Il ritorno di Ken Shiro in formato giocabile, annunciato l’estate del 2017 nientemeno che dal producer della serie Yakuza, Toshihiro Nagoshi, è stato un fulmine a ciel sereno: inaspettato ed elettrizzante come poche cose al mondo. In fondo dopo i due discreti “Fist of the North Star: Ken’s Rage” pubblicati su Xbox 360 e PS3, sentivamo un po’ tutti il bisogno di una trasposizione videoludica degna del manga di Buronson e Tetsuo Hara nata nel lontano 1983 e che, a trentacinque anni di distanza continua a rimanere vivida nell’immaginario di milioni di fan. Fist of the North Star: Lost Paradise avrebbe potuto finalmente placare la nostra sete di tecniche di Hokuto da eseguire al grido della celebre esclamazione “Omae wa mou shinderu”, se non fosse che, joypad alla mano, le nostre speranze sulla qualità di questo titolo, disponibile dal 2 Ottobre per PS4, hanno iniziato pesantemente a vacillare.
Fist of the Yakuza Star
La mastodontica opera realizzata da Buronson e Tetsuo Hara racconta le vicende di un mondo post apocalittico in cui la violenza e la prevaricazione trovano spazio nel vuoto lasciato dalla civiltà. Violenza, spesso, perpetrata non per la necessità di accaparrarsi le ultime risorse che il pianeta ha da offrire, ora ridotto a una distesa interminabile di sabbia e rovine, ma per dare libero sfogo a una crudeltà radicata nell’essere umano ben prima delle esplosioni nucleari.
Sfruttando la cornice offerta dal manga/anime, Ryu ga Gotoku Studio propone, rivisitando l’opera originale, una versione alternativa delle vicende di Ken Shiro che, dopo aver sconfitto Shin, il biondo maestro della scuola di Nanto, si mette alla ricerca del suo amore Julia che lo stesso Shin aveva rapito poco prima di imprimere sul petto del nostro eroe le ben note sette stelle di Hokuto. Il suo viaggio lo porterà ad Eden, una città la cui esistenza ha acquisito connotazioni quasi mistiche e che promette di donare nuova dignità alla vita umana, reprimendo gli istinti più beceri dei violenti e instaurando un sistema di scambio fondato (nuovamente) sul denaro. Ma l’ingresso alla città per Ken sarà tutt’altro che facile e, senza voler scendere troppo nei dettagli, sarà preceduto da una lunga sequela di scontri, leitmotiv dell’intera produzione. È qui che Fist of the North Star: Lost Paradise dovrebbe dare il meglio di sé, (vista la cura da sempre prestata da Ryu ga Gotoku Studio in Yakuza) ma purtroppo così non è. Andiamo con ordine.
Il sistema di combo alla base di questo titolo è estremamente semplice e si basa sulla classica alternanza tra colpi deboli e forti. La dinamicità degli scontri, però, viene interrotta costantemente da QTE, non appena si attivano le tecniche segrete della divina scuola di Hokuto: belle da vedere ma talmente invadenti da rallentare ogni singolo scontro fino allo sfinimento. È un vero peccato, anche perché sarebbe bastato integrarle all’interno delle combo o relegarle a mosse speciali attivabili al raggiungimento di determinati requisiti, e non a piacere, ogniqualvolta si stordisce un nemico per trasformarle in un valore aggiunto. Tecniche che, tra l’altro è possibile eseguire con ancora maggior facilità una volta rilasciata l’aura delle sette stelle di Hokuto, cioè quando l’apposita barra, rappresentata visivamente dalla costellazione dell’Orsa maggiore, è completamente carica.
Quanto meno, come da tradizione nella serie Yakuza, è possibile incrementare le statistiche e il numero di tecniche a disposizione di Ken attraverso l’uso di Orb, ottenibili salendo di livello, da spendere su uno dei quattro rami di abilità presenti nel menù. Per contro, all’aumentare delle capacità di Ken non incrementano le tipologie di nemici contro cui utilizzarle, relegate, anche esteticamente, a pochi modelli. Non mancano comunque i personaggi iconici della serie come Souther e Raul, ma, per motivi narrativi, il loro ruolo all’interno della serie (fermi restando i rapporti di parentela o di amicizia/antagonismo) è stato stravolto, inficiandone pesantemente l’incidenza e la rilevanza. Ultima caratteristica del gameplay e che riguarda da vicino proprio i comprimari di Ken è rappresentata dai talismani, oggetti acquistabili e potenziabili in uno specifico negozio di Eden e che, una volta utilizzati, consentono di eseguire delle special legate proprio a quest’ultimi.
A spezzare gli scontri sono presenti le classiche sottomissioni (per un totale di sessanta) tipiche delle opere di Ryu ga Gotoku Studio e le attività collaterali che porteranno Ken a intraprendere gare clandestine a bordo di una dune buggy e a vestire persino i panni di un bartender. In alternativa è sempre possibile lasciare Eden e vagare per il deserto a bordo del veicolo di cui sopra per recuperare risorse, ingaggiare lo scontro con qualche predone, o incappare in piacevoli sorprese come cabinati semi-sommersi da recuperare e restaurare. Purtroppo, anche qui a differenza dell’esalogia di Yakuza, gli ambienti risultano estremamente scarni e poco curati, sia fuori che dentro Eden e difficilmente si avrà voglia di esplorare il mondo di gioco oltre le circa trenta ore necessarie per portare a termine il gioco. Così come non invoglia in tal senso la colonna sonora che, seppur piacevole, non riesce ad essere evocativa quanto quella originale presente nell’anime. In compenso, per i puristi, è possibile selezionare l’audio in lingua giapponese, mentre per i sottotitoli, come sempre accade per i giochi targati Ryu ga Gotoku Studio, è totalmente assente la lingua italiana.
Pro
- Ken Shiro è sempre Ken Shiro
- Tutte le tecniche segrete di Hokuto nel palmo di una mano
- La presenza dei personaggi iconici della serie
Contro
- Combattimenti costantemente spezzati da QTE
- Ambienti scarni e poco curati
- Storia alternativa che non ha la stessa forza dell’originale