Ubisoft ha avuto una grande influenza nella vita di noi tutti videogiocatori con i suoi titoli, sin dagli albori, hanno influenzato pesantemente l’industria e tutt’ora, a distanza di 35 anni, l’azienda detiene tanti franchise di rilevanza mondiale, che piacciono sia a grandi che piccini.
Affronteremo i 35 anni in 3 diversi speciali dedicati alla grandiosa storia di Ubisoft, che parte dalla sua creazione fino ai giorni nostri, il tutto raccontati attraverso i giochi e gli eventi più importanti dell’azienda. In questo articolo daremo un occhio al successo mondiale del Reboot di Prince of Persia fino al flop di Rayman Legends, passando anche dalla nascita di Assassin’s Creed.
Questa è la seconda parte di 3 articoli dedicati alla storia di Ubisoft, nella prima invece ripercorriamo gli albori dell’azienda da prima della sua nascita nel 1984 fino al primo Tom Clancy’s Splinter Cell nel 2002. Se non l’avete ancora letta, ve la consigliamo di recuperare, se invece volete proseguire nella lettura, bene: preparativi una bella bevanda rinfrescante e delle patatine, e cominciamo! Buona lettura!
Prince of Persia, il reboot che nessuno aveva chiesto ma che tutti desideravano
L’anno dopo l’acquisto di Red Storm (2001) Ubisoft acquistò la The Learning Company che stava capitolando nel disastro economico, così l’azienda francese ottenne i 60 dipendenti dell’azienda California e le proprietà intellettuali di alcuni brand, come Myst e Prince of Persia.
Yannis Mallat aveva un sogno, creare un nuovo Prince of Persia: ci sono parecchie testimonianze che mostrano l’amore di Yannis verso quella mitica avventura dell’89, e quando Ubisoft acquisì i diritti smosse mezzo mondo per ottenere il consenso del suo capo ai tempi, Paul Meegan, per gestire il brand e quando ci riuscì, capì di avere il gioco dell’anno tra le mani.
Da grande fan delle storie del principe giocò a tutti i suoi capitoli, compreso il fallimentare Prince of Persia del 99′, e nel suo piccolo era cosciente che dietro a un gioco del genere ci fosse una community di giocatori che avrebbero apprezzato il ritorno del principe in grande stile. Ne era convinto, tale da giocarsi il tutto per tutto con lo studio di Montreal.
Per prima cosa Yannis aveva bisogno della mente dietro al primo Prince of Persia (1989), Jordan Mechner, ex game designer di Broderbund Software che in quel momento stava lavorando a dei film e documentari. Serge e Yannis si incontrarono con Jordan e scelsero di creare un formidabile team di 20 persone, tra cui Patrice Désilet, e si misero al lavoro sul concept di gioco. Uscirono tante idee, tanti scontri interni per come concepire il gioco nel suo design e nella narrativa, e tra risate e ritardi nelle consegne, il concept finale era pronto. Jordan ebbe il ruolo di supervisionare il progetto esponendo le sue idee, e mentre il progetto andava avanti, espose un pensiero che fu il pilastro dietro al gameplay di Prince of Persia “Un platform è guidato da un ritmo di gioco, il quale va rispettato per rendere il gioco divertente“.
Yannis gli diede retta, investirono una gran parte dei fondi dello studio per sfruttare la tecnologia del Mo-cap; ci lavorarono così tante volte che furono comprate molte tute per ogni singolo performer, ma quando riuscirono a creare la giusta animazione, ricreando quel ritmo tanto cercato, effettivamente lo stesso Yves Guillemot lo trovò incredibilmente divertente. L’obbiettivo del team era di rendere il gioco un Maestro di quel ritmo, maestro delle avventure.
Era un freddo aprile del 2003 a Monteral e tutti erano concentrati sullo sviluppo del gioco. In quel momento stavano lavorando ai modelli del protagonista, ma mentre Yannis stava supervisionando il lavoro del team fu chiamato di andare in ufficio per rispondere una chiamata: “Chi è?” chiese, e l’assistente rispose “Sony Computer Entertainment“. Parlò al telefono, con faccia seria e asserì poche parole con l’interlocutore. Chiuse la chiamata e chiamò il team a raccolta. C’era grande attenzione e la faccia di Yannis esprimeva quanto l’uomo si stesse trattenendo. Poi, con tutte le sue forze in corpo, guardò i ragazzi e urlò “Sony vuole il nostro gioco all’E3!“. Un evento storico accadde a Montreal: Sony, una delle due aziende più importanti del settore, aveva chiesto Prince of Persia, proprio il loro gioco, da fare vedere in anteprima mondiale.
Il team era fomentato e Yannis più di chiunque altro: lavorarono duramente al progetto, avevano 5 settimane per completare una demo da presentare alla fiera mondiale di Los Angeles e sul filo del rasoio riuscirono a creare una demo adatta.
Tutti, ma proprio tutti, giocavano a Prince of Persia e la gente ne era sorpresa: Alain Corre, Executive Director of EMEA di Ubisoft, raccontò pure di aver visto Larry Probst, CEO di EA ai tempi, mentre giocò alla demo trovandolo divertente. Con tutti i pareri positivi ricevuti, il team di Montreal comprese di aver creato qualcosa di importante di nuovo, e di questo Yannis ne fu fiero e orgoglioso.
Dalla demo presentata a maggio ci furono dei cambiamenti dati dalla rimozione o modifica delle mappe, sistemazione dell’envirorment e dei personaggi… almeno fino all’estate che stava arrivando. La game tester Marianne LeCouffe trovò un grave problema: Prince of Persia era il primo gioco ad avere il caricamento dinamico tra le mappe i quali avvenivano in lunghi corridoi, ma la dipendente provò a ritornare sui suoi passi nel gioco e con un normale backtracking il gioco implodeva in glitch grafici, distruzione della mappa e in alcuni casi il crash del gioco. La situazione era disastrosa dato che il team aveva poco tempo per lavorarci e a quel punto la campagna marketing era già completata. Il team fu dovette collaborare con l’intero studio di Montreal focalizzandosi sulla risoluzione del problema e grazie all’impegno di tutti riuscirono in tempo a correggere il problema, rendendo il gioco pronto al lancio di novembre 2003.
Tripletta di successi per Ubisoft con Prince of Persia: Sabbie del Tempo che come i suoi titoli di punta precedenti, diventò caposaldo dell’Industria impostando un nuovo standard per i giochi d’avventura. Con questo lavoro lo Studio di Montreal si affermò come uno degli Studi più importanti e meglio capaci del Settore, fiancheggiando i colossi quali Nintendo, Microsoft Xbox e Sony, ottenendo con il loro reboot 8 Interactive Achievment Awards, oltre a una vendita complessiva di 17 milioni di copie per l’intera trilogia di Prince of Persia.
Beyond Good & Evil, il gioco giusto al momento sbagliato
Michel Ancel aveva appena finito di produrre Rayman 2 quando concepì nella sua mente una bozza di Beyond Good & Evil, un action-adventure game con meccaniche stealth accompagnato da una narrativa cinematografica ispirata ai film di Miyazaki (Studio Ghibli) e puzzle ambientali.
La necessità di Michel era di creare qualcosa di nuovo, unico, perciò elaborò un game pitch e lo presentò ai producer, piacque così tanto che lo stesso Yves Guillemot volle seguire il progetto, rimanendo affianco al team di Montpellier per la sua creazione.
Il gioco fu presentato per due E3 di fila, 2002 e 2003, non riscuotendo il successo desiderato. Michel pensò che fosse per l’unicità del concept o addirittura per il protagonista femmina, ma non di demoralizzò e continuò nel lavoro. Dopo due anni di lavoro e la grande creatività del progetto, Beyond Good & Evil uscì, ma non ottenne successo, anzi, lo possiamo considerare il primo grande flop di Ubisoft. Tra i giochi che uscivano in quel periodo c’erano Call of Duty, Final Fantasy X-2 e Prince of Persia, e tanti altri titoli. Questa grande varietà di titoli disponibili e il mancato interesse dei videogiocatori determinò l’insuccesso commerciale del gioco. Però la critica l’accolse molto positivamente, compreso il noto regista Peter Jackson che lo giocò in anteprima e ne rimase affascinato, ma comunque l’interesse del gioco nacque molti anni dopo con le varie edizioni di remaster in HD.
Beyong Good & Evil è un gioco unico, straordinario, che affronta molte tematiche narrative senza impigliarsi troppo o annoiare. I personaggi sono ben caratterizzati e tutto il contesto rende l’esperienza affascinante, il tutto accompagnato da un gameplay divertente. Non neghiamo che il gioco non sia invecchiato bene, ma nonostante questo vi consigliamo caldamente di recuperarlo, anche per prepararvi al secondo capitolo in arrivo nei prossimi anni.
Ubisoft e EA, un rapporto obbligatorio per aumentare la produzione
Il 9 settembre 2003 Ubisoft annunciò che avrebbero cambiato il loro storico logo introducendone uno nuovo noto come “il vortice”. Inoltre quell’anno fu uno di transizione dato che è dal 2004 si potrà parlare di grandi produzioni: i costi per sviluppare un videogiochi diventavano sempre più grandi e moltissime aziende si stavano combinando o assimilavano altre, così da fronteggiare i costi in maniera più efficiente, e Ubisoft non fu da meno.
Nel dicembre 2004, la società Electronic Arts ha acquistato il 19,9% azioni dell’azienda. I teams di Ubisoft definì l’acquisto come “ostile” da parte di EA. I fratelli Guillemot hanno riconosciuto di non essersi considerati all’interno di un mercato competitivo e i dipendenti avevano temuto che un’acquisizione di EA avrebbe alterato drasticamente l’ambiente all’interno di Ubisoft. L’amministratore delegato di EA all’epoca, John Riccitiello, assicurò a Ubisoft che l’acquisto non era inteso come una manovra ostile, e EA finì per vendere le azioni nel 2010.
Divertente è stato lo scambio di battute tra il referente EA e Yves Guillemot che fu “Salve, siamo la EA, e noi oggi ci compriamo il 19.9% delle vostre azioni. Glielo diciamo adesso perché lo renderemo pubblico domani” e il CEO di Ubisoft rispose “ah, ok“. L’interesse di EA verso Ubisoft nacque dopo il battibecco che ebbe con Activision durante la quasi stipulazione del loro contratto commerciale, perciò dopo il mancato acquisto EA si focalizzò sull’azienda francese.
La chiamata avvenne di domenica. Immaginatevi i vari Director in tutto il mondo ricevere la chiamata di domenica di Yves che rilascia questa notizia. Inizialmente tutti erano contro, ci furono molte minacce di licenziamento, perché la paura principale fu che nessuno sapeva come avrebbero sfruttato quel potere in azienda, ma col passare del tempo tutti si abituarono e non succedette nulla di gravoso.
Assassin’s Creed, il più grande successo commerciale di Ubisoft
Prince of Persia contava il suo quarto capitolo quando vennero annunciate le console della nuova generazione, la Playstation 3 e la Xbox 360, per tanto Ubisoft Montreal si mosse nel creare un sequel next gen per la saga del principe. Ci furono diverse idee sul gioco e quella che risaltò di più fu quella di Patrice Désilets che voleva allontanarsi dal protagonista come un principe che aspettava semplicemente l’inizio del suo regno, ma bensì un personaggio che voleva sforzarsi di essere un re. Si imbatté in uno dei suoi libri universitari relativi alle società segrete e all’ordine degli Assassini, e analizzando i documenti trovò il concept narrativo dove avrebbe sviluppato Prince of Persia: Assassin. Ispirato alla vita di Hassan-i Sabbah e facendo un largo uso del romanzo Alamut, il personaggio doveva vestire delle vesti bianche e una cintura rossa. Uno dei primi concept art sul protagonista seguiva l’idea di un uccello predatore, perciò affidarono all’assassino il nome di Altaïr che significa “uccello predatore” in arabo, e le immagini dell’aquila venivano usate pesantemente in relazione agli Assassini. Il team si incentrò nel creare un gameplay che donasse al giocatore una libertà tale da perdersi nella mappa: Altaïr doveva essere molto agile e fare delle mosse di parkour che sembrassero credibili, ma l’idea fu subito scartata in quanto avrebbe rallentato di molto il gameplay.
Impostato il concept e anche la narrativa, il gioco fu presentato al direttivo di Ubisoft che però fu subito bocciato in quanto il gioco era troppo lontano da quel che dovrebbe essere un capitolo di Prince of Persia, ma Yves Guillemot voleva vedere quel gioco sviluppato. Patrice e il team lavorarono dietro al progetto che chiamarono successivamente Assassin’s Creed dove vedeva Altaïr e il suo ordine di Assassini contro i tiranni Templari che erano alla ricerca di un frutto dell’Eden, artefatto sacro per l’Ordine. Dopo anni di sviluppo quel fantomatico gioco uscì a novembre 2007 e ai videogiocatori piacque.
Tecnicamente parlando non era un capolavoro, anzi, peccava pure di narrativa, ma questa nuova IP fu un successo. Ubisoft portò ancora una volta una novità, un gioco bello e che i giocatori adoravano. La critica lo acclamava come un “gioco rivoluzionario” e raccolse alti punteggio in oriente e in Europa, in America ci furono giudizi più severi, ma nel complessivo vendette un totale di 8 milioni di copie.
Ubisoft non indietreggiò dinanzi alle critiche verso il gioco, anzi, le trasformò in carburante per produrre il secondo capitolo della serie, Assassin’s Creed II, diversificando alcune caratteristiche e approfondendone altre, come il protagonista, Ezio Auditore, che peccava nel primo gioco. Sviluppato per due anni e rilasciato il novembre 2009, il secondo capitolo della saga fu un successo ancor maggiore del primo vendendo nel primo periodo 9 milioni di copie; ad oggi per i fan, per la critica e per la stessa Ubisoft, la prima storia di Ezio Auditore segna una nuova svolta per l’azienda e per il settore. I primi due capitoli dedicati a Ezio (senza contare le collection) hanno raggiunto la quota di 30 milioni di copie, mentre Assassin’s Creed Revelation (2010) vendette 7 milioni di copie, ma a quel punto i videogiocatori reclamavano una novità nel brand, soprattutto sul fronte del gameplay.
Assassin’s Creed Brotherhood, secondo gioco dedicato a Ezio, piacque molto anche se con una longevità ridotta, questo perché ci furono degli evidenti problemi durante lo sviluppo causati dal licenziamento del creative director di Assassin’s Creed Patrice Désilets.
Just Dance, mentre il mondo corre Ubisoft balla
Quando le settima generazione di console arrivò, anche Nintendo propose sul mercato la propria console con il nome in codice Revolution. Tale piattaforma era seguita direttamente dal presidente Satoru Iwata e lui stesso la definiva “Una rivoluzione nel settore. Oggi, se non comprendi il controller, non puoi divertiti giocando… ci aspettiamo che il controller di Revolution, semplice e efficace, diverrà il nuovo standard per il controllo dei videogiochi“. Il defunto CEO di Nintendo metteva in primo piano i giocatori rispetto al trand, volendo portare un divertimento sano e naturale nelle case dei propri fan, e con Revolution, che poi sarà chiamata Nintendo Wii, ci riuscì. Un successo commerciale pari alla mitica Playstation 1, il tutto grazie al rivoluzionario controller a infrarossi e il sistema Nintendo.
Ubisoft gioca un ruolo chiave per la console: nel 2009 anche l’azienda francese si butta nel mercato Wii rilasciando Just Dance, un rythm game nel quale il giocatore dovrà sfruttare il motion controller per ballare a tempo di musica con una controfigura su schermo. Il gioco non era il massimo, ma piacque un sacco (4.3 milioni di copie vendute). Poche canzoni, le animazioni troppo rigide e spiacevoli da vedere; insomma, un’esperienza insufficiente che però era compensata dalla novità, e ciò intrigò moltissimi utenti Wii che avevano pochi giochi che sfruttassero appieno il motion controller. Ma come accadde per Assassin’s Creed, Ubisoft ascoltò le critiche e partorì Just Dance 2, un gioco più ampio rispetto al precedente con oltre 40 canzoni e una versione dedicata ai bambini, Just Dance Kids. Inoltre fu prodotto pure per Kinect sotto richiesta di Microsoft per potenziare il parco titolo compatibile con l’hardware esterno xbox. Fu un successo. Su Youtube spopolavano video di persone ballare, soprattutto sulle note della canzone “Just Dance” di Lady Gaga, da cui è tratto il nome del gioco.
La serie continua tutt’ora e almeno un nuovo capitolo viene rilasciato annualmente per la maggior parte delle piattaforme sul mercato. Just Dance conta 23 capitoli della serie con diversi campionati e fiere dedicate, in tutto con un 40 milioni di copie vendute per il franchise, diventando il secondo più redditizio per Ubisoft.
Verso una nuova espansione
Nel luglio 2006, Ubisoft ha acquistato il franchise Driver da Atari per una somma di 19 milioni di euro in contanti per ottenere i diritti tecnologici e la maggior parte delle attività. Nel luglio 2008 Ubisoft ha acquisito Hybride Technologies, uno studio piemontese rinomato per la sua esperienza nella creazione di effetti visivi per il cinema, la televisione e la pubblicità. Nel novembre 2008, Ubisoft ha acquisito Massive Entertainment da Activision e nel gennaio 2013, Ubisoft ha acquisito South Park: The Stick of Truth da THQ per 3,265 milioni di dollari.
Nel 2013 l’azienda francese annunciò di voler investire 373 milioni di dollari nelle sue operazioni in Quebec diluiti in sette anni, una mossa che avrebbe dovuto generare 500 posti di lavoro aggiuntivi nella provincia. L’editore investì nell’espansione delle sue tecnologie di motion capture e nel consolidamento delle sue operazioni e infrastruttura di giochi online a Montreal. Entro il 2020, l’azienda impiegherà più di 3.500 dipendenti nei suoi studi di Montreal e Quebec.
3, is a magic number
Il 2012 era caratterizzato di un forte cambio di direzione per due brand della serie, uno amato e un altro meno conosciuto, ma anch’esso apprezzato dai fan: Assassin’s Creed III e Far Cry 3.
Dopo 4 capitoli principali della serie con 3 dedicati unicamente a Ezio Auditore, i fan richiedevano una novità, un qualcosa di nuovo che rinfrescasse il brand, e così Ubisoft lavorò al nuovo Assassin’s Creed III: il concept narrativo era stato già scritto da tempo e questo capitolo era molto importante in quanto avrebbe concluso l’arco narrativo di Desmond, quindi il mondo narrativo concepito da Ubisoft e Patrice Désilets. Furono investiti molti soldi nello sviluppo e soprattutto nella campagna marketing, con spot pubblicitari mozzafiato; le presentazioni ell’E3 mostravano un gioco esaltante, anche se il gameplay non cambiò di molto, ma sul punto di vista tecnico era immenso. Mappe più grandi e profonde, con più possibilità di gioco e un incipit narrativo amato, un indigeno che diventa un assassino in epoca della guerra d’indipendenza americana. Segnò il cuore degli americani.
Il gioco uscì l’ottobre 2012 e divise le persone: chi gridava al capolavoro e chi invece non ritenne che la storia di Connor non sia un degno seguito ad Ezio. Il gioco fu decisamente un bel gioco, con tante pecche sul profilo tecnico e sull’IA, ma la critica lo accolse molto positivamente, portandolo pure a ricevere molteplici premi. Fu anche l’Assassin’s Creed più prenotato e nei suoi 3 mesi di vita vendette 7 milioni di copie.
Mentre Assassin’s Creed III veniva acclamato, il mese successivo sarebbe uscito Far Cry 3, un’altra IP di successo di Ubisoft riscattata proprio da questo capitolo. Le aspettative erano basse, anche se la critica era rimasta colpita dal comparto tecnico del gioco visti all’E3 2011 e 2012. Anche le prevendite erano molto al di sotto di quanto Ubisoft si aspettasse. Nel primo periodo vendette poco, ma col passare del tempo e col crescere dell’interesse scaturito attraverso molteplici canali di comunicazione, come Youtube (nel 2013/2014 fu l’anno dei gameplay e Far Cry 3 era nella top dei giochi più visti), recuperò l’anno dopo con 10 milioni di copie vendute in totale, arrivando secondo solo a COD: Black Ops II. Gli furono riconosciuti molti meriti e vinse 13 premi di spessore, tra questi c’è il Best Gaming Moment del Golden Joystick Award.
Fra Cry 3 era un gioco straordinario: un fps-stealth con una mappa openworld da scoprire e dominare, tutto mescolato a una narrativa stravagante e degli antagonisti incredibilmente caratterizzati, come il leggendario Vaas. Tutti citano ancora questa perla di Ubisoft perché riuscì a creare un gioco con un gameplay semplice ed efficace, con delle chicche che andavano a migliorare alcuni aspetti dell’open world, risultando effettivamente divertente. Gli stessi accampamenti, che tanti erano puramente opzionali, era divertente affrontarli perché il gioco offriva moltissimi modi per liberarli. Questo rese Far Cry 3 l’incredibile gioco che era e che tutt’ora segna lo standard della serie.
Uscì l’anno dopo un DLC stand alone, Fra Cry 3: Blood Dragon, anch’esso incredibilmente ispirato e unico, tenendo le stesse meccaniche del gioco principale e inserendolo in un contesto sci-fi 80′, con l’aggiunta di draghi. Anche se su schermo c’era un grande casino di colori che davano alla testa, fu un bel gioco di cui tutti hanno bei ricordi.
Rayman Legends, uno dei più grandi flop
Ancora una volta, un gioco di Michel Ancel non riscosse successo e come per Beyond Good & Evil, Rayman Legends fu il giusto gioco ma uscito il momento sbagliato.
Durante lo sviluppo ci furono dei grossi problemi dovuti dall’insuccesso economico di ZombiU: inizialmente il gioco dovette uscire come esclusiva per Nintendo WiiU, console successiva alla Nintendo Wii, ma per colpa delle vendite veramente basse di ZombiU, Yves Guillemot ammesse che impose allo studio di ampliare l’offerta del gioco creando delle versione per le altre piattaforme per paura di un nuovo fallimento. Questa scelta costò molti mesi di ritardi che, sfortunatamente, colpì gravemente il gioco non vendendo abbastanza per ricoprire i costi di sviluppo. Pensate, la versione per WiiU fu quella che vendette di più e secondo VGChartz corrisponderebbero a 680 mila copie.
Il gioco uscì e la critica lo accolse come uno dei platform più belli di sempre, dandogli pure volti molto alti, ma fu insufficiente: il 2013 era l’anno di Call of Duty e Battlefield, tutti volevano giocare ai fps multiplayer e il trend fece capitolare il gioco. Come il primo insuccesso di Ancel, Rayman Legends iniziò a vendere sufficientemente anni dopo, ma fu comunque troppo tardi dato che le vendite nel primo anno commerciale furono del 60% inferiori alle aspettative.
Quasi nello stesso periodo del nuovo Rayman fu pubblicato l’attesissimo Tom Clancy’s Splinter Cell: Blacklist, il nuovo gioco sulla spia Sam Fisher nonché la prima produzione del nuovo studio Ubisoft Toronto in collaborazione con Red Lion. Ricevette delle votazioni molto positive e fu accolto positivamente da critica e giocatori, vendendo 2 milioni di copie in tutto il mondo in quell’anno.
Il ritorno della serie spy game di Ubisoft necessitava un restyling e lo studio di Toronto ci azzeccò in pieno, realizzando un titolo bello da vedere e divertente da giocare, ma nonostante questo rimase inferiore alle vendite di Assassin’s Creed IV: Blackflag che vendette in totale 15 milioni di copie, considerando anche le versioni next-gen.