Se c’è una cosa della quale sono abbastanza sicuro quando penso al “mondo indie”, ed in particolare a Salt and Sacrifice è: il tempo vola. E’ volato enormemente se si pensa che fino a 12 anni fa Minecraft era ancora un imberbe giochino che attirava l’attenzione di una nicchia di appassionati e Demon’s Souls, creato dall’allora assai meno noto team FromSoftware, infiammava le giornate di pochissimi giocatori rispetto ad oggi. Il mondo dei videogiochi indipendenti ha fatto passi da gigante, anche grazie all’indispensabile apporto di alcuni titoli che più di altri hanno lasciato il segno, vuoi per reali meriti o semplicemente per fortunate coincidenze. Un titolo che merita di essere citato è senza dubbio Salt and Sanctuary, opera del 2016 che ha di fatto permesso al piccolo studio indipendente Ska Studios di emergere dopo quasi una decade di attività “nell’ombra” con titoli di minor impatto. Oggi, a distanza di sei anni, il ritorno del “Senzasale” (SIC!) coincide con una nuova impennata di interesse del pubblico verso il genere soulslike puro. Come se la saranno cavata i ragazzi di Ska Studios con la produzione di questo difficile titolo?
Salt and Sacrifice: Inquisizione
A differenza del precedente capitolo, in Salt and Sacrifice ci ritroveremo nei panni di un personaggio che ha una storia narrata in modo più dettagliato. Non è l’unica differenza in realtà: già dai primi passi nel mondo di gioco potremo apprezzare una narrazione più marcata e meno criptica, un gran numero di NPC in una sorta di “hub centrale” ricco già di spunti e nozioni da apprendere. Una soluzione di gameplay certamente funzionale ad avventura inoltrata ma che rischia di confondere e sovraccaricare di possibilità un neofita: l’inizio smorzato e solitario di Salt and Sanctuary rendeva paradossalmente più ottimale l’inizio del gioco vero e proprio. Nulla di grave ovviamente ma considerando che le opere di Ska Studios si rifanno enormemente al lascito del primo Dark Souls, sarebbe opportuno prendere ciò che di buono c’è stato in quell’esperimento. Personaggi centellinati, dialoghi stringati, poche nozioni ed indottrinamento del giocatore passo-passo sono soluzioni davvero ottimali quando si tratta di introdurre qualcuno ad un’ambientazione completamente nuova, soprattutto se si parla anche di informazioni relative a meccaniche di gameplay importanti.
L’inquisitore, il nostro personaggio, può essere personalizzato a dovere e permette ovviamente un approccio unico per ogni run. Skills combattive e magiche verranno potenziate tramite il “Sale”, ovvero le “Anime” del mondo di Salt and Sacrifice. Come spesso accade nei titoli di questo genere però, la gran parte del lavoro è nelle mani del giocatore: se non si sono apprese le nozioni importanti, se non si imparano i frames degli attacchi (a volte imprecisi, ma ne parleremo tra poco) ed i tempi di risposta, non c’è skill o potenziamento che tenga e la morte arriverà inevitabile. La caratteristica fondante dei titoli soulslike sta appunto dell’apprendere e nel memorizzare, e Salt and Sacrifice non fa differenza. Non la fa nel senso più letterale e “viscerale” del termine, cosa che rappresenta sia un gran punto di forza che un gran punto di debolezza.
A volte ritornano
Se c’è un punto fisso, un feeling che ho avuto durante ogni singolo secondo di gioco, è stato: sembra Dark Souls in 2D. Successe ai tempi con Salt and Sanctuary e succede anche ora con Salt and Sacrifice. Nonostante le aggiunte interessanti (rudimentale crafting, rune per viaggiare, raccolta materiali ecc.) si ha sempre la sensazione di giocare ad una versione 2D di Dark Souls. Ovviamente era negli intenti dei developers ricreare quella sensazione, senza dubbio, ma da appassionato giocatore di questo (ormai assai radicato) genere mi sto spesso ritrovando a ripercorrere “strade di gameplay” viste e riviste. Siamo forse giunti ad un punto di saturazione? Siamo arrivati al punto in cui qualunque gioco DEVE riproporre stilemi che richiamino al capostipite del genere? Lascio a risposta a chi legge.
Tornando a Salt and Sacrifice, nessuna paura dal punto di vista puramente tecnico: il gameplay di Salt and Sacrifice è solido e divertente, coinvolge al punto giusto, confonde piacevolmente e da un senso di ariosità nonostante le ambientazioni cupe e nebbiose. Il gioco è di ampio respiro e con un mondo variegato da scoprire. Il comparto multiplayer (anche qui siamo strettamente sui binari dei Souls by FromSoftware) si divide in combattimenti co-op, messaggi lasciati dai giocatori per aiutare (o ingannare) gli altri e le ormai classiche invasioni dalle quali difendersi con le unghie e con i denti. La perdita di Sale rappresenta ovviamente la paura maggiore, il rischio di veder vanificato il lavoro di grinding o di veder svanire un corposo malloppo recuperato al seguito di una boss fight vittoriosa. Se da una parte si gioca bene, dall’altra si trovano collisioni a volte un po’ imprecise che derivano direttamente dal primo capitolo della serie: molte volte i colpi dei nemici (in particolare dei boss) si rivelano abbastanza difficili da “leggere visivamente”.
Un Dark Souls in 2D quindi? Certamente Salt and Sacrifice è molto più vicino a questa definizione rispetto ad altri titoli più noti come Blasphemous (per citarne uno solo). Se cercate un’avventura vicina al “puro stile Miyazaki” non vi serve andare oltre: l’avete trovata. Con tutti i pro ed i contro, beninteso. Ma certamente i ragazzi di Ska Studios sanno quello che fanno ogni volta che sfornano un titolo soulslike. Per la seconda volta, con Salt and Sacrifice, sono riusciti ad seguire le orme di FromSoftware in modo netto e ben fatto. La prossima volta che ne dite di provare ad osare un po’ di più? Questa si che sarebbe una sfida.
Versione testata: PC
Piattaforme disponibili: PC, PS5, PS4
Salt and Sacrifice
Lo sforzo riposto in questo secondo capitolo della "serie Salt" è evidente ed il gioco proposto è senza dubbio di qualità. Ampio, variegato e competitivo, farà la felicità di chi ha apprezzato il concept del primo Dark Souls. Si cita questo titolo non a caso, proprio perché Salt and Sacrifice ha come maggior difetto quello di essere rimasto ampiamente in "porti sicuri" seguendo le strade già battute e ritoccando qui e là, aggiungendo poco rispetto al titolo precedente. Squadra che vince non si cambia, si suol dire. Questa volta ha funzionato ancora. L'importante è non adagiarsi troppo sui "rovi spinosi" del soulslike standard troppo a lungo. Per il resto: ottimo lavoro Ska Studios!
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Voto Game-Experience