Code Vein è il classico coniglio tirato fuori dal cilindro, un titolo inaspettato che tenta di venire incontro all’esigenza di Namco Bandai di trovare un degno sostituto a Dark Souls, franchise di cui è storicamente il publisher. Questo perché, terminati i lavori sul terzo capitolo, il director della saga, Hidetaka Miyazaki, ha chiaramente espresso la propria volontà di dedicarsi nell’immediato futuro a progetti differenti dalla serie e dal genere (quello dei souls-like) che negli ultimi anni gli hanno donato maggior popolarità, oltre che un cospicuo e non indifferente profitto. Insomma, per Namco Bandai la mancanza di un nuovo Dark Souls nel breve periodo rappresenta un lacuna di non poco conto. Lacuna che il publisher sta cercando di colmare, appunto, proprio con Code Vein, titolo sviluppato dallo studio interno Shift (God Eater, Freedom Wars) che abbiamo finalmente avuto modo di provare durante la tre giorni della Milan Games Week.
DARK SOULS AL TEMPO DEGLI ANIME
Code Vein, come si diceva poc’anzi, è un souls-like nudo e crudo che mette a dura prova le capacità e la prontezza di riflessi del giocatore: non a caso, il primo nemico che abbiamo incontrato in questa demo giocabile ci ha spedito senza troppi complimenti all’altro mondo. Per fortuna il nostro alter ego è accompagnato da una bionda fanciulla di nome Mia che ha prontamente salvato il salvabile e ci ha riportato indietro dal regno dei morti. Una sorta di vita extra portatile ma che, per quanto autosufficiente, necessita comunque di essere messa al sicuro dalle incursioni dei nemici. Anche perché, la giovane risulta armata esclusivamente di fucile, ottimo dalla lunga distanza ma abbastanza inutile negli scontri corpo a corpo. A differenza sua, al nostro protagonista sarà invece concesso di alternare a piacimento l’arma impugnata passando dalla spada corta allo spadone a due mani, fino ad arrivare all’alabarda o alle armi da fuoco, così da adattare il proprio stile di combattimento a seconda delle necessità. Ognuna di esse vanta un proprio pattern di attacchi, una diversa potenza offensiva e un diverso raggio di azione, senza contare il fattore manegevolezza che incide non poco nell’economia di gioco: non è mai una buona mossa tenere equipaggiata ad un’arma pesante quando si ha a che fare con nemici che attaccano dalla distanza.
Ad affiancare la schiera di armi bianche di cui potremmo disporre, il protagonista può avvalersi anche di un particolare attacco che consente di risucchiare energia vitale ai nemici direttamente attraverso il suo braccio destro. A primo impatto potrebbe sembrare una caratteristica di poco conto ma parliamo pur sempre di un souls-like dove la barra della vita va tenuta costantemente sott’occhio e questa feature è in grado di fare la differenza nella lotta costante tra la vita e la morte – anche se possiamo assicurare che il più delle volte la seconda avrà la meglio sulla prima. Vero è, però, che è sconsigliabile fare troppo affidamento su questo attacco che lascia eccessivamente esposto il proprio alter ego agli attacchi nemici e diventare un puntaspilli, in un titolo come questo, è questione di secondi. Oltre agli attacchi all’arma bianca, si può fare affidamento su una lunga sfilza di magie, da quelle di attacco (palle di fuoco, fulmini etc…) ai più semplici buff in grado di incrementare difese e velocità del nostro eroe. Ognuna di esse ha ovviamente un costo specifico per essere utilizzata che incide sulla scorta di Ichor posseduta fino a quel momento: una sorta di MP ricaricabili semplicemente portando a segno colpi ai nemici.
Insomma Code Vein, senza farne troppo mistero, prende chiaramente ispirazione dalla serie creata da Miyakazaki, modificando alcuni elementi della sua struttura per cercare di dare al gioco una propria identità. Pur mantenendo quell’atmosfera tetra e cupa tipica dei Souls, lo stile da anime giapponese che caratterizza l’intera produzione (in linea con quanto avvenuto con Freedom Wars e con God Eater) e che probabilmente si accompagnerà a una pletora di dialoghi e cutscene, potrebbe non piacere a tutti. Purtroppo, da quello che abbiamo potuto vedere, nemici e ambienti non sembrano molto particolareggiati e la sensazione generale è di percorrere sempre lo stesso corridoio costellato da nemici più o meno simili, dimensioni a parte. Ultima nota dolente, infine, è l’eccessivo uso degli effetti particellari, una scelta ben precisa volta a dare ancor più enfasi agli scontri (già particolarmente fluidi visti i 60fps a cui gira il titolo) ma che paradossalmente riduce la visibilità del giocatore, a volte completamente azzerata a causa di una telecamera un po’ troppo ballerina. Difetti quest’ultimi risolvibili con qualche semplice accorgimento che ci auguriamo possa essere apportato prima della release definitiva del gioco prevista per un generico 2018.
Aspettative
- Azione fluida a 60fps
- Tanta varietà nel gameplay
- Un titolo che non perdona, in puro stile From Software
Dubbi
- Lo stile animato potrebbe non piacere a tutti
- telecamera imprecisa
- Ambientazioni e nemici potrebbero non essere eccessivamente particolareggiati
Versione testata: PS4