Basta una manciata di momenti per rendersi conto del perché l’opera prima di Rebel Wolves abbia catalizzato così tanto l’interesse della platea videoludica: l’impronta artistica della produzione, così come il suo taglio ludonarrativo riportano subito alla mente le ore trascorse a girovagare fra le lande del Continente, ovviamente nei panni di certo Strigo canuto. D’altronde in testa al collettivo polacco troviamo Konrad Tomaszkiewicz, uno dei director di The Witcher 3, che nel 2022 ha rinfoltito il suo “branco” con un buon numero di veterani provenienti dalle fucine di CD Projekt RED, pronti a dare il proprio contributo per la buona riuscita di un progetto a dir poco intrigante. Oltre a mostrare i caratteri più stuzzicanti della creatura di Rebel Wolves, soprattutto sul fronte del quest design, la presentazione a porte chiuse vista durante la Gamescom ha ribadito a chiare lettere la discendenza creativa del gdr, nel bene e nel male.
Dall’alba al tramonto e viceversa
La storia di Coen, il “dawnwalker” al centro della narrazione, si apre con lo spietato massacro dei signori di Vale Sangora, una regione carpatica che da tempo immemore vive all’ombra delle macchinazioni di una misteriosa consorteria di succhiasangue. Dopo aver osservato dalle tenebre il dipanarsi delle vicende umane, ricolmo di sdegno il vampiro Brencis ha deciso di reclamare il dominio sulla valle, mettendo brutalmente fine alla dinastia reale e – contestualmente – “salvando” Coen da morte certa. Va da sé che al momento non è dato conoscere le esatte circostanze di questo primo incontro fra il protagonista e la camarilla vampirica, ma è già chiaro come l’impasto narrativo di The Blood of the Dawnwalker sia striato di abbondanti sfumature di grigio, sempre preferibili all’ormai stantia polarizzazione fra i concetti di bene e male.
Ne consegue che durante la campagna non sarà semplicissimo orientare la bussola morale del protagonista, nella cornice di un immaginario mitteleuropeo che fa sfoggio di un’iconografia cristiana distorta, i cui rituali sono ormai indissolubilmente vincolati al culto del sangue, corrotti dall’influenza di Brencis e dei suoi. Ma è davvero così? Qual è la reale differenza fra il simbolismo religioso tradizionale e quello rimodellato dai vampiri? Sono più temibili i mostri che camminano nell’oscurità o quelli che si muovono alla luce del sole? Tutte domande che riecheggiano armonicamente fra i due poli di un gameplay bipartito, che di giorno vedrà Coen sfruttare le sue abilità con la spada e la magia runica, entro i limiti imposti da un’umanità che, dopo il tramonto, lascerà spazio a un’ampia gamma di facoltà sovrannaturali, le stesse in dote alla progenie della notte. Al netto dei suoi significativi riverberi ludici, questo assetto bifronte si fa matrice di un quest design piacevolmente variegato, che promette di concedere agli utenti una notevole discrezionalità, a favore di una progressione all’insegna dell’arborescenza. L’hands-off di Colonia era infatti diviso in due parti distinte, che raffiguravano la medesima missione affrontata prima e dopo il calar del sole, e sempre legata al ritrovamento di una spada da tempo perduta.
Decidendo di perseguire l’obiettivo alla luce del giorno, Coen ha fatto ampio uso della sua parlantina, convincendo il sacrestano della cattedrale di Vale Sangora a rivelargli alcune informazioni utili a individuare la cripta dove, stando alle antiche cronache, sarebbe stata riposta la lama. Per ottenere le indicazioni necessarie, il protagonista ha dovuto fornire al prelato supporto nella ricerca di un vicario scomparso: un incarico foriero di avvincenti ramificazioni radicate nel peculiare retroterra folcloristico del mondo di gioco. Durante la notte, la stessa quest ha seguito un percorso nettamente diverso, che ha visto Coen dar fondo ai suoi poteri vampirici per infiltrasi nella cattedrale, prima scalando una parete verticale e poi materializzandosi all’istante sulla guglia del maestoso edificio, che col favore delle tenebre era diventato il teatro di un cerimoniale sacrilego.
Dopo aver reclamato con la violenza le nozioni necessarie a raggiungere il suo scopo, Coen si è trovato faccia a faccia con il precedente possessore della spada, protagonista di una scontro con implicazioni che preferiamo non rivelarvi. Il breve assaggio allestito da Rebel Wolves ha insomma reso ben chiaro perché il collettivo definisce The Blood of the Dawnwalker un “sandbox narrativo”: al di là dei percorsi ludonarrativi tracciati dagli sviluppatori durante la presentazione, la demo lasciava intravedere una quota considerevole di diversioni e opportunità alternative, che il giocatore potrà decidere di favorire anche in relazione a un’altra meccanica cardinale del gioco, ovvero la gestione del tempo.
Tempus non fugit
Sebbene The Blood of the Dawnwalker sia un’esperienza squisitamente non lineare, a sospingere Coen fra le maglie della campagna sarà un singolo proposito: salvare la propria famiglia entro e non oltre un totale di trenta giorni. Onde evitare l’insorgenza di botte d’ansia più o meno invalidanti, precisiamo subito che nel gioco lo scorrere del tempo non è davvero dinamico, ma è subordinato al completamento di incarichi e alla scelta di specifiche linee di condotta. Tanto per fare un esempio, durante la missione al centro dell’evento, alcune opzioni dialogiche potevano portare il protagonista a investire una certa quantità di ore in determinate attività, come l’ascolto di un “predicozzo” per entrare nelle pie grazie del succitato chierico.
Attività come l’esplorazione libera o il combattimento – tanto per intenderci – non smuovono in alcun modo le lancette, nel quadro di un gameplay che tratta il tempo non come un limite ma come una risorsa ruolistica. Manco a dirlo, tale modus può avere ripercussioni di valore sulla diversità dei vari playthrough, specie tenendo a mente che la scadenza fissata dal gioco non è necessariamente imperativa, nel senso che superare la soglia dei trenta giorni non comporta il game over ma colloca un ulteriore crocevia sul cammino della narrazione. Robetta interessante, insomma. Pur non avendo potuto testare con mano il gioco, in modo da approfondire più nel dettaglio diversi aspetti cardinali della proposta (compreso il sistema di progressione), ci risulta difficile non riconoscere il grande potenziale del gdr di Rebel Wolves, coerente con i celebrati trascorsi di molti membri chiave del team.
Come anticipato in testa a questo articolo, il lignaggio dello studio non si declina esclusivamente in positivo, dato che l’aspetto meno convincente del titolo ci ha ricordato da vicino una delle più riconosciute carenze di The Witcher 3. Parliamo di un combat system che, almeno in questa fase, ci è parso piuttosto grezzo e cagionevole, soprattutto per ciò che concerne la fluidità delle movenze marziali e la fisicità degli scontri. Tanto le animazioni quanto la gestione degli impatti richiedono ancora qualche corposo intervento di rifinitura, e ci auguriamo che i primi hands-on evidenzino miglioramenti netti su questo importantissimo fronte. Anche perché l’idea di affiancare un sistema più classicamente action, fatto a uno – opzionale – basato su input direzionali (un po’ in stile Kingdom Come Deliverance) ci è sembrata a dir poco stuzzicante: da una parte abbiamo il classico carosello di fendenti, abilità speciali, parate e schivate, e dall’altra un’impostazione più tecnica che, in base all’inclinazione della levetta destra, permette di martoriare le zone esposte dell’avversario di turno, o di deviare agilmente i suoi colpi per eseguire letali contrattacchi. Staremo a vedere quanto godibile sarà all’atto pratico questo tassello dell’impianto ludico, ma crediamo sia legittimo nutrire qualche dubbio.
Abbiamo trovato tutto sommato più digeribili le flessioni sul piano tecnico, in particolar modo alla luce delle migliorie riscontrate rispetto ai primissimi scampoli di gameplay. Complice una direzione artistica in grande spolvero, The Blood of the Dawnwalker offre un colpo d’occhio di grande effetto, in particolar modo per quel che riguarda la gestione dell’illuminazione, fondamentale in un titolo imperniato sul contrasto fra luce e tenebra. Come detto, le animazioni (facciali e corporee) e la modellazione dei personaggi mostrano ancora margini di miglioramento più o meno ampi, mentre restano tutte da misurare le eventuali bizze di un motore, l’Unreal Engine 5, noto tanto per i suoi pregi quanto per le sue magagne, specialmente in termini di prestazioni. Malgrado le incognite, comunque, non possiamo esimerci dal considerare The Blood of the Dawnwalker una delle più promesse più intriganti di questa Gamescom 2025, nella speranza che il team guidato da Konrad Tomaszkiewicz riesca a dare lustro a un nucleo concettuale stracolmo di idee ammalianti. Teniamo le dita incrociate.