La dichiarazione di amore di Awaceb per la Nuova Caledonia prende il nome di Tchia, un particolare open world che porta sugli schermi di tutto il mondo uno spaccato naturale incredibile, variegato e colorato.
Sin dalla sua prima presentazione, Tchia è riuscito a catturare l’attenzione di pubblico e critica grazie soprattutto ai suoi toni colorati e morbidi che aprivano ad un’interazione fresca e soluzioni di gameplay accattivanti. L’open world di Awaceb, pur mantenendosi all’interno di uno spettro meno prepotente rispetto ai classici tripla A che popolano il mercato, è riuscito pertanto a ritagliarsi un angolino di appassionati in trepida attesa. A poco più di due anni dal suo annuncio, è finalmente arrivato sui nostri schermi portando con sé tutta la rigogliosa varietà della Nuova Caledonia che cerca così intensamente di rappresentare, forse, a volte, un po’ troppo. Vi lasciamo alla nostra recensione di Tchia.
Tra natura e giungla di cemento
Tchia è un titolo pensato per tutti, un gioco spensierato che non vuole mettere alla prova i nervi e la lucidità dei suoi giocatori ma che ci mette di fronte ad un viaggio fatto di cultura, scoperta e riflessione. Ogni segmento che compone la storyline principale del titolo è saltabile a piacimento, ogni sfida è completabile in maniera automatica ed ogni minigioco può essere auto-completato con la semplice pressione di un tasto. C’è una sola difficoltà in Tchia: orientarsi nella mappa. Anche in questo caso ci sono diversi elementi per aiutare i giocatori, compresi suggerimenti e segnalini da poter utilizzare a piacimento; eppure, l’assenza di un indicatore che ci indichi la nostra posizione sulla mappa o di una mini-mappa “classica” rappresenta il primo vero scoglio da superare che, a lungo andare, crea una forte dissonanza con i toni accessibili e leggeri dell’intera produzione.
L’incipit di Tchia è tra i più semplici e caratteristici, la voce narrante è un’anziana intenta a raccontare le vicende di Tchia ad un gruppo di bambini stretti intorno al caldo abbraccio di un focolare durante una notte estiva. Le tonalità della narrazione e degli eventi riportati vanno a dipingere un quadro pittoresco fatto di tradizioni, usanze ed amore per una civilità unica al mondo. Questo è forse il più grande pregio ma allo stesso tempo una delle ombre più pressanti dell’intera produzione. Abbiamo ammirato molto la rappresentazione della Nuova Caledonia proposta in Tchia ma, spesso e volentieri, questa diventa asfissiante, pressante e non lascia respirare il giocatore all’interno del meraviglioso ecosistema messo a disposizione dal titolo.
Dal doppiaggio in lingua originale in France e Drehu, una lingua parlata localmente in Nuova Caledonia, Tchia riesce a trasmettere emozioni forti e lo fa attraverso l’introduzione di personaggi che, tuttavia, non riescono sempre a lasciare un’impronta tangibile. Il contrasto più forte nasce dalla classica e sempreverde lotta tra la natura e l’uomo che, nel suo incedere senza scrupoli colonizza, industrializza e modernizza anche il più selvaggio degli ambienti. La lettera d’amore per la Nuova Caledonia si trasforma dunque in un grido d’aiuto per uno stile di vita più sostenibile e meno consumistico, rappresentando in maniera abbastanza netta e spesso anche fin troppo stereotipata la bellezza della natura e delle tradizioni indigene in contrasto con l’inquinamento e la cementificazione di un paradiso terrestre come quello riprodotto all’interno del gioco.
Da sasso a delfino
Uno degli elementi più interessanti in Tchia è costituito dall’abilità della nostra protagonista di trasferire la propria essenza in alcuni oggetti ed animali. Il salto dell’anima rappresenta infatti l’unica vera prodezza ludica messa in gioco da Tchia ed apre la porta a tantissimi espedienti di gameplay che stimolano la curiosità del giocatore e vanno ad impattare in maniera significativa sul traversal generale del titolo. Esplorare i fondali marini è molto più semplice ed efficace se lo facciamo nei panni di un delfino ed esplorare intere isole dall’alto diventa molto più fattibile se a farlo è un uccello che solca i cieli.
Seguendo questo principio, Tchia riesce a proporre un modello gioco ispirato, divertente e fresco che riesce a sopperire alle numerose mancanze che il titolo presenta man mano che lo si analizza. Diversi animali presentano abilità peculiari da sfruttare a nostro vantaggio per facilitare l’esplorazione o per risolvere alcuni basilari enigmi e sfide che si pongono sul nostro cammino. Dalla visuale notturna dei gatti allo scatto dei cervi, Tchia riesce, attraverso una singola meccanica, a mettere sul piatto una buona varietà in termini di gameplay e di esplorazione di quello che altrimenti sarebbe uno degli open world più piatti e banali degli ultimi anni.
L’impalcatura ludica di Tchia non brilla infatti per varietà o per originalità e le attività proposte all’interno del gioco, sia per quanto riguarda la storyline principale che l’esplorazione dell’open world non presentano guizzi qualitativi particolarmente alti anzi, scadono spesso e volentieri in una sorta di fetching continuo di un oggetto o di un altro in maniera molto ripetitiva e francamente noiosa. Uno degli aspetti meno riusciti dell’intera produzione è invece costituito dall’appena accennato combat system. Tchia propone un sistema di combattimento basato direttamente sull’abilità salto dell’anima in contrapposizione con l’unico tipo di nemico presente nel gioco: I Maano, dei mostri fatti di stoffa che dovremo bruciare sfruttando gli elementi presenti nell’ambiente come lampade ad olio o contenitori esplosivi oppure, e sconsigliamo di farlo, prendendo il controllo dei Mwaken ovvero delle entità capaci di creare delle esplosioni a distanza.
Non esiste dunque un vero e proprio sistema di combattimento quanto un debole espediente di gameplay per liberarsi dell’unica entità ostile presente nel gioco.
Tra musica ed amicizia
Uno degli aspetti più interessanti di Tchia è rappresentato dall’integrazione della musica all’interno dell’ecosistema di gioco. La nostra protagonista ha infatti a disposizione un Ukulele che, facendo l’occhiolino a The Last of Us Part 2, viene utilizzato sia in diverse scene di intermezzo musicali dove dovremo dare prova del nostro senso del ritmo e della musica (anche in questo caso non siamo obbligati a farlo, è infatti possibile saltare) legando a doppio filo uno stile narrativo fatto di musica, natura, colori e convivialità.
Anche in questo caso Tchia esagera e diventa ridondante, se le prime fasi musicali con i canti tipici della cultura della Nuova Caledonia risultano essere piacevoli, ispirate ed emozionanti, la reiterazione di un concetto in maniera asfissiante finisce con il rovinare quanto di buono c’era durante le prime fasi di gioco. Fortunatamente l’ukulele di Tchia viene implementato anche in altri modi, modi più creativi che impattano direttamente sul gameplay. Suonando melodie precise durante le fasi di esplorazione è infatti possibile interagire direttamente con il mondo di gioco cambiando ad esempio cambiando il periodo della giornata in tempo reale. Apprezzabile anche la modalità che permette di suonare in stile libero sia con arpeggi alto/basso che interi accordi basandosi sull’input presente a schermo.
Da un punto di vista tecnico, Tchia fa affidamento ad uno stile spensierato che non prende in considerazione nessuna forma di fotorealismo ma mette sul piatto un taglio artistico meraviglioso fatto di colori, musiche ed atmosfere davvero incredibili, uno specchio videoludico di un paradiso terrestre unico al mondo. L’ecosistema di Tchia con le sue peculiarità, la vegetazione rigogliosa e ricca di vita fanno da cornice ad un open world appena discreto che non riesce a proporre gli stimoli necessari per andare oltre a quel momento di curiosità iniziale.
Sul piano tecnico, la resa grafica non proprio stupefacente fa da complice ad un livello di ottimizzazione esente da problemi di sorta, il gioco riesce infatti a proporsi in maniera liscia e non presenta problematiche particolari tipiche dei titoli al lancio. Un piccolo encomio va invece fatto al comparto audio del titolo che, attraverso i versi degli animali, le musiche caratteristiche ed il doppiaggio introdotto grazie alle risorse locali, riesce a rendere Tchia una piccola perla da assaporare almeno una volta, anche se i suoi numerosi problemi potrebbero farci desistere dal raggiungere i titoli di cosa che, tutto sommato, vanno ad assestarsi a circa una decina di ore dall’inizio.
In conclusione, Tchia è un titolo sicuramente interessante e dal forte carattere culturale che mette al primo posto il messaggio che parte direttamente dal cuore degli sviluppatori. Il titolo, tuttavia, non riesce ad imbastire un open world sufficientemente coinvolgente e l’assenza di un verso e proprio sistema di combattimento non fa che enfatizzare un’eccessiva staticità di un mondo reso vivace esclusivamente dal salto dell’anima che si pone come punta di diamante di un’operazione altrimenti al limite del trascurabile.
Il messaggio di fondo, per quanto nobile ed importante, riesce si a coinvolgere il giocatore ma a lungo andare rischia di travolgerlo ed asfissiarlo a causa di un’ di concetti già espressi in precedenza. Non ci sentiamo comunque di bocciare la produzione di Awaceb, anzi, abbiamo apprezzato in maniera davvero particolare i due elementi cardine che muovono l’intera esperienza di gioco. Insomma, se vi piace suonare l’ukulele ed esplorare delle isole tropicali nei panni di svariati animali, Tchia è il titolo che fa per voi.
La recensione in breve
Rendere sullo schermo l'amore per la Nuova Caledonia è una missione non facile da portare a termine. I ragazzi di Awaceb riescono invece, grazie a Tchia, a mostrare al mondo questo angolo di paradiso. Qualche inciampo di troppo impedisce forse a Tchia di prendere completamente il volo ma resta comunque un'esperienza di gioco frizzante ed interessante, appesantita soltanto da un modello di open world poco stimolante.
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Voto Game-Experience