Focus Entertainment è ormai un punto fermo della produzione viudeoludica annuale con i suoi ricavi costantemente in crescita. Grazie a prodotti come A Plague’s Tale e il suo seguito Requiem la crescita del publisher all’interno del settore è poi sicuramente stata esponenziale. Nella faretra dell’azienda francese vi è anche Deck 13, studio di sviluppo che diede i natali a una sfortunata serie souls-like di nome The Surge e aiutò CI Games nello sviluppo del primo Lords of the Fallen. Ricchi di curiosità dunque, ci siamo apprestati a spolpare la nuova opera di questa software house tedesca: Atlas Fallen. Dopo svariate ore a surfare sulle onde di sabbia del titolo dunque, siamo pronti a offrirvi il nostro giudizio nella recensione di Atlas Fallen.
Una narrativa piatta
Si era mostrato per la prima volta un anno fa alla Opening Night Live di Geoff Keighley con un trailer spettacolare e in effetti Atlas Fallen a ben pensarci rispecchia molto quanto visto in quel filmato. Il nuovo titolo Deck 13 è un ricettacolo di spettacolarità, una miscela esplosiva di fumo negli occhi. Non vogliamo subito smorzarvi gli entusiasmi, Atlas Fallen non è un gioco brutto, ma è l’emblema della situazione attuale del settore: un caos ordinato, fatto di tante idee senza una direzione ben precisa. Un patchwork di tanti spunti, uniti in maniera forzata che però disinnescano l’effetto sorpresa e rendono molti dettagli triti e ritriti agli occhi del giocatore. Ma andiamo con ordine.
Un mondo decaduto, un male da estirpare, un antico manufatto a cui legarsi, un potere antico a cui attingere per modificare il nostro destino ma non solo. Già sentito? Sì, eppure nonostante ciò, il prologo narrativo di Atlas Fallen ha la capacità di incuriosire il giocatore, di offrire qualche guizzo ricco di brio. La scelta di proporre un artefatto parlante poi (in questo caso è il guanto) aiuta il giocatore a rimanere attaccato alle prime fasi di gioco per capire fino a dove il titolo vuole spingersi narrativamente e ludicamente.
Non vi sono però momenti memorabili. Dopo la curiosità iniziale, il gioco fallisce la missione di creare un crescendo di interesse, proponendo una narrativa senza lode e senza infamia che ha, a nostro avviso, la grande pecca di rimanere anonima. Non parliamo di un gioco deficitario, manchevole o mal assortito, ma semplicemente di un titolo così tanto derivativo da sembrare un qualsiasi altro action in terza persona uscito negli ultimi anni.
Anche la caratterizzazione dei personaggi – principali e non – non brilla per eccellenza. La fiera del cliché è purtroppo realtà e anche gli NPC e le missioni secondarie non aiutano a risollevare la permeante sensazione di deja vù che si ha tra le onde di sabbia di Atlas Fallen. Peccato, perché a livello stilistico, sia i personaggi che il mondo di gioco portano con sé più di qualche semplice guizzo. Anche i Wraith, i nemici principali del gioco, offrono in diverse occasioni delle trovate interessanti a livello stilistico.
Un gameplay fin troppo derivativo
Spostandoci lato gameplay purtroppo la situazione non cambia. Quanto vi troverete davanti è un titolo che prende ispirazione a piè pari da titoli action molto blasonati (God of War e Horizon su tutti) ma lo fa senza adattare tali scelte alla propria natura. Manca una personalizzazione netta dell’esperienza di gioco. Il giocatore viene costantemente subissato di meccaniche e situazioni che però hanno trovato già altrove una formula vincente.
Atlas Fallen ha un combat system particolare che sfrutta l’escamotage del guanto in possesso del protagonista per permettervi di manifestare armi di vario genere. Le possibilità dunque faranno sì che i vostri colpi siano dedicati a due armi, a diversi colpi (normali e potenziati), a una schivata, a una parata e a una serie di poteri/evocazioni. Dai martelli alla Lords of the Fallen, alle lame allungabili alla God of War, dall’importanza dei parry al malus per l’eccessiva aggressività in combattimento. Ogni aspetto di Atlas Fallen non riesce ad eccellere rimanente estremamente godibile. Non neghiamo che combattere sia piacevole e remunerativo in termini di divertimento, ma sottolineiamo come più che in altri casi in quest’opera si senta la pesantezza del “già visto”.
Al netto di tutto ciò, vi sono però degli elementi positivi da sottolineare dell’esperienza di Atlas Falllen. In primo luogo la mobilità e la piacevole esplorazione del mondo di gioco. In secondo luogo la realizzazione di alcune dinamiche di combattimento contro alcuni nemici. Per quanto riguarda l’esplorazione, da sottolineare positivamente è sicuramente la scelta di proporre la possibilità di “surfare” sulla sabbia. Il giocatore potrà scegliere se camminare, correre oppure utilizzare la manipolazione della sabbia per muoversi in maniera sinuosa tra le dune di sabbia del mondo di gioco. Questo espediente è molto divertente e rende l’esplorazione degli ambienti più aperti decisamente piacevole e intrattenente.
L’altro punto è invece l’inserimento di alcune dinamiche da hunting game. Sia in singolo, che a maggior ragione in coop con un amico, i nemici che offrono la possibilità di mutilazioni o strategie di approccio più stratificate risultano molto piacevoli da affrontare. Non solo per le dinamiche in sé quanto anche per le ricompense aggiuntive che si ottengono dalla fruizione di tali meccaniche. Inoltre, queste meccaniche sono spesso un plus e non obbligano il giocatore a dover agire in tale maniera per superare lo scontro.
Un’ultima appendice la teniamo per quanto riguarda le dinamiche di “terraformazione”. La manipolazione della sabbia infatti, non è solo un plus a livello di mobilità. In alcuni specifici momenti e punti della mappa, sarà possibile utilizzare i vostri poteri per e creare piattaforme o costruzioni in grado di permettervi di accedere a luoghi altrimenti inaccessibili. Una scelta molto interessante e che avremmo voluto più libera e sfruttata. Purtroppo questa feature rimane una “gimmick” legata soltanto ad alcuni luoghi specifici, lasciando così l’amaro in bocca al giocatore.
Contorno nella media
Senza lode e senza infamia anche il comparto audiovisivo del titolo. Se dal punto di vista grafico non è certo un miracolo quanto proposto da Deck 13 (anzi, in alcuni casi i poligoni lasciano a desiderare), ma comunque in linea generale piacevole, a deludere è la colonna sonora che anche in questo caso risulta piatta e senza mordente. A deludere è anche il sound design ambientale che lascia perplessi in alcuni momenti con suoni non contestualizzati e/o bizzarri e scelte che avrebbero potuto essere fatte diversamente per valorizzare l’enfasi di determinati momenti.
La Recensione in breve
Atlas Fallen è chiaramente un titolo derivativo che si ispira a diversi capisaldi del genere e che prova con tutta la sua forza a inserirsi in un bosco ormai saturo di fronde. La fortuna aiuta gli audaci e forse Atlas Fallen avrebbe dovuto essere più spregiudicato in alcune scelte per trovare la forza di imporsi. Il gioco è piacevole e sfrutta sapientemente la sabbia per proporre una esplorazione godibile e divertente. Peccato per la limitazione delle interazioni con essa e un combat system poco ispirato. Chiudono il cerchio una anonima caratterizzazione dei personaggi e una colonna sonora claudicante.
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Voto Game-Experience