La mia ultima passeggiata – se così la possiamo chiamare – per i corridori gremiti del Convention Center risale al Giugno 2017. Un’edizione che, onestamente, non ricordo essere stata tra le più brillanti (ma hey, sono passati 4 anni e la mia memoria non è più quella di una volta) ma che, come ogni volta per me dal 2011, riusciva a lasciarti quel mix di malinconia mista a “ok, anche quest’anno ce l’abbiamo fatta” quando varcavi l’uscita della South Hall per l’ultima volta, leggendo il celebre e fotografatissimo cartellone “See you next year“. Perché in fondo sì, chiuso anche l’ennesimo E3 dall’altra parte dell’oceano qualcosa di bello riuscivi sempre a portartelo a casa; nuovi amici, qualche hands-on memorabile, quell’intervista al tuo eroe con cui, dopo anni di attesa, riuscivi addirittura a parlare. Oltre a quella sensazione, forse la più indescrivibile, di aver preso parte all’evento di punta del settore videoludico, alla vetrina del gaming per antonomasia dove, in un tripudio di musica, luci e annunci pirotecnici, potevi respirare per tre giorni il futuro del settore. Perché dai, poche storie, la magia dell’E3 era proprio quella; l’essere lì, conferenza dopo conferenza, annuncio dopo annuncio, anteprima dopo anteprima, a testimoniare, guardare o addirittura provare per primo quelle magie che, nei mesi a venire, l’utenza avrebbe visto arrivare nei propri salotti. Il “most wanted”, l’annuncio bomba, la delusione che non ti aspettavi o quel titolo dato per morto che, tra ovazioni, grida e abbracci del pubblico, tornava inaspettatamente sotto i riflettori della ribalta: chiunque abbia partecipato ad un E3, ma anche chi lo abbia semplicemente seguito via streaming, saprà sicuramente di cosa stiamo parlando.
L’E3 è sempre stato l’unico appuntamento che cerchiavo di rosso sul calendario praticamente con un anno di anticipo – tipo che “Ommioddio hanno aperto le iscrizioni per l’anno prossimo, carichiamo subito dati, documenti e moduli vari prima che sia troppo tardi” grossomodo a Dicembre/Gennaio, per poi contare come una scolaretta le settimane che mancavano alla partenza (storicamente tra la prima e la seconda settimana di Giugno). Ci sarebbero così tanti aneddoti da raccontare su quei tre giorni di kermesse (più due di conferenze, ai bei tempi) che difficilmente un editoriale come questo basterebbe a coprirli tutti: dall’odore della moquette del Convention Center mescolato al gelo siberiano dei condizionatori alla Press Room presa d’assalto nei momenti di fiera più caldi, passando per le passeggiate in un Center incredibilmente deserto, solitamente la domenica pre-fiera, quando era tempo di ritirare i badge di accesso. Senza dimenticare hamburger grandi come la mia faccia che Nowzaradan levati, la caccia al loot più ganzo dell’intera edizione, le tappe immancabili allo Starbucks sulla Figueroa o all’ESPN in zona Staple Center, dove sfondarsi (letteralmente) di junk food con bevande a ricarica infinita e patate fritte dolci a volontà. E i Party, i salti mortali per imbucarsi agli eventi a porte chiuse, Hooters (perché sì, e chi dice di non esserci mai stato mente spudoratamente) e molto altro ancora. Che detta così, in effetti, capisci anche perché tre quarti dei tuoi amici ti insultavano quando era ora di partire: anche se, e ve lo posso garantire, ai tempi d’oro dell’E3 c’era da trottare come dei fulmini. Perché è vero che le cose “funny” sono state tante, ma trovarsi alle 3 di mattina illuminati dallo schermo del portatile con un’anteprima capricciosa che non voleva uscire beh, se non era la norma poco di mancava…
Ok, la smetto con l’Amarcord, anche perché tutto sto stream di ricordi inizia a farmi pesare ancor di più uno dei fatti con cui, probabilmente, presto dovremo iniziare a convivere; il futuro dell’E3. Non che lo stato di salute incerto della kermesse sia una novità: già da prima del COVID, di segni indicanti una lunga serie di malumori in seno alla kermesse più prestigiosa del settore non ne mancavano affatto – niente più conferenze per Nintendo e EA, un drastico calo degli espositori alla tre giorni di fiera, una riduzione evidente (in termini di spazio) dei booth dei partecipanti (giusto per dire, un anno Wargaming portò un carro armato all’interno della West Hall, per poi parcheggiare, l’anno seguente, un paio di aerei da guerra a grandezza naturale di fronte all’ingresso della fiera. L’anno ancora successivo, onestamente, manco ricordo se Wargaming fosse o meno presente all’edizione) a fronte di un aumento mostruoso dei prezzi imposto dall’organizzatore dell’evento. I big guardavano oltre al tradizionale booth sfavillante infarcito di luci, musica e babes, strizzando l’occhio a eventi “privati” e sempre più digitali grazie ai quali non solo era possibile risparmiare una discreta valanga di soldi, ma con cui pianificare annunci, reveal e premiere in modo molto più mirato senza dover obbedire alla calendarizzazione dell’ESA. Nintendo fece di questa strategia un’arte ben prima del 2019, l’anno in cui Sony inventò la PlayStation Experience (e poi gli State of Play) per saltare a pié pari l’edizione corrente (e quelle venture) dell’E3, mentre EA s’era pure trasferita al di fuori del Convention Center per fare il suo EA Play e streammarlo comodamente su Twitch. I corridoi della West, della South e della Kentia Hall, di colpo, non erano mai sembrati così spaziosi, anche se il vero colpo di grazia era dietro l’angolo.
Ed eccoci di colpo qui, anno del Signore 2022, ancora in piena pandemia COVID-19. L’anno in cui, non lo nascondo, avevo messo in programma un ritorno (l’ultimo, visto che ormai gli anni sul mio groppone sono inversamente proporzionali alle energie rimaste) in grande stile al Convention Center per un’edizione che sì, per qualche tempo ho sperato fosse davvero in presenza. Anche perché dopo la cancellazione dell’edizione 2020, un E3 2021 che ha oscillato tra il ridicolo e il vergognoso ma, soprattutto, dopo un CES 2022 in incredibile presenza, dai, perché non sperare positivo almeno stavolta e illudersi che sì, per giugno bisogna assolutamente rinnovare il passaporto che l’aereo è lì che ti aspetta? Le defezioni – lo so, prevedibili – dei Main Expositor di Las Vegas nei giorni immediatamente precedenti all’apertura del CES, la curva epidemiologica che – prevedibile pure questo – non è certo andata in ferie per Natale e, più in generale, la situazione tutto tranne che leggera legata – ok, l’avete capito – all’andamento dell’Omicron, ci hanno portato a quello che, tutto sommato, era l’epilogo più scontato. Per il secondo anno di fila, l’E3 sarà digital only: con tanta pace per il sottoscritto, che ora dovrà trovare motivazioni migliori per rinnovare il passaporto…
Il che ci porta al nodo focale della questione, riassumibile con una domanda tanto semplice quanto spietata. Che sia chiaro, non è tanto se sto maledetto E3 tornerà mai in presenza come ai bei vecchi tempi, quanto piuttosto se avrebbe ancora senso, una volta “sistemata” la vicenda COVID, un E3 in presenza. Un E3 in vecchio stile, con 50k giornalisti (o giù di lì) che sfrecciano come meteoriti in un dedalo di booth sgargianti, con PR che impazziscono per star dietro alle mille richieste che arrivano dalla stampa di settore, con i Big che scendono nuovamente sul palcoscenico di teatri gremiti di pubblico annunciando come, quello a venire, sarà ricordato come il miglior anno di sempre per i giocatori. Tutto molto bello, bellissimo anzi, ma se dovessi scommetterci anche solo un euro me lo giocherei sul NO senza nemmeno pensarci due volte. No, non penso abbia più senso un E3 del genere, come – purtroppo – non penso assisteremo ad un futuro di E3 “fisici”, se mai l’edizione del 2023 procederà in tal verso. Le vecchie edizioni a cui abbiamo fortunatamente preso parte erano figlie di altri tempi, figlie di un modo di fare comunicazione che oggigiorno non solo è al limite dell’anacronistico, ma che iniziava a mostrare le proprie crepe prima ancora dell’arrivo della Pandemia. Che di certo non ha portato giovamento all’intera baracca, ma più che distruggerla improvvisamente e inaspettatamente ha soltanto accelerato quel processo di declino che già da un paio d’anni sembrava essersi avviato. Nessuno nega quanto sia bello ritrovarsi al Nokia Theater o alla Memorial Sports Arena e vivere in diretta l’annuncio più atteso, tra le urla smodate di un nugolo di giornalisti impazziti – o, allo stesso modo, provare l’ebbrezza delle interviste 1to1 nelle Permanent Room: ma a mente fredda, perché? Per quale motivo Sony (se mai tornerà all’E3 in modo dignitoso), Microsoft o Nintendo (ehm…) dovrebbero investire cifre a zeri – se va bene – quando può ottenere risultati uguali, per non dire migliori, investendo su eventi in streaming privati del tutto autogestiti? Perché far smuovere centinaia di persone da ogni parte del globo quando, molto semplicemente, basta un’istanza di Teams per gestire un’intervista o una presentazione? Abbiamo ancora bisogno di una “brutal display of power” da palcoscenico, dell’erede di Steve Ballmer (che Dio l’abbia sempre in gloria) con la camicia inzuppata di sudore che incita le folle a far crollare le pareti del teatro? Il cuore dice sì, come sempre, ma di nuovo, non ci scommetterei nemmeno i vostri soldi…
In tutto questo, ultimo piccolo appunto, non dimentichiamoci il faccino simpatico di Geoff Keighley e i suoi The Game Awards, che con l’edizione 2021 hanno sicuramente mostrato di avere potenziale da vendere e tutte le carte in regola, se mai ce ne fosse davvero stato bisogno, per accompagnare l’E3 di ESA sulle prime mattonelle del viale del tramonto. Una formula streaming semplice e lineare, dove si parla il minimo sindacale (interviste serrate e velocissime, al limite dello scambio di battute) per lasciare spazio pressoché completo sì alle premiazioni, ma anche a video, reveal, e immancabili world premiere. Una soluzione di una comodità disarmante, che non costringe la stampa di settore a trasferte transoceaniche ma, allo stesso tempo, concentra in sole tre ore un numero di annunci che le ultime edizioni dell’Electronic Entertainment Expo a malapena riusciva a sognarsi. Ovviamente al netto dei già citati costi inumani…
Chiudo sottolineando, nonostante tutto, come i sette E3 a cui ho partecipato negli anni siano stati (e siano ancora oggi) uno dei ricordi più belli che “l’essere nel giro dei giochini” mi ha regalato. Ho smesso di comprare t-shirt dal 2011, tanto per dirne una, oppure con l’aiuto di un paio di amici ho bloccato Kojima all’uscita dei bagni della West Hall (roba da insta-arresto a Guantanamo) per rubare una foto con lui – che, tra l’altro, è uscita pure malissimo, ma fidatevi che va bene uguale. Ne sono successe così tante a Los Angeles in quelle sette edizioni che ogni tanto sì, la voglia di prendere l’aereo e tornare al Convention Center si fa sentire come un cazzotto sulle gengive, al punto da sentire la mancanza anche delle cose più strane e assurde (chiedete in giro dell’odore di cane bagnato della moquette del Convention, chiunque ci sia stato ve lo potrà confermare). Confesso che sì, spero che la mia funesta previsione si riveli una boiata gargantuesca e che l’anno prossimo dai, ci si becca tutti da Hooters che il primo giro ve lo offro io. Che poi oh, dovessi mai indovinare, un giro “in memoria dell’E3 e dei vecchi tempi” ce lo potremmo fare comunque…