Dopo averci mostrato la sua visione sul mondo dei Robot, Tim Miller decide di virare bruscamente sul mondo dei videogiochi con un curioso esperimento, antologico anch’esso. Realizzata da Blur Studio per conto di Amazon MGM Studios la serie è approdata sulla piattaaforma Amazon Prime Video con 15 episodi di durata variabile. Tutto a tema videoludico con 14 titoli di successo che trovano sede in altrettante puntate loro dedicate (più uno dedicato al mondo Playstation). Non ci nascondiamo dietro un dito nel dirvi che la percezione generale è quella di un prodotto ad uso e consumo di una determinata platea di possibili spettatori, ovvero NOI. Gamer incalliti, adoratori del Dio Pad, eterni innamorati del gameplay.
Ogni puntata offre un livello artistico di degno di nota, con stili e colori che derivano dai titoli protagonisti dell’episodio. Una scelta che si ripercuote anche sulla caratterizzazione dei personaggi, per quanto le vicende storiche giungono del tutto inedite. Di massima, l’idea è quella di estendere la narrativa di base di un gioco e farla vivere all’interno di una puntata, anche se questo assunto vale per tutti quei titioli che hanno una componente narrativa da estendere. Ulteriori considerazioni le lasciamo alla nostra recensione di Secret Level, serie in esclusiva su Amazon Prime Video disponibile a partire dal 10 dicembre (i primi 8 episodi).
Attenzione: Solo per giocatori
Armored Core, Concord, Crossfire, Dungeons & Dragons, Exodus, Mega Man, New World: Aeternum, Pac-Man, PlayStation, Sifu, Spelunky, The Outer Worlds, Unreal Tournament, Warhammer 40,000: Space Marine 2. Sono queste le 15 esperienze che escono dalla loro comfort zone – quella dei videogiochi, in senso stretto – per approdare in una serie TV. L’hanno definita una serie “antologica”, ovvero un qualcosa che sì, parte dal mondo dei videogiochi, ma che ha una sua storia, con i suoi personaggi (entrambi di derivazione videoludica) e una sua conclusione in ogni episodio. Ebbene, al netto di questa definizione, vi sono non pochi “amari in bocca” rispetto alla finalità di questa definizione, che più si addice a qualcosa di “narrativo” che di “presentativo”.
Iniziamo subito con il fissare un punto fondamentale: a chi è rivolta questa serie? Un nodo cruciale per capire molto di questa serie, croce e delizia per chi deciderà di scendere a compromessi e dare fiducia al lavoro svolto da Tim Miller e il suo team. Il problema è uno solo, ed è piuttosto grande: si parte già dando per scontato tutto. Chi è cresciuto a pane e videogiochi, collezionando tutte le piattaforme di gioco a partire dallo ZX-Spectrum sino ad arrivare alle ultime next-gen, si troverà davanti ad un tripudio celebrativo di alcune IP di maggior successo. Chi non sa nemmeno dove i videogiochi stanno di casa, rischia seriamente di leftare a metà della prima puntata.
Gli episodi durano dai 5 ai 15 minuti circa, con le condizioni sine-qua-non dietro alla scelta della durata non chiaramente individuate (magari, a serie in corso, qualcosa di ufficiale verrà detto). Sta di fatto che le puntate con una durata ridotta finiscono per assomigliare a degli intensi trailer in CGI, quelli utilizzati in fase di prima presentazione del gioco ai grandi eventi. Le puntate dedicate a Mega-Man e al mondo Playstation sono, a conti fatti, due mega spot, con un livello di spettacolarità sopra le righe. Sifu, invece, è una presentazione del gameplay del gioco, è funziona dannatamente bene, rompendo quella logica “only spot”. Spelunky è una dichiarazione d’amore verso il concetto di “essere gamer”, con la lacrimuccia impossibile da contenere.
Passando agli episodi più “narrativi”, torniamo a quel concetto accennato pocanzi, ovvero il verso chi è rivolta la serie. Effettivamente, l’estensione narrativa del titolo scelto rappresenta un vero e proprio livello segreto, dove le dinamiche di gameplay vengono mostrate senza peli sulla lingua, con il contesto artistico a completamento di tutto. Seguono questo canovaccio Armored Core, Warhammer 40,000: Space Marine 2, Dungeons & Dragons, Exodus e Crossfire.
Sfuggono da questa logica, invece, Honor of Kings, Unreal Tournament, The Outer Worlds e New World: Aeternum, con degli episodi che non mettono in scena un vero e proprio livello di gioco, ma si divertono a raccontare un storia che nulla a che vedere con il significato subliminale di “livello segreto”. Per quanto siano quelle che abbiamo trovato meno aderenti rispetto alla funzione della serie – almeno, sempre secondo i nostri canoni – presentano comunque una dimensione artistica sopra le righe. Una vera e propria goduria per i sensi.
Estensioni narrative e storie inedite
Lo abbiamo già visto in altre occasioni quest’anno, con degli esempi che arrivano direttamente dal mondo delle serie TV legate ai videgiochi. Parliamo di The Last of Us, Fallout e Like a Dragon: Yakuza (ndr, almeno per quello che lo scrivente può riferire in prima persona), esperienze dove gli showrunner hanno posto in essere delle scelte ben precise e finalizzate ad individuare quale fosse il miglior modo per strappare i videogiochi dalla loro comfort zone. Possiamo identificare due grandi tipologie di approccio, quelle che estendono la narrativa raccontando anche delle storie oggettivamente inedite e quelle che ci provano ma senza allontanarsi troppo dagli assett portanti del gioco trasposto.
In entrambi casi, vi sono sempre dei punti fermi: personaggi, ambientazioni, contesto artistico e stilistico e mood generale. Sulla base di questi paletti prende vita la serie che, per osmosi, trascina fuori dal videogioco “giocato” gli elementi portanti, sempre al netto di un assente importante, ovvero la componente interattiva. Da giocatori a spettatori, ci tocca lasciare il pad sulla scrivania, con il giusto senso critico mentre subiamo passivamente un gameplay in formato episodico.
Da gameplay a screenplay
Siamo certi – anzi, ne siamo convinti – che dinanzi ad una produzione del genere il mondo della critica si presenterà “diviso”. Vi sono degli aspetti subliminali che solo in pochi possono oggettivamente cogliere, elementi che viaggiano all’unisono rispetto all’esperienza vissuta pad alla mano e che dovrebbe proseguire all’interno di questo simil livello segreto. Occorre comprendere se farne una colpa alla produzione o se di fatto la platea di possibili fruitori è intrinsecamente ristretta, per motivazioni soggettive e, in un certo modo, non completamente chiarite prima dell’arrivo sul piccolo schermo.
Non siamo soliti mettere davanti il nostro lato fan-base, anche perché obiettivo della critica è quello di essere quanto più obiettivi possibile. Cacofonie a parte, “a sto giro” ci dispiace ma è una cosa che non possiamo mettere da parte, anche perché non è una serie come le altre, visto e considerato che il mondo di gioco – con tutti i suoi assett portanti – transita all’interno di un supporto che elide la componente interattiva pur mantenendo le regole chiave del gameplay. Invero si passa, senza troppi fronzoli, da gameplay a screenplay, con tutto quello che ne deriva, ma le coordinate emotive restano sempre le medesime. Un quarticello d’ora che vola via, con la missione o la quest di turno che viene portata a termine, anche se questa volta il merito non è nostro.
Non vi nascondiamo, però, che nutriamo alcune riserve circa l’esclusione – volontaria o meno – di alcuni grandi interpreti del mondo dei videogiochi. Non sappiamo se è stata una scelta dello showrunner Tim Miller quella di non bussare alla porta di Nintendo e Microsoft. Per i primi la cosa la ritenevamo più che scontata, per via della politica nipponica di difesa e gestione delle sue IP (anche se l’idea di vedere Zelda e Hyrule in azione non ci sarebbe dispiaciuta). Per quello che concerne, invece, il regno di Phil Spencer, la vediamo come una clamorosa occasione persa. Quel che ne deriva è un’opera quasi ad uso e consumo del mondo Playstation, con alcune IP multipiattaforma che “rompono” quel muro di esclusività. L’episodio completamente dedicato al prodotto di punta del mondo videoludico made in SONY è quella che forse stona rispetto al messaggio che vuole trasmettere la serie. Uno spot inutile, per quanto artisticamente valido, che va ad alimentare il nostro essere “Avvocati del Diavolo” circa quella riserva di esclusione. Magari era tutto già deciso a tavolino…o magari no.
La recensione in breve
Un livello artistico che non passa di certo inosservato, caratterizzazione dei personaggi in linea con il patrimonio genetico videoludico e vicende storiche che giungono del tutto inedite ma pur sempre credibili. Peccato che tutto questo non sia sempre del tutto rispettato, con un cambio di focus che lascia spiazzati e dubbiosi. Fortunatamente, si tratta solo di alcuni episodi. Peccato per i grandi assenti, la loro mancanza si sente (con estrema gioia della concorrenza).
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Voto Game-Experience