Un mito, una leggenda…e una serie TV. Si resta comodi sul divano, ma questa volta il controller cede il posto al telecomando. Arriva su Amazone Prime Video la serie TV Like a Dragon: Yakuza, tratto dall’omonima saga ideata e prodotta dai giapponesi di Ryogagotoku Studio. Il confronto è di quelli pesanti, su questo non si discute, con una fanbase già pronta con il coltello tra i denti. La direzione stilistica della trasposizione su pellicola è dovuta scendere, per forza di cose, a dei compromessi, alcuni dei quali riteniamo difficilmente digeribili dai “fedelissimi” (siamo tra questi, non ve lo nascondiamo).
La serie narra della nascita e dell’ascesa del Dragone di Dojima, e di come la vita di 4 amici si sia intrecciata con le vicende della Yakuza, una società spietata ma fortemente dedita al senso del dovere. In questo intreccio, una serie di efferati omicidi coinvolge molti membri apicali dell’onorata organizzazione ed un misteriosa sparizione di un’ingente somma di denaro rischia di scatenare una guerra tra clan senza precedenti. Il tutto condito da un mix dark noir che aleggia nel corso della narrazione.
Vorremmo dire altro, ma affidiamo il cuore pulsante del nostro giudizio alla nostra recensione della serie TV Like a Dragon: Yakuza, con i primi 3 episodi già disponibili sulla piattaforma streaming on demand Amazon Prime Video e i successivi 3 a partire dal 1 novembre.
La nascita del Dragone
La leggenda del Dragone di Dojima sbarca sul piccolo schermo in formato on demand. 6 episodi che raccontano come nasce il mito di Kazuma Kiryu, l’uomo che sfidò la Yakuza senza paura delle conseguenze, tutto in nome di una semplice parola: amicizia. Ma prima dell’uomo e della leggenda vi era un ragazzo che, assieme ai suoi inseparabili 3 amici – Nishiki, Yumi e Miho – tenta di sbarcare il lunario mettendo a segno un colpo, uno di quelli che se ti va bene ti fa campare di rendita.
Il destino ha in serbo altri piani per loro, finendo per rubare alla organizzazione sbagliata, ovvero la Yakuza. Davanti a loro si apre una scelta piuttosto obbligata e i quattro amici si trovano, senza alcuna possibilità di ritorno, all’interno della potente organizzazione criminale giapponese. Alternandosi tra il 1995 e il 2005 la storia racconta di come la vita di quei quattro ragazzi sia cambiata, per merito e per colpa della vicinanza all’Onorata Società giapponese. Un crescendo di situazioni ed emozioni che culminano con un gran finale “che non ti aspetti” (interrogandosi se questo fosse il giusto finale rispetto a …).
E quel tanto desiderato/sperato/voluto elemento di raccordo rispetto alla serie originale – che ricordiamo conta all’attivo ben 11 titoli “regolari” e 7 spin-off (senza considerare remastered e remake) – non fa parte di questa serie originale firmata Amazon Prime. “Mentre i giochi ti permettono di vivere il loro mondo attraverso una lente soggettiva, questo adattamento sarà il modo oggettivo per godersi lo spettacolo.” Così ha espresso parte del suo giudizio Yokoyama Masayoshi, capo di Ryugagotoku Studio e produttore esecutivo della serie videoludica di Yakuza. Quell’elemento di raccordo, per bocca di uno dei suoi creatori, non può tecnicamente essere presente.
Eppure le aderenze narrative ci sono e se proprio vogliamo collocare la serie TV Like a Dragon: Yakuza in un preciso arco narrativo rispetto al videogioco, i titoli candidati sarebbero essenzialmente due, ovvero Yakuza 0 e Yakuza 1, che raccontano un po’ parte del passato di Kiryu e il rapporto con Nishiki. La serie si focalizza moltissimo su quest’ultimo aspetto, mettendo in scena una storia inedita dietro il loro ingresso nella Yakuza, utilizzando dei toni dark e noir (che ricordano astrattamente più lo spin-off Judgment che la serie Yakuza).
Da schermo a schermo…senza controller
Quando si procede in un’operazione di trasposizione, in senso generale e non strettamente legato all’ambito videoludico, il rischio di deragliare rispetto all’opera madre è concreto. I casi in cui l’allievo supera il maestro non sono tantissimi, e se caliamo questo termine di paragone nel nostro mondo, quello dei videogiochi, le best practice si contano veramente sul palmo di una mano. Lasciamo in sospeso questo argomento, con la promessa che ne riparleremo in futuro (ogni promessa è debito, potete starne certi), piuttosto soffermiamoci su quelli che sono in punti di aderenza e connessione rispetto alla serie ideata da Ryugagotoku Studio e dove la serie TV ha voluto prenderne le distanze (non nella sua accezione negativa).
Le avventure di Kazuma Kiryu prima, e del suo erede “spirituale” Ichiban Kasuga in seguito, utilizzano una schema ludico pressocchè immutato nel tempo. Al netto del combat system (diverso tra la serie regolare e gli spin-off), la struttura del gioco prevede una fortissima prevalenza della componente narrativa, con un attenzione maniacale riservata alla costruzione delle vicende e alla caratterizzazione dei diversi personaggi (difficilmente ne troverete qualcuno “inutile”). A seguire vi è la parte relativa alle missioni ed incarichi, con le fantastiche deviazioni dei minigiochi che creano dei punti di rottura con la realtà, deviando, quasi sempre, verso il demenziale estremo. In ultima battuta, grande attenzione viene riservata alla realizzazione dei contesti e delle ambientazioni, con una voglia di esportare, attraverso gli usi e costumi, il bello e il brutto della cultura giapponese.
Parafrasato all’ennesima potenza, questo è il canovaccio che ha sempre accompagnato ogni capitolo del gioco e che ha reso celebre una saga nel corso delle varie ere videoludiche, La serie TV non poteva esimersi dal confronto con questa forte matrice caratterizzante, ma è dovuta scendere, per forza di cose, a compromessi, compiendo delle scelte e lasciando per strada qualcosa.
Sul fronte della caratterizzazione dei personaggi nulla questio, anche se l’interpretazione di Nishiki ci ha colpito molto di più rispetto a quella di Kiryu. Non vogliamo dire che il primo ruba la scena al secondo, ma arrivati ai titoli di coda del sesto episodio è risultato il nostro preferito (de gustibus permettendo). Benissimo tutta la parte della caratterizzazione della struttura gerarchica e societaria della Yakuza, forse anche più apprezzata rispetto alla serie videoludica per via della semplicità con cui vengono affrontate tematiche “delicate”. Il tone-of-voice della serie, che ricordiamo essere molto dark e noir, non lascia spazio a tutta la componente dei mini-game, tagliando di netto tutto il contesto simil-demenziale visto ed apprezzato nel gioco.
Una scelta, per forza di cose, coerente rispetto al taglio voluto dagli ideatori e che non ci sentiamo nemmeno di condannare oltremodo rispetto alla riuscita o meno della serie. Ma è qualcosa di cui abbiamo avvertito la mancanza, questo non ve lo possiamo di certo nascondere. Bene anche sul fronte della trasposizione della cultura giapponese, con quel parallelismo tra il 1995 e il 2005 che va a fotografare un’evoluzione di un popolo estremamente lontano dai noi e fortemente devoto al senso del dovere.
La recensione in breve
Una serie che prende le giuste distanze dall'opera videoludica, creando un contesto autentico e credibile che non deraglia rispetto al lavoro svolto in questi anni da Ryugagotoku Studio. Personaggi e storia navigano in un substrato narrativo dark noir che non lascia, però, spazio ad una componente fondamentale di Yakuza, ovvero i punti di rottura con la realtà.
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Voto Game-Experience