La Gamescom 2025 ha avuto il suo momento più oscuro e magnetico nel booth press di Konami, dove finalmente abbiamo potuto mettere le mani su Silent Hill f, nuovo capitolo della leggendaria saga horror che segna una frattura netta con il passato. Una demo di quasi quattro ore ci ha catapultati in un Giappone rurale degli anni Sessanta, in una dimensione sospesa tra memoria e delirio, e ci ha permesso di assaporare un gioco che – con buona pace dei nostalgici – non è un semplice ritorno, ma una ridefinizione completa del concetto di Silent Hill.
L’impatto iniziale è devastante: il villaggio di Ebisugaoka, con le sue case in legno consumate dal tempo, i ponticelli in pietra e i campi di riso abbandonati, è riprodotto in maniera quasi fotorealistica grazie all’Unreal Engine 5, che spinge su una fotografia sporca e crepuscolare. È un orrore elegante, quello immaginato da Ryūkishi07 e tradotto visivamente dall’artista Kera, che fonde delicatezza estetica e putrefazione. Tutto sembra familiare, ma allo stesso tempo corrotto da una bellezza marcia che mette a disagio.
Un racconto di fantasmi e ferite interiori
La protagonista è Hinako Shimizu, una liceale silenziosa e tormentata, che si muove tra traumi personali, una famiglia problematica e un contesto sociale impregnato di superstizioni. La demo ci ha introdotti a una narrazione scandita da continue fratture tra realtà e allucinazione: una casa che si sfalda in un giardino di fiori rossi appassiti, una vialetto desolato e abbandonato che si trasforma in una prigione organica fatta di radici e carne sanguinolenta.
È chiaro fin da subito come Silent Hill f cerchi di riallacciare il filo dell’orrore psicologico classico con una sensibilità tutta nuova, profondamente giapponese. Non c’è la cittadina nebbiosa che da decenni conosciamo ormai tutti, ma un microcosmo rurale, impregnato di leggende e sensi di colpa. Il vero orrore non sono i mostri, ma i ricordi e le paure della protagonista.
Il combattimento: corpo a corpo disperato
La prima vera sorpresa della demo è la scelta radicale del combat system. Non esistono armi da fuoco: nessuna pistola, nessun fucile a pompa. Il sistema è interamente basato su armi improvvisate e corpo a corpo. Durante la nostra prova abbiamo impugnato tubi arrugginiti, un’enorme lama da shogun e persino un attrezzo agricolo (simile ad una piccola falce) recuperato in un magazzino in rovina.
Ogni colpo ha un peso reale. Non esiste spam di attacchi: le animazioni sono volutamente lente e dolorose (in particolar modo quelle legate ai colpi caricati), e il gioco spinge a scegliere il momento giusto per affondare un fendente o sferrare un colpo secco. Un errore di tempo significa esporsi a un contrattacco brutale. Alcune armi si deteriorano, altre si spezzano dopo troppi colpi: un dettaglio che aumenta l’angoscia, costringendo a ragionare su quando valga davvero la pena combattere e quando sia meglio fuggire.
Il sistema prevede anche una sorta di parata d’emergenza: se si riesce a premere al momento giusto (indicato da una fugace luminescenza attorno al nemico, la cui durata varia a seconda della sua potenza), Hinako può deviare l’assalto di una creatura con il corpo o con l’arma che impugna, ma il contraccolpo drena resistenza e lascia comunque segni visibili. Non siamo davanti a un action fluido in stile Resident Evil 4 Remake, ma a un combattimento più teso, sporco e viscerale, che restituisce la sensazione di fragilità e disperazione. Ammettiamo, nei primi minuti, di essere rimasti perplessi da questa specifica introduzione: tuttavia, più si entra nel “ritmo” di gioco e se ne colgono le sfumature, anche questa svolta offensiva, per nulla invadente nell’intera economia ludica, trova perfettamente il proprio posto nella nuova struttura di Silent Hill f.
Quanto detto sinora, lo ribadiamo, non esula dall’importanza della resistenza della nostra protagonista: correre, attaccare, schivare o effettuare un parry richiedono costantemente un tributo al quantitativo della nostra stamina, che una volta esaurita richiederà una pausa fugace, ma non per questo potenzialmente letale, prima di essere ricaricata.
Ma non finisce qui, laddove anche la sanità mentale rappresenta un’ulteriore metrica di importanza primaria nell’economia di gioco: particolari sequenze (specie quelle in un Otherworld dal tradizionale stile giapponese, intriso di reminiscenze di Siren e Project Zero) attaccheranno direttamente la salute psicologica della nostra giovane malcapitata. Inutile dire che la perdita totale della lucidità porta con sé conseguenze drammatiche.
Potremo inoltre sacrificare parte della nostra sanità mentale per effettuare un colpo “speciale” in grado di apportare un danno critico al nemico decisamente maggiore: non una mossa disperata, laddove è evidente la sua capacità di cambiare le carte in tavola anche negli scontri più complessi, ma senza dubbio una “skill” di cui non è il caso di abusare.
Nemici come simboli
I mostri incontrati nella demo non sono semplici avversari, ma proiezioni delle paure di Hinako. Uno dei primi che ci ha inseguito è una figura ibrida, con un corpo femminile rigido e la testa che si apre in un fiore di carne e petali sanguinanti. Non attacca subito: ondeggia, si avvicina lentamente, quasi a voler costringere il giocatore a sbagliare per ansia. Altri (come i famigerati spaventapasseri), più aggressivi, si muovono a scatti, come marionette spezzate.
La varietà vista nella demo lascia intendere che Konami abbia voluto riprendere il concetto di “mostro-specchio” tipico dei capitoli storici, arricchendolo di simbolismi legati alla tradizione giapponese. Ogni nemico racconta qualcosa, ogni incontro è più vicino a un atto narrativo che a un puro scontro.
Enigmi: folklore e psicologia
Gli enigmi, fedeli alla tradizione, hanno un peso importante. Quelli affrontati a Colonia mescolavano logica e simbolismo. In una sezione, per esempio, siamo stati costretti a comporre un rituale con maschere Nō trovate sparse in una casa abbandonata: ogni maschera rappresentava un’emozione, e solo combinandole correttamente era possibile aprire il passaggio. In un altro caso, bisognava seguire un percorso di spaventapasseri in un campo infestato, facendo attenzione a non lasciarsi fuorviare da indizi volutamente criptici e da nemici tutto tranne che teneri. In un altro ancora, la soluzione era “nascosta” dietro lunghe pareti di tavolette votive, a fronte di specifici indizi testuali che ci sussurravano verso quale tavoletta muovere la nostra scelta. Il tutto, ovviamente, mentre una spietata creatura era alle nostre calcagna, costringendoci di volta in volta a combattere per guadagnare tempo per la risoluzione del puzzle.
Questi enigmi non rallentano il ritmo, ma lo integrano nella tensione generale: mentre si ragiona, il giocatore è consapevole che qualcosa potrebbe irrompere alle spalle. È un approccio che richiama l’epoca d’oro della saga, ma con una messa in scena molto più raffinata.
La bellezza nel terrore
La filosofia di base del progetto, “trovare la bellezza nel terrore”, si riflette ovunque. Gli ambienti sono splendidi e spaventosi allo stesso tempo. Una delle sequenze più suggestive viste in demo ci ha condotti in una città completamente in preda alla proliferazione degli oramai celebri fiori rosa: i petali cadevano a terra in tempo reale, mentre radici carnose emergevano dal terreno, trasformando la scena in un quadro disturbante e grottresco.
La luce gioca un ruolo fondamentale: Konami utilizza l’illuminazione dinamica non solo per generare atmosfera, ma per indirizzare lo sguardo e creare falsi punti di sicurezza. Si entra in una stanza illuminata da un neon tremolante, ci si rilassa per un istante, poi l’intera stanza cambia consistenza. La nostra prova, effettuata su PS5, ha dimostrato una solidità tecnica encomiabile, offrendo un playthrough stabile e costante senza cali di frame. Saranno disponibili entrambe le modalità grafiche più celebri, Qualità e Prestazioni – laddove, nella nostra prova odierna, la seconda ci è parsa indubbiamente la più indicata, forte anche di una pulizia grafica invidiabile.
Il comparto sonoro è, prevedibilmente, una delle stelle dell’esperienza. Akira Yamaoka e Kensuke Inage firmano una soundtrack che gioca sulla dualità: melodie malinconiche che accompagnano i momenti di calma apparente, contrapposte a droni disturbanti, archi stridenti e canti tradizionali manipolati che emergono durante l’Otherworld. E tutto, ancora una volta, suona maledettamente familiare man mano che ci avventuriamo in questo incubo.
Ma è il sound design ambientale a impressionare di più. Il vento che scuote le canne di bambù, il crepitio delle travi di legno, i sussurri che emergono nella nebbia: ogni suono è posizionato in 3D con cura chirurgica. In cuffia, l’effetto è devastante: sembra di avere presenze alle spalle, di percepire movimenti che non si vedono.
In conclusione
Quella provata a Colonia non è stata una semplice demo, ma un rituale iniziatico: quattro ore che ci hanno messo di fronte a un Silent Hill completamente nuovo, dove folklore giapponese e trauma personale si fondono in un’esperienza disturbante, colta e spietata.
Il combat system, radicalmente corpo a corpo, restituisce una tensione che mancava da tempo nel genere; gli enigmi recuperano il DNA originale arricchendolo di simbolismi culturali; la direzione artistica è probabilmente la più audace mai vista in un capitolo della serie.
Se il resto del gioco manterrà questo livello di intensità, Silent Hill f potrebbe davvero essere il titolo che ridà centralità al brand, trasformandolo in una nuova icona dell’horror psicologico. E se l’obiettivo era “trovare la bellezza nel terrore”, dopo questa demo possiamo dire che Konami e NeoBards hanno centrato il bersaglio. L’appuntamento è fissato: 25 settembre 2025. Ma l’incubo, dentro di noi, è già iniziato.