Da anni i ragazzi di Red Barrels tormentano i nostri sogni grazie all’universo di Outlast. Ad un primo capitolo grezzo ma seminale, ha fatto seguito una seconda iterazione migliorata sotto ogni punto di vista. Terminata però la giostra dei DLC, di dubbia utilità nella fattispecie, i developer canadesi si sono gettati a capofitto nel loro ultimo progetto. Cosa succederebbe se, ad una struttura di gioco rodata, si togliesse gran parte della sezione narrativa, integrandola in una dinamica online cooperativa? Questo l’interrogativo che ci siamo posti tutti all’annuncio di The Outlast Trials. Esperimento riuscito o fan service di bassa lega? Citando un antico detto latino “in medio stat virtus”, anche se avremmo preferito uno sbilanciamento verso la controparte positiva. Scopriamone di più, con la nostra recensione di The Outlast Trials.
Più esperimenti (non narrativi) per tutti
Decurtare della trama un videogioco horror, che fa dell’orrore di matrice psicologica il suo principale fattore attrattivo, è una scelta alquanto bislacca e sorprendente. Tanto più se, a compiere questo passo, è uno studio di sviluppo, Red Barrels nella fattispecie, capace di regalarci, nel corso degli anni, due episodi a dir poco terrorizzanti.
Outlast ed Outlast II sono riusciti, infatti, a scavare una ferita profonda nel nostro incoscio, riproponendosi a cadenza periodica, per via di una attrazione mnemonica verso le atmosfere lugubri e claustrofobiche di cui furono dotati sin dal lancio. Traslare la meccanica di gioco dell’hide and seek, inseguiti in un perenne gioco del gatto e del topo, in un contesto neutro, senza alcuna caratterizzazione narrativa degna di menzione, è un rischio molto elevato, che i ragazzi di Red Barrels hanno voluto correre.
Il debutto o, meglio, l’espansione dell’universo di Outlast in ambito multiplayer ci mette nei panni di un homeless che, bisognoso di soldi, decide di sottoporsi ad una serie di non meglio specificati esperimenti, trovandosi rapito ed intrappolato in un laboratorio. Dopo poco vedremo degli scienziati impiantarci un visore in fronte e verremo abbandonati in un dedalo in cui, a mo di tutorial, dovremo abbandonare la nostra vecchia identità e crearci un alter-ego digitale da impersonare.
The Outlast Trials: Squadra vincente non si cambia (forse…)
L’accesso ad un menù di creazione scarno ed essenziale rappresenterà l’ingresso nel mondo di gioco. Abbandonando la canonica coerenza narrativa, The Outlast Trials ci vedrà nei panni di cavie da laboratorio alle prese con mini missioni semplici e rigiocabili. Unico punto “narrativo, oltre ad una scarna premessa, sarà rappresentato dalla interazione con gli altri abitanti dell’hub di gioco.
Tra una gara a scacchi o a braccio di ferro riusciremo a guadagnarci potenziamenti volti a facilitarci la peregrinazione nel mondo di gioco. Il tutto sotto la costante sorveglianza del personale del laboratorio che, al soldo della Murkoff Corporation, analizzerà ogni singolo comportamento. Una volta pronti, potremo interagire con una delle postazioni a nostra disposizione e scegliere a quale “test” sottoporci. Da qui, il nostro ingresso in un dedalo fatto di terrore, sangue ed ansia, combattendo per la nostra stessa sopravvivenza.
Per farlo, potremo scegliere di entrare in una stazione di polizia o in un tribunale. Alternativamente, potremo “affacciarci” in un luna park o in una fabbrica di giocattoli. Quale che sia la nostra scelta, avremo a che fare con personaggi non troppo raccomandabili, con la chiara intenzione di impedire la nostra progressione, senza troppa attenzione a regole di bon ton o di accoglienza degli ospiti.
Schematismi ripetuti, sempre di più
Quale dei sopraccitati setting si scelga, il leitmotiv sarà sempre il medesimo. Partiremo con l’esplorazione del mondo di gioco al fine di adempiere a semplici compiti, seguiti poi da vere e proprie cacce all’uomo da parte di antagonisti ben al di sopra del nostro livello. Il tutto trovandoci costantemente a contatto con location gravide di segni dell’orrore e delle nefandezze commesse in loco. Spesso e volentieri visualizzeremo corpi macabramente mutilati, altre volte bambini (sotto forma di manichini antropomorfi) torturati e bistrattati.
The Outlast Trials, tenendo fede al blasone della serie, non si fa problemi nel mettere a disagio tutti coloro che oseranno avventurarsi nel mondo di gioco. Dimenticate dunque buonismo o comunicazione (verbale e non) politically correct. Qualsiasi tema potrà esser trattato, addirittura sfociando nella truculenza più fastidiosa o digredendo in blasfemia: The Outlast Trials non ha safe zones, per i videogiocatori.
Se a ciò aggiungiamo che, spesso e volentieri, gli ambienti di gioco saranno in semioscurità, costringendoci a ricorrere al visore notturno, per continuare la nostra esplorazione. Tutto ciò, braccati dai due principali antagonisti di The Outlast Trials, capaci di metterci alla corda facilmente, rendendoci vittime sacrificali di una sadica megacorporazione.
Che si tratti del Sergente Coyle, poliziotto armato di un manganello elettrico, o di Mamma Gooseberry, abominio armato di un trapano con il quale, dopo aver ucciso le vittime, le scuoia per crearsi una maschiera, la sensazione di precarietà e tensione è costante.
Non è tutto oro quello che luccica
The Outlast Trials si mette in scia ai due diretti predecessori, riproponendo il medesimo gameplay, con qualche gradevole aggiunta atta a vivacizzare la versione “online co-op” dello stesso. Per aumentare il senso di caducità della esperienza, ecco comparire un inventario con soli tre oggetti, potenziabili ed utilizzabili, come diversivi, per garantirci la fuga.
Che si tratti di batterie per il visore notturno, vite extra o ammenicoli tecnologici atti a garantirci la sopravvivenza, potremo scegliere di potenziarne solamente uno del set, progredendo gradualmente nel playthrough. Ed è appunto qui che iniziano le note dolenti. Le poche mappe di gioco, unite ad un pattern di interazione con mondo e nemici di gioco, non garantiscono all’ultima fatica Red Barrels una longevità poi così eclatante.
La rimozione del comparto narrativo, pur vista come espediente atto a giustificare la nuova struttura ludica, priva The Outlast Trials della principale fonte di fascinazione della serie. Non basta un mondo di gioco ben dettagliato e degli antagonisti carismatici a tenere alta la soglia dell’attenzione. L’ultima fatica Red Barrels finisce vittima della sua ambizione e di una ripetivitità, sempre più lampante, maggiore è la permanenza nell’universo di gioco.
Bello ma non balla
The Outlast Trials, pur non potendo vantare un comparto grafico da urlo, riesce nel compito ad esso demandato. Gli ambienti claustrofobici e malati, progettati dai ragazzi di Red Barrels, riescono nel compito di incutere timore e soggezione agli avventori degli stessi.
Uno stile grafico-estetico disturbante contribuisce ad acuire un senso di ansia costante, che sarà difficile non provare addentrandoci nelle mappe di gioco. Manca, purtroppo, varietà nelle ambientazioni e nella tipologia di antagonisti, lasciandoci quindi soddisfatti, ma solo a metà. Menzione di merito per l’ottimizzazione grafica: mai, anche nelle situazioni più concitate, siamo scesi sotto i 60 frame al secondo.
Il comparto audio, parimenti, riesce nel compito di distillare terrore, riuscendo, grazie alla direzionalità dell’audio, a tenerci debitamente sulle spine. Musiche e rumori ambientali ci faranno compagnia per tutto il playthrough, fin quando decideremo di dar corda all’ultima produzione Red Barrels.
VERSIONE TESTATA: PC
La recensione in breve
The Outlast Trials spaventa ma non meraviglia! Togliere il comparto narrativo da un horror di matrice psicologica ci regala una esperienza di gioco cooperativa divertente ma che cade, ben presto, vittima di noia e ripetitività, nonostante una tara stilistica che riesce nell'incutere timore e lasciarci preda di un senso di ansia diffuso.
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Voto Game-eXperience