabile, oltre che avvincente, per gran parte del playthrough. Ottima la gestione dell’area di gioco, che pur confermandosi la più grande dell’intero franchise non ha mai dato nota di rallentamenti o fenomeni di tearing/popup: l’esplorazione, componente primaria di Valhalla, ne esce ulteriormente rafforzata – aspetto fondamentale, corroborato dalla possibilità di visitare pressoché ogni angolo della mappa, anche il più impervio. Sul fronte modellazione la situazione è ugualmente positiva: Eivor e i comprimari sono realizzati con una cura del dettaglio certosina e un’attenzione al limite del maniacale (basta osservare le rifiniture delle armature/armi, dei tatuaggi norreni o di alcune location interne), con un parco animazioni ulteriormente rinnovato dai “tempi” di Odyssey e, almeno in parte, sgrezzato dalle parti più legnose o statiche. L’espressività facciale è forse il tassello leggermente più debole, laddove nel mare magno di stupore generazionale, ogni tanto, fa sorridere osservare personaggi con espressioni parossistiche anche nelle situazioni più normali. Ancora una volta, ed è tuttavia il caso di sottolinearlo, il salto tra le due generazioni è a dir poco evidente: e se a questo aggiungiamo dei tempi di caricamento che dire fulminei è riduttivo, beh, i conti si fanno davvero in fretta… Piccolo contro, i personaggi secondari, seppur realizzati in modo decisamente positivo, soffrono maggiormente dell’anonimato e del riciclo degli asset: una precisazione, questa, che comunque non può che essere compresa – considerando la mole di NPC che incontrerete in giro, dai primi passi in Norvegia sino alla conquista dell’Inghilterra, pretendere un lavoro di diversificazione ancora maggiore da parte dei dev sarebbe stato utopistico, oltre che fuori luogo. Nota conclusiva per il comparto sonoro, di altissimo livello ed equipaggiato con un doppiaggio in lingua italiana decisamente superiore alla media: parere di chi vi scrive, il doppiaggio in lingua inglese è strepitoso a dir poco – quindi se masticate un po’ di lingua d’Albione beh, non dovreste avere grossi dubbi…
(Molta) Tradizione, (qualche) novità
Soffermiamoci ancora una volta sul discorso gameplay, rimasto ovviamente immutato in questa versione Xbox Series X rispetto a quanto già analizzato, ma comunque meritevole di un paio di approfondimenti. Che la saga di Assassin’s Creed soffra di meccaniche di gioco fortemente derivative beh, è un fatto abbastanza assodato. E a questo fato non scampa nemmeno Valhalla, che cerca sì di variare la ricetta con alcuni innesti senza però riuscire del tutto a scrollarsi quella patina di “già visto”, anche alla luce del fil rouge che lo collega a Origins e Odyssey. Le novità più interessanti sono rappresentate dalle Razzie e dagli Assalti, sezioni di gioco in cui Eivor e il suo manipolo di Vichinghi del Corvo dovranno far incetta di tesori seminando morte e decapitazioni. Più “libere” le prime, più dettati da esigenze narrative i secondi, questi passaggi permettono di mettere maggiormente a fuoco le nuove meccaniche di combattimento di Assassin’s Creed Valhalla, decisamente più bilanciate rispetto al passato e, poco ma sicuro, molto più violente ed efferate. Lo stile di combattimento vichingo, un’orda famelica che distrugge ogni cosa al proprio passaggio, trova una corrispondenza strepitosa in game una volta stretto il pad tra le mani.
La componente Stealth, prerogativa originale del franchise, finisce per essere ineluttabilmente messa in secondo piano, relegata a brevi sequenze o passaggi ancora una volta imposti da esigenze narrative: un aspetto da tenere sicuramente in considerazione, ma che – almeno per chi vi scrive – viene soppesato da sequenze combat frenetiche e ben calibrate, corredate da decapitazioni di varia natura che danno la giusta soddisfazione al giocatore più esigente. La possibilità di perfezionare specifici corredi di armi/armature, incastonandovi rune o potenziandoli con vari materiali recuperati, unita a quella di combattere in dual wielding (con una seconda arma, anziché il tradizionale scudo), di equipaggiare abilità speciali specifiche una volta recuperati i relativi Tomi o di sviluppare specifici rami all’interno di uno skill tree enorme, forse pure troppo da renderlo ridondante, aumentano a dismisura lo spazio di possibilità della componente combat, permettendo a ciascun giocatore di adattare il proprio alter ego allo stile di combattimento (leggero, pesante, a distanza, dual wield) preferito. Non aspettiamoci stravolgimenti così rivoluzionari imboccando una strada piuttosto che un’altra: di sicuro, però, c’è ampio margine di sperimentazione, prima di trovare quella “build” che ci permetta di accedere anche a regioni dell’Inghilterra molto difficili, dove il livello medio dei nostri nemici è decisamente più alto di quello di Eivor.
L’enorme area di gioco, la più grande mai sviluppata da Ubisoft, è esplorabile nella sua pressoché totale interezza sin da subito: questo significa che, se mai vi venisse questa malsana idea, potreste andare a razziare un qualche monastero in un’area di livello 250 portandovi a casa, oltre alla pellaccia, un loot sostanzioso utile ad espandere e arricchire il vostro villaggio. Non voleste rischiare di vedere l’Hel troppo in anticipo, potrete comunque girovagare per le praterie inglesi alla ricerca di tesori, di collezionabili di varia natura, di guerrieri vichinghi da prendere a cartoni nelle gengive. Potrete andare a caccia di Proseliti dei Templari da dare in pasto alla vostra lama celata, oppure darvi alla pesca o al commercio di oggetti Rari – un’attività che fa da copertura a qualcos’altro di più “pericoloso” … Più in generale, avrete spazio e modo di intraprendere una delle innumerevoli missioni secondarie che il titolo offre. Al netto dei collezionabili, croce e delizia del franchise sin dai tempi di Altair, vale comunque la pena sottolineare come già detto nella review old gen un aspetto importante delle side quest: se da un lato il loro numero, la varietà di situazioni e, in generale, la durata relativamente esigua giovano positivamente alla longevità del titolo, dall’altra è innegabile come la loro funzione di “allunga-brodo” appaia via via evidente. L’apporto in termini narrativi è pressoché inesistente, così come l’appeal di gran parte delle attività in cui ci troveremo invischiati: utili a racimolare rapidamente dei punti esperienza da spendere nello skill tree, questo lo sappiamo, ma il rischio di frammentare o diluire eccessivamente la main quest è elevato.
Main quest che fila abbastanza liscia, o almeno per quanto riguarda lo svolgimento degli eventi passati, narrati con perizia e il giusto rispetto storico: chiudiamo un occhio invece per quanto concerne il filone narrativo contemporaneo, che si incarna nell’anonimo personaggio di Layla. Una storia così flebile e sfruttata in malo modo che finirete per dimenticare dopo poche ore di gioco. Il che è ironico, visto che potrete uscire e rientrare dall’Animus a libero piacimento…
Versione testata: Xbox Series X
Versioni disponibili: Xbox One, Xbox Series X|S, PlayStation 4, PlayStation 5, Google Stadia, PC
La recensione in breve
Con Assassin’s Creed Valhalla, Ubisoft alza ulteriormente l’asticella di uno dei suoi franchise più importanti e redditizi. La versione Xbox Series X del titolo riesce, con un sol colpo di spugna, ad epurare la totalità delle magagne tecniche (caricamenti eterni, crash improvvisi, cali di frame rate) ravvisate nelle console di passata generazione: ma al netto della mera tecnologia e soffermandoci ad analizzare quanto effettivamente l’ultima iterazione della saga abbia da offrirci, possiamo solo accorgerci di quanto Ubisoft abbia spinto sull’acceleratore per portare alla luce uno dei propri capitoli migliori. Eivor è un primario caratterizzato alla perfezione a cui ci si affeziona facilmente, forse addirittura più in fretta di quanto successo per Bayek/Aya o Alexios/Cassandra. Ottima la scelta delle location, che dagli inospitali ghiacci della Norvegia spazia alle pianure verdeggianti dell’Inghilterra, brulicanti di vita e di missioni… Ed è proprio nelle innumerevoli missioni, nell’esplorazione profonda ed immersiva, nella miriade di attività in cui ci troveremo invischiati (la caccia ai Templari, l’espansione del villaggio vichingo in Inghilterra, il commercio segreto o l’espansione territoriale sfruttando nuove alleanze, solo per citarne alcune) che possiamo vedere la grandezza di Assassin’s Creed Valhalla: un titolo che, com’è giusto che sia, abbandona la strada dell’innovazione a senso unico in favore di quella della continuità, della riconferma. Certo, e lo ribadiamo un’ultima volta: l’impressione che la minestra di Valhalla sia stata allungata un po’ troppo, con missioni secondarie spesso banali o travestite da “tappabuchi”, diventa una certezza man mano che le ore di gioco aumentano. E forse sì, c’è un sacco roba “non troppo utile” attorno alla main story che, alla lunga, rischia di distrarre il giocatore dal focus principale o di annoiarlo con attività di cui, ok, non avremmo sentito la mancanza. Resta comunque il fatto che, una volta stretto il pad di Series X tra le mani, difficilmente abbandonerete le vesti norrene di Assassin’s Creed Valhalla, vittime di quella filosofia di gioco, descritta in apertura, capace di dare una seconda giovinezza ad un’IP di cui, inesorabilmente, sentiremo parlare ancora per parecchio tempo. Lunga vita al Clan del Corvo, insomma: lunga vita a Eivor, l’assassino che proviene dal gelido nord. E lunga vita al sacro Ordine degli Assassini, chiaramente: se queste sono le premesse per la nuova generazione del Credo, tutto sommato, possiamo dormire sogni tranquilli.
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Voto Game-Experience