Se pensavate di aver visto tutto, ebbene, siamo spiacenti di informarvi che non era affatto così. Le folli menti creative Ryu Ga Gotoku Studio hanno deciso di non badare a spese, con una fiera del surrealismo che raggiunge delle nuove vette storiche per la serie. Like a Dragon: Infinite Wealth è una celebrazione degli eccessi, con una valanga di contenuti extra che parcheggiano il concetto di “Storia Principale” in un angolo remoto del nostro interesse. Troppa la carne al fuoco per non essere assaggiata. La suggestiva location Hawaiana ci consente, inoltre, di diventare dei gestori di hotel, esplorando questa ennesima nuova frontiera della serie.
Lato narrativo, il ritmo arriva più lento e compassato nelle battute iniziali. Il preambolo giapponese si trascina su se stesso e soffre, con molta probabilità, quella scelta fatta dagli sviluppatori di elevare The Man Who Erased His Name da preambolo a gioco a parte. Vorremo proseguire con il nostro sproloquio, ma finiremmo per attirare le vostre maledizioni. Vi lasciamo, dunque, alla nostra recensione di Like a Dragon: Infinite Wealth.
Da Kiryu ad Ichi: il passaggio di una pesante eredità
I due protagonisti indiscussi della serie, Kazuma Kiryu ed Ichiban Kasuga (in arte Ichi), di nuovo insieme con il destino che ha in serbo per i due delle scelte molto chiare e differenti. Il primo ha visto nascere, crescere ed evolvere la serie di Yakuza sino ad arrivare ad una svolta generazionale, che è coincisa con l’introduzione del personaggio di Ichi. Ryu Ga Gotoku Studio ha voluto fare come quello che teneva “due piedi in una scarpa”, lasciando in piedi due giochi distinti che, apparentemente, percorrevano due binari separati. The Man Who Erased His Name ha avvicinato, in maniera importante, queste due strade sino ad arrivare alla perfetta coincidenza in Infinite Wealth.
La storia di quello che possiamo definire, senza alcuna ombra di presunzione, l’ottavo capitolo della serie regolare, muove i suoi passi dopo il grande scioglimento dei clan Tojo e dell’alleanza Omi. Tantissimi membri di queste onorate famiglie si sono trovati, dal giorno alla notte, senza un impiego. Il buon Ichi, nei panni di uno zelante dipendente di un ufficio di collocamento, adempie alle volontà del suo padrino, aiutandoli a trovare un lavoro. Ma questo idilliaco impiego, ben presto, termina la sua esistenza, lasciando a spasso il nostro protagonista.
Ma come si dice in questi casi, si chiude una porta e si apre un portone. Il buon Ichi vola in missione alle Hawaii per ritrovare la sua madre biologica, che egli ha sempre creduto morta da illo tempore. Ivi giunto, si ricongiunge al Drago di Dojima, anche egli in missione per conto dei Daidoji. Sull’isola i problemi non mancheranno, e non sarà solo una propaggine della Yakuza a rendere loro la vita difficile sulla paradisiaca isola. Oltre alle solite “criticità” ci saranno nuove interessanti amicizie da stringere ed una moltitudine di attività da portare a termine.
Rispetto a Like a Dragon, il ritmo narrativo di Infinite Wealth fatica a crescere nelle battute iniziali. Ad onor del vero, i “giri” si alzano a ridosso della fine del terzo capitolo, trascinandosi “letteralmente” su sé stesso sino allo scoccare delle prime 4 ore di gioco. Dialoghi sterili, personaggi apatici e situazioni oltre il surreale: sono questi gli aspetti che hanno composto il leitmotiv delle primissime impressioni sul gioco . Lo sbarco alle Hawaii giunge come una boccata d’ossigeno e da lì in poi il gioco decolla in maniera verticale. Stringete i denti e lasciatevi quanto prima il Giappone alle spalle, gli sforzi ne valgono la pena.
Quel Jrpg che voleva uscire dal “classico”
Ok, i combattimenti sono turn-based e quindi rispettano i canoni previsti dal genere jRPG, ma non “rinchiudiamolo” nella prigione del classico. Infinite Wealth inserisce una forte tipizzazione dei personaggi, definendo dei ruoli che vanno a limare quei confini con il mondo degli aRPG. Basta pensare al ruolo di Kiryu che con lo stile Drago di Dojima definisce uno stile di combattimento per i suoi attacchi semplici, talvolta uscendo dalla regola del turno (ne guadagna, infatti, uno extra).
I punti di contatto con il passato della serie sono infiniti, giusto per restare aderenti al titolo. La crescita del PG non è ancora sotto il nostro controllo diretto, e ad ogni aumento di livello le statistiche subiscono un upgrade automatico. A seconda della classe, vi è un set di equipaggiamento dedicato, che può essere acquistato presso le attività commerciali e creato da zero in officina (previa consegna del materiale richiesto). Vi consigliamo, caldamente, la seconda via. Le armi uniche, in combattimento, sono devastanti.
Sul fronte delle attività extra, beh, tenetevi forte, questa volta quelli di Ryu Ga Gotoku Studio non hanno badato a spese. Vi è una leggenda che parla di contenuti per circa 100 ore di gioco. Siamo onesti: non abbiamo avuto modo di valorizzare la quantità del tempo impiegato nelle diverse deviazioni presenti, ma sotto il profilo della qualità, il livello raggiunto non ha precedenti nella serie. Al netto di alcuni “vecchi” ritorni, come il Karaoke, le freccette e le sale giochi (con alcuni grandi classici SEGA), gli sviluppatori non hanno posto un limite alla loro follia creativa.
Come ad esempio, sfrecciare tra le strade hawaiane in sella ad una bicicletta in quello che assomiglia ad un tributo all’acclamato Crazy Taxi, solo che questa volta dobbiamo consegnare pietanze alimentari nei panni di un acrobatico rider. O ancora le battaglie con i Sujimon, alter-ego dei famosi Pokèmon ma in version simil-human. Abbiamo perso il conto dei combattimenti affrontati e del tempo speso in cerca di nuovi Sujimon da reclutare. E nel frattempo la main quest era ferma in panchina.
Una serie al bivio: difficoltà e sfide
La formula magica inventata dalle geniali menti creative di Ryu Ga Gotoku Studio giunge alla soglia dei vent’anni di attività. La serie ideata da Toshihiro Nagoshi, nel tempo, ha saputo sempre mantenere la sua identità, riuscendo a migliorare la formula base di capitolo in capitolo. Il personaggio di Kazuma Kiryu è maturato nel tempo, nonostante la sua granitica apparenza. Da astro nascente della Yakuza si è ritrovato a non avere più un’identità, condannato a vivere nell’anonimato sotto la protezione del clan Daidoji. Tutto per proteggere il suo amore più grande (che, ovviamente, non riveleremo).
Nel 2019 il drago di Dojima lascia il posto ad un nuovo e maldestro personaggio, che va in controtendenza rispetto all’eroe dei precedenti capitoli della serie. Si capisce subito che gli sviluppatori hanno voluto dare una nuova spinta alla saga, con la scelta di abbandonare il real time action in favore del turn based in perfetto stile jRPG. Il tutto condito da iniezioni di eccessivo surrealismo con situazioni ai limiti del paradossale. Il cambio di estremi – dal troppo serio al troppo serioso – è stato avvertito come una sana ventata di freschezza, posto che le avventure di Ichi sarebbero state viste come uno spin-off rispetto alla saga madre.
Arriviamo, dunque, a noi. La scelta è stata quella di promuovere Like a Dragon a serie madre, lasciando le motivazioni di questa scelta direttamente collegate agli eventi di gioco. Vi sono, però, alcuni aspetti che, rispetto a questa ennesima esperienza con la serie, si sono dimostrati lacunosi. Ad iniziare dall’eccesso “di eccessi”, una cacofonia atta a dimostrare come, in più di un’occasione, il distacco con la realtà ha toccato dei livelli di surrealismo nauseante. La caratterizzazione del personaggio di Ichi si è dimostrata peggiorativa, dipingendolo come un babbeo con un QI decisamente inferiore alla media. E che dire dei comprimari, che talvolta si dimostrano più una palla al piede che altro (eccezion fatta, ovviamente, per Kiryu).
Sotto il profilo artistico, la sentenza che vede l’inesorabile fine del Dragon Engine è stata finalmente pronunciata. Ormai i modelli grafici sono superati e anche a livello di definizione lo standard raggiunto non è dei migliori. Sotto il profilo delle atmosfere nulla questio come sempre, lato espressivo, però, vi sono dei momenti di puro imbarazzo. Il povero Ichi, infatti, ci regala delle espressioni facciali che vanno in direzione diametralmente opposta al contenuto ed al tenore delle argomentazioni affrontate. Per giunta, l’inquadratura del primo piano stretto sul volto del protagonista è indifendibile. In vista dell’approdo del nuovo engine, la nostra speranza è quella di una maggiore sensibilità artistica in tal senso.
La recensione in breve
Un capitolo decisamente esagerato. Esagerato nelle situazioni, con delle vicende sempre ai limiti del surreale e nella definizione di alcuni tratti caratteristici dei personaggi chiave. Esagerato anche nei contenuti extra, con una mole di cose da fare senza precedenti nella serie. In chiave narrativa, la serie giunge ad un nuovo punto di svolta, solo che il ritmo stenta a decollare. Il Dragon Engine va in pensione, e i motivi giungono in maniera piuttosto evidente. Bellissima la location Hawaiana, uscire dal Giappone è stata una bella ventata di aria fresca.
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Voto Game-eXperience