I prodotti inde hanno dimostrato, in particolar modo durante gli ultimi 15 anni, che il potenziale creativo e la relativa “libertà d’espressione” sono in grado di fornire terreno fertile per titoli di grande spessore. Tendenzialmente liberi da imposizioni dall’alto e responsabilità nei confronti di organici multimilionari, i developers indipendenti possono dare libero sfogo alle loro idee. Amnesia: The Dark Descent, rilasciato nel 2010, è uno dei giochi che ha di fatto elevato l’industria indie a “salvavita” per quanto riguarda il rinfrescare generi in stallo o comunque preda di preoccupanti carenze di idee. Con il suo approccio esplorativo e la paura instillata tramite sapiente uso di suoni e luci, il titolo targato Frictional Games ha saputo ritagliarsi una considerevole fetta di appassionati fino ad agguantare il primato di gioco “cult” per il genere horror. Siamo qui ora, 10 anni dopo (e dopo il dimenticabile sequel indiretto A Machine for Pigs) pronti ad avventurarci all’interno delle tetre atmosfere di Amnesia: Rebirth, seguito ufficiale del primo titolo. Riuscirà la nuova creazione di Frictional Games a tenere alto il nome di una serie diventata culto? Scopriamolo nella nostra recensione.
ECHI NEL DESERTO
E’ difficile parlare della storia di questo gioco senza cadere nel problema degli spoilers, soprattutto considerato che l titolo mette nelle mani della narrazione un gran quantitativo di importanza. Ma andiamo con ordine: l’anno è il 1937 e gli eventi narrati si svolgono circa 98 anni dopo ciò che abbiamo potuto vedere in Amnesia: The Dark Descent. Anastasie “Tasi” Trianon è un’archeologa francese in spedizione nell’Africa coloniale e sta volando sopra al deserto dell’Algeria insieme al marito Salim. Un improvviso incidente separa la coppia e Tasi si ritrova sperduta in un rovente calderone di sabbia che potrebbe facilmente strapparle la vita. Alla ricerca sia di un riparo che dello scomparso Salim, la donna si imbatterà presto in una terrificante avventura che metterà a dura prova la sua sanità mentale.
Il termine non viene usato a caso: dopo l’approccio lineare ed “arcade” di A Machine for Pigs, Amnesia: Rebirth riporta finalmente in primo piano le meccaniche principali già apprezzate in The Dark Descent. La sanita mentale farà il paio con la salute fisica, entrambi indicatori da tenere in seria considerazione: se è pur vero che perdere salute fisica si tradurrà presto in Game Over, la perdita di salute mentale (molto più insidiosa e facile da subire) deteriorerà il cervello di Tasi rendendo molto più difficile l’esplorazione per il giocatore. Restare troppo tempo al buio, osservare a lungo spettacoli eccessivamente macabri o mostri spaventosi, ritrovarsi in situazioni stressanti e pericolose: tutto ciò che è stato elencato minaccerà direttamente la salute mentale di Tasi, rendendola presto atterrita e difficile da controllare. Di fatto, Amnesia: Rebirth riprende da dove The Dark Descent ci aveva lasciati, eccezion fatta per le ambientazioni ed il feeling generale. Ed è proprio qui che casca il proverbiale asino.
QUESTIONE DI FEELING
Amnesia: The Dark Descent poteva contare sull’effetto “sorpresa” per l’approccio innovativo al genere survival horror (con oggetti manipolabili tramite mouse, esattamente come accade anche in Rebirth) e soprattutto su un’ambientazione fortemente evocativa e funzionale: l’oscuro castello di Brennenburg. Nonostante gli sforzi degli sviluppatori, l’ambientazione desertica algerina non risulta altrettanto intrigante. E’ anche possibile notare una certa frettolosità nel mostrare immediatamente situazioni a grande carica sovrannaturale (come i viaggi nelle dimensioni parallele) ed una certa ingenuità nel basare l’esplorazione su strumenti a rapido consumo come i fiammiferi. La paura e la cautela vengono presto sostituite dalla frustrazione a causa del continuo consumo di oggetti per potersi guardare attorno liberamente. E’ chiara l’intenzione del team di sviluppo: bissare il successo di The Dark Descent restando saldamente sui binari che tanto erano piaciuti al pubblico in precedenza.
Tutti gli ingredienti vincenti sono stati inseriti, ma si ha il costante feeling che qualcosa non sia allo stesso livello del titolo precedente. Sia ben chiaro comunque che Amnesia: Rebirth si rivela un titolo profondo e divertente, con ottima narrazione e gameplay ben concepito. I piccoli difetti elencati contribuiscono però ad erodere in alcune parti il feeling del giocatore. A livello tecnico possiamo notare uno scarso impegno nello star dietro ai sostanziosi cambiamenti avvenuti nell’ultimo decennio. Il gioco è infatti paragonabile (in termini puramente estetici) a The Dark Descent, confermandosi parecchio “indietro” graficamente. E’ chiaro che si parla di una produzione indipendente, ma dopo il grande successo del primo Amnesia e l’ottima qualità del titolo sci-fi SOMA, era più che lecito aspettarsi di meglio. Fortunatamente il problema viene in parte mitigato da una sapiente direzione artistica e da un eccellente comparto sonoro.
Un gioco certamente buono questo Amnesia: Rebirth, che però stenta a decollare davvero per potersi avvicinare all’illustre predecessore.
La recensione in breve
Amnesia: Rebirth riporta la serie sui binari sicuri e rodati del primo The Dark Descent, ma paga il prezzo di una realizzazione tecnica decisamente troppo indietro rispetto agli standard attuali. Meccaniche di gameplay non sempre apprezzabili contribuiscono a far affiorare la frustrazione, ma fortunatamente si tratta di momenti sporadici. L'eccellente direzione artistica e l'ottima realizzazione del mondo di gioco fanno presto dimenticare la maggior parte dei difetti, consegnando nelle mani del giocatore un'avventura intrigante e misteriosa.
-
Voto Game-Experience