L’appuntamento con Supermassive Games e la promessa fatta ai giocatori con l’avvento di Man of Medan si rinnova in questo secondo capitolo di The Dark Pictures Anthology, la nuova esperienza horror interattiva che vuole condurci per mano attraverso scenari evocativi ed esperienze di terrore in ogni sua forma. Come Man of Medan, anche The Dark Pictures Anthology: Little Hope interpreta e modella a suo piacimento una particolare frazione del genere. Se la volta scorsa siamo stati coinvolti da allucinazioni e paure di cinque giovani a bordo di una nave decadente, stavolta ci troviamo alle prese con la parte più folkoristica dell’America, quella che coinvolge Salem e le sue streghe.
Una storia da incubo
The Dark Pictures: Little Hope narra di una piccola cittadina, chiamata appunto Little Hope, che sul finire del 1600 pare fosse abitata da sataniche megere pronte a soddisfare ogni vile desiderio del Demonio. Supportata dalla fama della temibile Salem, Little Hope nel tempo si è prima trasformata in una meta turistica per poi vedere la propria fama scemare attraverso la foschia, tramutandosi in un luogo desolato dopo che un incendio nel 1972 coinvolse una famiglia, di cui non rimasero superstiti.
Molti anni dopo l’incidente, un pullman in gita finisce fuori strada a causa di una fatalità. Svegliatisi nella desolazione, i cinque protagonisti – quattro studenti universitari ed il loro professore – provano a cercare una via d’uscita dalla cittadina ricolma di presenze soprannaturali, ognuno braccato da un tipo diverso di incubo ed ognuno dotato delle proprie peculiari abilità. Purtroppo, le ombre sulla loro strada sono più che reali e ruotano attorno alla lugubre storia di una bambina e della sua bambola risalente al 1692, in piena caccia alle streghe.
Tra il tempo e lo spazio
The Dark Pictures: Little Hope è un balletto continuo tra i giorni nostri ed i temibili anni dell’oscurantismo Americano; un viaggio tra il paranormale e le profondità della mente umana che i protagonisti dovranno compiere in base alle loro sole forze, col nostro piccolo aiuto di giocatori. Durante la storia controlleremo ben cinque personaggi a rotazione, tutti con caratteri particolarmente definiti. Impersonandoli, scopriremo quanto diversi siano tra loro e attraverso le risposte che faremo loro dare, progressivamente arriveremo a sbloccare opzioni di dialogo o azioni: il modo in cui li faremo reagire ad ogni bivio condizionerà non solo il rapporto con gli altri personaggi, ma anche l’andare del racconto, fino ad arrivare alla salvezza o alla possibile morte dei protagonisti nel caso di particolari avventatezze – o come dice il nostro “Curatore”, nel caso scegliessimo di seguire più il cuore della mente e viceversa. Little Hope prosegue a tutti gli effetti la formula già proposta con Man of Medan e prima ancora con Until Dawn, in maniera uniforme a quella dei precedenti giochi, mettendo il giocatore (spettatore in realtà, in quanto Little Hope si potrebbe definire quasi un film interattivo in computer grafica) davanti a determinate scelte condizionate che possono cambiare in maniera radicale il racconto narrato dal Curatore, il Deus Ex Machina della storia. Durante la narrazione degli eventi avremo la possibilità di mettere in pausa il gioco per controllare le schede relative al personaggio, le sue relazioni con gli altri, i comportamenti che fin’ora sono stati stabiliti dai suoi dialoghi ed anche la sua “bussola” morale, che ci ricorderà delle decisioni prese in precedenza e delle informazioni raccolte, assieme ai collezionabili ed ai segreti. In un tipo di gameplay come questo, impostato in maniera estremamente narrativa, logicamente viene data molta più rilevanza alla psicologia e all’intreccio di relazioni tra protagonisti ed eventi della trama piuttosto che ad altre meccaniche di gioco. L’impianto intero del titolo gira infatti attorno all’atmosfera di una Little Hope opprimente e velata di mistero, con qualche sprazzo di esplorazione estremamente lineare e sequenze dove i quick-time event (ed i nostri tempi di reazione) diventano fondamentali per la risoluzione delle vicende. Il ritmo guidato da un numero elevato di dialoghi – anche piuttosto lunghi – viene ogni tanto interrotto dalla ricerca di piccoli collezionabili nelle aree di esplorazione, assieme alla raccolta di indizi e cartoline che ripropongono i “presagi di morte” dei precedenti capitoli. Questi oggetti ci forniscono una piccola anteprima sul futuro, suggerendoci quale azione rocambolesca potrebbe portare alla morte dei protagonisti in determinati segmenti. Parlando di quick time event la difficoltà rimane quasi sempre la stessa di Man of Medan o potrebbe addirittura risultare inferiore, rispondendo alla voce dei giocatori che avevano trovato i precedenti quick time troppo veloci e competitivi. Stavolta avremo quindi interazioni molto semplici da completare e con un certo preavviso nell’uso dei tasti, mai noiose grazie al buon livello di tensione mantenuta e al sistema di moralità che si muove in maniera molto più complessa del suo predecessore.
Proprio come il primo capitolo di The Dark Pictures, anche qui potremo ritovarci ad affrontare l’avventura in multiplayer locale ed online: insieme ad amici e altri utenti potremo sbloccare sequenze aggiuntive non previste dal single player, che andranno a chiarire eventuali dubbi lasciati nel racconto.
Netti miglioramenti
The Dark Pictures: Little Hope dà corpo ai timori sovrannaturali che inseguono i protagonisti fruttando l’Unreal Engine, con un lavoro di resa grafica superiore a quello svolto su Man of Medan ed eccellenti modelli 3D, specie quelli facciali che ormai rasentano il fotorealismo, animati in maniera superba. Supermassive Games è come sempre una maestra nella creazione di atmosfere horror di altissima qualità ed è capace di sfruttare in maniera convincente la recitazione degli attori, portandoci su schermo dei personaggi credibili e tridimensionali. Unica pecca è la scrittura dei dialoghi che non si rivelano sempre all’altezza, a causa di una certa ripetizione dei concetti che logicamente devono essere assimilati dai protagonisti ma che al giocatore sono noti fin da subito, e l’uso di soluzioni visive come jumpscare di facile previsione che faticano a spaventare. Piuttosto, la parte meglio riuscita di Little Hope sono le ambientazioni, che grazie al fatto di essere ridotte in estensione e sempre collocate di notte – e in mezzo alla nebbia – hanno permesso al team di sviluppo di spingere su inquadrature ed effetti che si rifanno al genere cinematografico, adottando soluzioni artistiche di notevole impatto e riuscendo a creare una costante, sottile tensione che si taglia con il coltello. Lo svolgimento della trama è ottimo e anche l’idea di fondo, che intrigherà fin da subito chi si avvicina al titolo con una discreta conoscenza del teen-horror.
Per quanto riguarda il sonoro, le musiche di sottofondo risultano evocative, funzionano bene nel contesto e convincono nella qualità, alternandosi a silenzi in cui sentiremo solo i passi ed i dialoghi tra i personaggi. Il doppiaggio in italiano ed in inglese si rivela ottimo in entrambe le versioni e soffre leggermente solo quando i personaggi ci danno le spalle, probabilmente per aiutare il giocatore ad entrare nelle parti dello spettatore esterno alle vicende. L’ottimizzazione del titolo è anch’essa ottima: non si avvertono caricamenti nè passaggi dalle sequenze alle brevi parti esplorative del gioco, e la naturalezza con cui avviene il cambio è quasi spiazzante.
Quanto alla longevità, The Dark Pictures: Little Hope ha una durata di circa cinque-sei ore e gode di una buona rigiocabilità, che può venire ampliata dalla scelta di ottenere tutti i finali ed i bivi mancati nella partita precedente o dall’opzione del gioco online in locale o con sconosciuti, che ci premierà anche con sequenze uniche non sbloccabili in singolo.
Piattaforma: Pc, Ps4, Xbox One
Pegi: 18+
Longevità: 5-6 ore
Sviluppatore: Supermassive Games
Editore: Bandai Namco Entertainment Europe
Lingua: localizzato in inglese e Italiano, voci e sottotitoli
Anno: 30 ottobre 2020
Tipologia: Horror, avventura, narrazione
La recensione in breve
The Dark Pictures: Little Hope ripropone la formula di Man of Medan e la migliora ulteriormente, offrendoci un'esperienza quasi cinematografica il cui ritmo viene interrotto solo da quick-time e da segmenti di esplorazione che coinvolgono con efficacia il giocatore. La storia beneficia dell'essersi spostata verso un tema più famoso come quello della caccia alle streghe nell'America del 1600 e riesce ad avere una componente horror molto più marcata del suo predecessore, anche se viene presentata in maniera un po' veloce in alcuni punti. Le migliorie ad un gameplay già solido e le piccole novità introdotte non lo discostano troppo in là da quanto già fatto con Man of Medan, ma ne confermano la sua estrema bontà. Se gli sviluppatori in futuro saranno in grado di prendere più sicurezza e di allontanarsi da stilemi horror già molto trattati, il futuro roseo di questa serie è garantito.
-
Voto Game-Experience