Che il buon Hideo Kojima abbia rappresentato uno spartiacque nel mondo del gaming, non c’è molto da discutere. Che le sue opere siano state seminali, influenzando la produzione a venire, mi pare sia fuori discussione. Ciò che sorprende è che, persino le creazioni mai realizzate, per motivi tutt’altro che trasparenti, del game designer nipponico abbiano creato uno stralo di proseliti tale da giustificare “imitazioni” da parte di altre software house.
E fu appunto per fornire all’utenza un succedaneo al mai troppo rimpianto P.T. che i ragazzi di Bloober Team, nel lontano 2016, decisero di dar forma al loro Layers of Fear, prodotto che, a dispetto di una chiara matrice imitativa, seppe ritagliarsi un posto suo proprio nel mondo del gaming. Ed è così che ci troviamo oggi a mettere sotto torchio il terzo capitolo di questo franchise di successo. Si tratta dunque dell’ennesimo “more of the same” o c’è effettivamente qualcosa che ci renda imprescindibile giocarlo? Delle due, sicuramente la seconda: ma scopriamolo insieme nella nostra recensione di Layers of Fear.
Il cerchio si chiude
L’uscita del primo Layers of Fear, nell’oramai remoto anno domini 2016, rispose all’esigenza di una community incuriosita e ingolosita dal teaser giocabile di P.T., horror psicologico, che mai vide la luce, prodotto da Hideo Kojima sotto l’egida di una Konami che, mai come allora, fece di tutto per divenire invisa al grande pubblico.
Fermo restando, dunque, un furbesco criterio imitativo dell’idea originale del buon Hideo, al fine di sfruttare il battage derivante dalla cancellazione come trampolino di lancio a costo zero, va detto che il primissimo Layers of Fear non si limitò a brillare di luce riflessa, anzi.
La qualità della narrazione, unita ad un gameplay tanto semplice quanto additivo, decretarono un successo di matrice planetaria, proiettando Bloober Team nell’olimpo delle software house di successo, permettendo, al contempo, alla software house di mettere in cantiere non uno, bensì due seguiti.
Se nel primo episodio ci trovammo ad esplorare una magione vittoriana, impersonando un pittore pazzo alla ricerca dei materiali per creare il suo dipinto “definitivo”, scandagliando al contempo gli abissi di una sanità mentale sempre più vacillante, nel secondo episodio la narrazione ci condusse a bordo di un transatlantico. Qui, fummo costretti a portare alla luce le macchinazioni del regista, scoprendo segreti ed orrori nascosti dietro le sue produzioni, girate in loco: in un oceano di citazionismo transmediale ai migliori film del settore, scoprimmo la genesi di un arcano legame tra il primo ed il secondo episodio.
Giungiamo così all’episodio attuale che, con la sua narrazione densa e stratificata, tesserà le fila di eventi che ci permetteranno di connettere tutti i fili narrativi lasciati in sospeso fino ad ora, lanciandoci contestualmente in una orrorifica ed appagante esperienza narrativa.
Ogni inizio ha una fine… forse…
Ed è a questo punto che prendono inizio le gesta finemente narrate in questo terzo capitolo del franchise made in Bloober Team, fantasiosamente nominato Layers of Fear, come il capostipite della serie. Questa scelta, apparentemente bislacca, rivela invece un intento autocitazionistico, oltre ad una intenzione, nemmeno tanto celata, di creare un trés d’union tra il primo e l’ultimo capitolo, innestando sin dalla nomenclatura standard, una sensazione di circolarità della narrazione.
Layers of Fear non viene, infatti classificato, né come remaster, né come remake: lo slogan “Horror Re-Imagined” chiarisce bene come questa terza iterazione rappresenti una attualizzazione di tutta la serie, rivista e rivisitata grazie alle nuove tecnologie, integrando dinamiche di gameplay che la precedente iterazione, made in Unity, non avrebbe permesso.
Ci troveremo, dunque, ad impersonare una scrittrice selezionata, dopo aver inviato un suo racconto, per passare una notte in un faro abbandonato e trarre, una volta li, ispirazione per la scrittura del suo nuovo romanzo. Verremo dunque a contatto con delle entità presenti nel faro, entità che ci faranno rivivere le gesta del precedente proprietario, scandagliando un passato troppo terrificante per rimanere nascosto nelle pieghe del tempo. In un gorgoglio di emozioni e sensazioni, scenderemo nei meandri della psiche dello scrittore, per comprendere i motivi che lo portarono alla pazzia, scoprendo contestualmente i sinistri eventi di cui si rese protagonista.
La discesa nei personalissimi inferi dello scrittore non verrà ulteriormente dibattuta, qui in sede di recensione: essendo Layers of Fear un horror psicologico in prima persona, prettamente story-driven, qualsiasi altra anticipazione rischierebbe di rovinarvi l’esperienza di gioco.
Un orrore ri-immaginato
Questo Layers of Fear può essere definito, senza tema di smentita alcuna, la prova della maturità di Bloober Team che, al tempo del capostipite della saga era null’altro che uno studio emergente. Il primissimo Layers of Fear, inoltre, era niente più che un gioco a basso budget, realizzato su Unity, un motore grafico – fisico tanto duttile quanto limitato.
Il passaggio, in occasione di questa terza iterazione, ad Unreal Engine 5 rappresenta, già di suo, un marker netto ed incontrovertibile del cambiamento di status e di ambizioni dello studio polacco, già investito da Konami della responsabilità di riportare in auge il franchise di Silent Hill.
Per ri-immaginare l’orrore, mediante un prodotto che fa dell’esperienza narrativa il suo punto focale, è necessario infatti un comparto grafico-sonoro allo stato dell’arte. HDR, Ray-tracing e 4K sono infatti le features implementate in questo ultimo capitolo, al fine di garantire una immersività senza precedenti e, va detto, la differenza visiva dai pur eccelsi capitoli precedenti è immensa. L’adozione, inoltre, dell’audio binaurale, unito al consiglio di esperire il playthrough mediante un headset dedicato, completa la ri-proposizione, debitamente aggiornata, di un prodotto divenuto oramai marchio di fabbrica dei ragazzi di Bloober Team.
Ad aumentare ulteriormente il livello di coinvolgimento e di immersione nelle lugubri e claustrofobiche atmosfere di questo terzo capitolo, giunge l’adozione di una torcia che ci permetterà di inoltrarci nelle tenebre e di interagire (o difenderci) da eventuali elementi di contatto, meglio detti “cortocircuiti narrativi”, tra i due piani cronologici ivi presenti.
Jumpscares e narrazione allo stato dell’arte
Sia chiaro però che, al netto di tutti gli aggiornamenti tecnologici demandati a garantire una migliore esperibilità delle emozioni veicolate dal prodotto finale, non staremmo parlando di un prodotto capace di centrare, per la terza volta consecutiva aggiungerei, il bersaglio se, ad una componente estetica non corrispondesse una controparte narrativa di primissimo livello.
Ed è qui che i ragazzi di Bloober, coadiuvati dagli Anshar Studios, hanno compiuto un cortocircuito videoludico, donando profondità e molteplicità di accesso ad un gioco che, per via del genere di appartenenza, dovrebbe contraddistinguersi per linearità e ripetitività. L’intero playthrough, che non ci prenderà più di una decina di ore, si contraddistingue, infatti, per una serie di scelte/non scelte, dettate dall’istinto che ci permetteranno di imboccare l’uno o l’altro sentiero narrativo, conducendoci per mano, volta dopo volta, ad uno dei finali multipli appositamente allestiti.
Layers of Fear chiude le fila di una narrazione iniziata ben sette anni fa con l’omonimo capostipite, riuscendo nel compito di mettere sotto una luce diversa gli eventi esperiti nei primi due episodi della saga, facendo(mi) tornare la voglia di riprenderli in mano per analizzare, nuovamente, quanto narrato grazie alle informazioni date nel finale. Unica nota stonata, le (poche) sezioni trial and error risultano essere frustranti per via della eccessiva facilità del game over, aggiungendo si pathos per via della caducità dell’esperienza ludica ma anche noia, dopo (più di) qualche tentativo andato a vuoto.
Horror next-gen
Il passaggio ad Unreal Engine 5 ha sancito il compimento di uno step forward tanto atteso quanto necessario, al fine di un livellamento verso l’alto dell’esperienza di gioco. La duttilità di uso del motore grafico-fisico made in Epic si concretizza, nella fattispecie, nella gestione avanzata di effetti di luce e nebbia volumetrica mediante il sistema di illuminazione globale Lumen. Il comparto “Niagara”, invece, garantisce la presenza di effetti particellari avanzati, calcolati in tempo reale durante l’esperienza di gioco.
Questo motore grafico, nemmeno a dirlo, è stato progettato con ben in mente configurazioni PC di fascia alta, pur non sfigurando, seppure con endemiche ed attese limitazioni prestazionali, su Xbox Series X, piattaforma utilizzata per testare questo Layers of Fear. Nella fattispecie, la modalità prestazioni garantisce un framerate granitico (60 fps), abbassando però la qualità generale delle textures e disattivando gli effetti particellari in tempo reale.
La modalità qualità, appositamente creata per mostrare i muscoli dell’Unreal Engine 5, tentenna però su Xbox Series X dove, a fronte di una magnificenza grafica, non assistiamo quasi mai al raggiungimento della soglia dei 30 fps. La situazione potrebbe essere migliorata con una D1 patch ma, vista la situazione complessiva, dubito sia possibile sanare completamente questa criticità.
Il comparto audio, invece, brilla di luce propria, consegnandoci musiche di accompagnamento sempre azzeccate e una serie di effetti sonori dinamici che contribuiscono, sia se ascoltati in cuffia che con un impianto 5.1, a rendere l’esperienza ancora più terrificante ed avvolgente.
Menzione di merito a Bloober per la disponibilità dei sottotitoli in italiano, scelta che non fa rimpiangere la mancanza del doppiaggio, per via di un voicing inglese di primissima caratura.
La recensione in breve
Layers of Fear rappresenta la conclusione in pompa magna della trilogia ideata, anni fa da Bloober Team. Un lavoro certosino di attualizzazione ci consegna una esperienza horrorifica funzionale ed avvolgente che saprà accoglierci per tutta la durata del playthrough. Qualche incertezza nel framerate, in modalità qualità, non va però a minare la fruibilità del titolo, capace di soffrire di ripetitività nelle sezioni trial & error.
Consigliato a tutti gli appassionati di avventure story-driven.
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Voto Game-Experience