Come se non bastasse l’enorme mole di videogiochi usciti e in uscita nel 2023, Nintendo ha pensato bene di organizzare per quest’anno anche il ritorno della sua più grande icona, con quel Super Mario Bros. Wonder in arrivo a ottobre che già oggi è il gioco più venduto in USA.
L’occasione per ripercorrere la storia di questo amatissimo personaggio, capace di passare dalle due alle tre dimensioni e farne addirittura ritorno, è quindi perfetta. Per capire come si è arrivati a Wonder, infatti, occorre conoscere le incredibili gesta di un personaggio che da solo ha scritto gran parte delle pagine di storia del videogioco. Ripercorriamo la storia di Super Mario Bros.
L’esordio
Le origini di Mario sono da ricercarsi in quello storico Donkey Kong, anche se in una forma abbastanza differente da come lo conosciamo oggi. Il compito del protagonista, dalle fattezze molto simili a quelle che saranno poi quelle dell’icona Nintendo, era quello di scalare varie rampe evitando ostacoli lanciati dallo scimmione, per salvare una donzella in pericolo.
Era il 1981, e un primo prototipo di Mario fece così la sua comparsa. L’anno successivo il personaggio fu protagonista anche del sequel Donkey Kong Jr, prima di avere un titolo tutto suo nel 1983, Mario Bros. Qui fanno il loro debutto non solo un personaggio che poi diventerà Luigi ma anche alcuni nemici storici e componenti della serie, come i blocchi a mattoni, i tubi verdi e gli ancestrali potenziamenti. Il concept di platform 2D a schermata fissa, però, era ancora troppo limitante per le ambizioni di Nintendo, e bastarono pochi anni prima di assistere al proverbiale passo da gigante.
Dopo Donkey Kong e Mario Bros, Shigeru Miyamoto e Takashi Tezuka decisero di creare un platform a scorrimento orizzontale dedicato a quei personaggi e quei nemici che, curiosamente, avevano attirato l’attenzione di tanti. Messo da parte il buon Jumpman, che Nintendo omaggerà poi molti anni dopo nel film animato di Illumination con un cameo, il protagonista assoluto della nuova esperienza diventa un idraulico italiano tozzo e baffone, con tanto di salopette e cappello.
L’ambientazione è quella di un mondo caratterizzato da funghi con le gambe, tartarughe lanciatrici di martelli, sfondi color pastello e principesse da salvare. La formula di Super Mario Bros., il primo vero videogioco del franchise, era tanto semplice quanto efficace, con l’inclusione poi di power-up, tante ambientazioni fantasiose e quel capolavoro di originalità che ne fece uno dei più importanti videogiochi della storia.
Miyamoto, in occasione del trentennale di Super Mario Bros nel 2015, aveva rivelato che la prima bozza del gioco era molto differente. Il titolo inizialmente non doveva neppure avere Mario come protagonista, riciclato poi in corso d’opera, e il personaggio era stato poi dotato di una nuvola da pilotare per lanciare sfere di fuoco contro i nemici. Da questo primo concept nacque poi quella che è la forma finale di Super Mario Bros, e le sfere di fuoco vennero riutilizzate per il celebre potenziamento che modifica anche la skin del protagonista.
L’impatto di questo debutto fu semplicemente devastante, ancora di più se si pensa che Super Mario Bros, che includeva anche il multiplayer con Luigi, uscì in un momento in cui il videogioco non era certo un prodotto di massa, seppur in rapida ascesa. Il gioco piazzò oltre 40 milioni di copie, dando ufficialmente inizio al mito di Mario e a una delle serie più longeve e straordinarie della storia.
Da grandi successi, derivano grandi sequel
L’escalation fu rapidissima. Miyamoto voleva lavorare a una sua nuova creatura, un certo The Legend of Zelda, ma il successo travolgente di Mario costrinse Nintendo a chiedere cortesemente, si fa per dire, al leggendario designer di lavorare al più presto a un nuovo capitolo. Il problema è che mettere fretta all’arte non è mai una buona cosa, e infatti Super Mario Bros. 2… No, alt, occorre fare una precisazione.
Nel 1986, appena un anno dopo il primo capitolo, Nintendo mise in commercio in Giappone sia Vs. Super Mario Bros, una versione rivisitata e arcade del primo titolo, sia Super Mario Bros. 2, capitolo che in realtà è passato alla storia con il titolo di Super Mario Bros: The Lost Levels. Quest’ultimo, rimasto confinato al Sol Levante per molti anni, sfruttava un nuova periferica per floppy di NES, e si proponeva come un more of the same in tutto e per tutto, ancor prima che il termine more of the same diventasse di moda. La grafica di gioco non aveva subito alcun miglioramento, non vi erano power-up o altre novità apprezzabili, e in generale il gioco era caratterizzato da un tasso di difficoltà molto elevato, forse anche troppo per il mercato occidentale non abituato a tutto questo.
Proprio per questo, Nintendo decise di procedere con qualcosa di atipico: prese Yume Koji: Doki Doki Panic, platform nel quale una famiglia partiva al salvataggio di due bambini, e cambiò gli sprite con quelli della serie di Mario. Il gioco è fatto: Doki Doki Panic arrivò in Occidente con il titolo di Super Mario Bros. 2, ottenendo un buon successo ma lontano dalla ricezione del predecessore – il fatto che fosse inizialmente progettato per essere un altro tipo di progetto si faceva sentire. Un merito, tuttavia, lo possiamo trovare: con questo apocrifo secondo capitolo, che successivamente è stato in qualche modo reso canonico, Nintendo introdusse nella lore mariesca alcuni nemici tra cui i Tipi Timidi e le Bob-ombe, e decise inoltre di differenziare Luigi dal protagonista con un fisico più smilzo. Per la vera rivoluzione, però, c’era da attendere ancora un po’.
Nel 1988, tre anni dopo il primo capitolo, arriva una nuova scossa tremenda al genere dei platform con Super Mario Bros. 3. Il gioco offriva un comparto grafico e artistico completamente rimesso a nuovo, uno stile sempre coloratissimo e semplice ma con tanti nuovi dettagli, ma soprattutto si percepiva la presenza di grandi e importanti novità, cosa che erano mancate in Super Mario Bros. 2 – in entrambi, per inciso. Con il terzo capitolo, Nintendo diede il via a un trend ascendente per Mario, che sempre più si impose come un’icona pop capace di sbalordire a ogni sua nuova apparizione. Arrivavano nuovi poteri, i livelli venivano via via diversificati e contestualizzati, in un processo creativo che fece esplodere il suo potenziale nel capitolo successivo.
Non si parla ovviamente di Super Mario Land per Game Boy, che ebbe comunque l’onore di dare inizio alla carriera portatile dell’idraulico (oltre a essere il primo titolo diretto da Gunpei Yokoi, creatore di Metroid), ma di Super Mario World, impressionante esponente dell’era 16 bit che sbalordiva per i suoi colori, i dettagli, le nuove dinamiche di gameplay. Il profumo di innovazione si percepiva lontano un miglio, sebbene la formula di base non fosse cambiata.
Acclamato dalla critica ma soprattutto dal pubblico, tanto da farne il gioco più venduto di sempre su SNES, Super Mario World rappresentò il punto di massimo splendore della serie classica per molto tempo, e i suoi successori non riuscirono a replicarne la grandezza. Il prequel Super Mario World 2: Yoshi’s Island (1995), che raccontava il primo incontro tra l’idraulico e il dinosauro, si impose come un altro immenso esponente del genere anche grazie al suo stile artistico molto caratteristico, poi utilizzato come marchio di fabbrica per il franchise di Yoshi – Nintendo ha sempre cercato di distinguerlo dalla saga principale, come dimostra il lanoso mondo Yoshi’s Crafted World su Switch.
Su Game Boy, intanto, nel 1992 era anche arrivato Super Mario Land 2: 6 Golden Coins, uno dei titoli più apprezzati di sempre per la console portatile e titolo d’esordio del personaggio che si celava dietro gli eventi del primo capitolo, un buffo idraulico dal naso bitorzoluto di nome Wario – da lì, ovviamente, nacque una serie spin-off dedicata alla controparte gialla e viola del protagonista. Negli uffici della grande N, però, qualcosa stava accadendo. Shigeru Miyamoto aveva un grosso affare tra le mani, un concept che potenzialmente poteva cambiare il mondo dei videogiochi. E lo cambiò.
L’avvento del 3D: Super Mario 64 cambia tutto
Con gli anni Novanta, la stella di Mario arriva a toccare vette prima impensabili. Stella in tutti i sensi, a dire il vero, perché proprio le potenti e magiche Stars diventano il fulcro della prima avventura in tre dimensioni nel Regno dei Funghi, quel Super Mario 64 che ha settato tutte le regole dei platform 3D ancora oggi in vigore. Libero dal giogo delle due dimensioni, Mario è libero di saltellare in tutte le direzioni, sconfigge nemici in modi prima impossibili, esplorare a fondo quelli che appaiono come giganteschi diorama tra bombe, koopa, cappelli volanti, deserti ingoiatutto e freddi ghiacciai.
Dopo oltre quindici anni (il primo platform di sempre fu Space Panic, nel 1980), il genere viene quindi travolto (e stravolto) da nuove idee e nuovi concept, e da quel momento in poi tornare indietro apparirà molto difficile. Gli sviluppatori non sono più imbrigliati dalle due dimensioni, i giocatori stessi hanno scoperto che l’avvento del 3D rappresenta la più grande rivoluzione fino a quel momento per i videogiochi. Super Mario 64 farà, e continua ancora oggi, a fare scuola: suo è anche il merito di aver reso celebri i collectathon, ossia platform tridimensionali con oggetti da raccogliere e collezionabili. Se la cosa era limitata alle Stars in questo titolo, altri studi ne fecero un modo esplosivo per tenere incollati i giocatori allo schermo, come nel caso della trilogia classica di Spyro di Insomniac Games o dei primi due capitoli di Banjo-Kazooie di Rare, sempre su Nintendo 64.
Miyamoto, ancora una volta, aveva fatto centro. E a quel punto, come detto, i giocatori erano ormai abituati a un certo stile, a certe dinamiche, tanto che i vari Bros. e World del passato apparivano come qualcosa di completamente superato nel giro di pochi anni. Da parte sua, la grande N non poté fare a meno di cavalcare questo incredibile entusiasmo per il 3D, anche per gli sviluppatori. Oltre agli immancabili spin-off del franchise (ricordiamo che su N64 nacque anche una certa serie chiamata Super Smash Bros…), l’azienda chiese a Miyamoto-san di iniziare a pensare a un sequel dell’apprezzatissimo gioco, inizialmente chiamato Super Mario 128 – ossia, 64 moltiplicato per 2.
La prima bozza, pensata inizialmente per Nintendo 64DD, venne rielaborata in più occasioni tra il 1997 e il 2000; in tale anno, in occasione della fiera Nintendo Space World, l’azienda sfruttò Mario 128 come una sorta di tech demo per dimostrare quelle che poi sarebbero state le potenzialità di Game Cube. Senza dilungarsi troppo, in quanto l’argomento della retrospettiva non è appunto questo singolo gioco, Mario 128 non vedrà mai la luce, perché il team di Miyamoto rielaborò ancora una volta il concept dotando il baffuto protagonista di uno spruzzatore d’acqua sulle spalle che offriva nuove incredibili possibilità di platforming, specie in verticalità – se non è chiaro, si parla di Super Mario Sunshine, lanciato in tutto il mondo nel 2002 con grandi ambizioni ma incapace di replicare il successo del suo predecessore (cosa inspiegabile per chi scrive, se proprio lo volete sapere).
La cosa curiosa di Mario 128, per chiudere il discorso, riguarda il reale impatto che questa semplice bozza ebbe nel futuro del franchise e non solo. La dinamica di spostamento lungo sfere in tre dimensioni sarà infatti riutilizzata per i due straordinari capitoli della serie Galaxy su Wii, ma il concept generale dell’intera tech demo sarà, come ammise Miyamoto stesso nel 2007 alla GDC, la base di una nuovissima IP chiamata Pikmin. Il resto è storia.
Comunque, con l’avvento del 3D, il genere platform sembrava ormai destinato ad abbracciare completamente questa nuova visione, abbandonando l’ormai vetusta visione originale. Anche la concorrenza dei vari Crash Bandicoot, Spyro, Gex, Croc e chi più ne ha più ne metta, abbracciava la rivoluzione della terza dimensione, e per Mario questa sembrava essere una strada da percorrere senza invertire la rotta. Nintendo, tuttavia, è sempre Nintendo, e fu proprio lei a dimostrare che c’era spazio per tanto altro.
Una nuova speranza
La storia di Mario in due dimensioni, anche dopo l’avvento di Nintendo 64, non si era in realtà mai davvero arrestata. Nintendo aveva ben pensato di continuare a ricordare quanto i giochi che resero grande il personaggio fossero importanti, e tra remake e riedizioni varie su Game Boy Advance, i ritorni in grande stile furono tanti. Non mancavano poi i sempre più consueti spin-off, anche perché proprio Super Mario 64 diede a metà anni ‘90 uno sprint incredibile alla popolarità dell’icona. In tutto questo, però, Mario si stava allontanando dai suoi principi.
Quello di Super Mario non è l’unico brand che ha provato a reinventarsi e trovare nuove strade nel corso del tempo. Rayman ci era brillantemente riuscito con il passaggio alle tre dimensioni, mentre altri platform come Jazz Jackrabbit si resero protagonisti di tonfi mica da ridere, ma questo non fu l’unico genere a evolversi. Basti pensare a Resident Evil di Capcom e alla sua lunghissima storia: da survival horror con visuale isometrica a action con pronunciati elementi shooter, passando poi a vere e proprie esperienze del terrore in prima persona. Un ritorno al passato, anche se in forma differente, sancito da quell’apprezzatissimo Resident Evil 7: Biohazard, quando Capcom capì che tornare sui propri passi poteva essere una grande mossa. E Nintendo, appunto, fece lo stesso con il suo personaggio più conosciuto.
Dopo aver rilanciato Super Mario 64 DS con l’interessante remake che rielaborava intelligentemente parte del concept originale del titolo perdendo però alcune peculiarità, Nintendo calò infatti l’asso nel 2006 con New Super Mario Bros. Il titolo bastava a spiegare tutto: la serie 2D era tornata, ma con qualcosa di nuovo, fresco, frizzante, non solo dal punto di vista del totale restyling grafico fedele alla modernità di allora. Dopo ben quattordici anni, quella che per molti è la vera essenza di Mario tornava in grande spolvero, riprendendo non solo spunto dagli immortali capolavori degli anni ‘80 ma adattando anche caratteristiche di titoli più recenti tra cui anche Sunshine. Le meccaniche di fondo non cambiavano: Mario doveva farsi strada in livelli con ostacoli, nemici e passaggi segreti, per giungere all’agognata bandierina finale; una formula che aveva funzionato fino a quasi tre lustri prima, e che funzionò anche allora.
L’operazione era rischiosa, sulla carta. Mario è sempre Mario, questo è ovvio, ma convincere il pubblico a tornare al platform 2D dopo quelle rivoluzioni immense che furono Super Mario 64 e Sunshine non era affatto facile. Forse non tutti erano convinti a fare quello che aveva tutta l’aria di essere un passo indietro, e forse Nintendo stessa lo pensava. Mai previsione fu più sbagliata: New Super Mario Bros., dopo un esordio semplicemente esplosivo, è diventato il videogioco più venduto di sempre su Nintendo DS, con quasi 31 milioni di copie vendute. Un numero semplicemente stratosferico, se si pensa poi che Mario 64 vendette “appena” 12 milioni di copie mentre Sunshine solo 6,28 milioni. Game, set, match: il 2D non solo era ancora vivo e vegeto, ma aveva annientato in un colpo solo la rivoluzione del 3D.
Compreso il potenziale di tutto ciò, Nintendo decise saggiamente che Mario 2D e Mario 3D potevano tranquillamente coesistere: una serie aveva appena rilanciato il suo nome, mentre l’altra avrebbe potuto sperimentare ancora di più, lanciarsi in meccaniche e mondi ancora più ambiziosi. Fu così che le strade del franchise si divisero, pur restando strettamente connesse. Da una parte Mario venne lanciato nello spazio con i due fenomenali Galaxy per Wii, prima di tornare poi con Odyssey su Switch nel 2017, mantenendo, non sempre puramente, i dettami del concept collectathon. Dall’altra, nelle due dimensioni, New Super Mario Bros. divenne una vera e propria serie parallela, destinata ad arrivare anche sulle console casalinghe.
Migliorarsi a vicenda
Da quel momento in poi, la serie 2D non si è mai discostata dalle regole stilistiche imposte da NSMB: livelli bidimensionali tipici, con una grafica però che comunica la tridimensionalità, oltre che modelli e ambienti che vanno a richiamare altri giochi del franchise.
Senza contare gli infiniti spin-off, anche New Super Mario Bros. Wii nel 2009, sequel del gioco DS e primo titolo su una console casalinga da quasi quindici anni, andava in questa direzione, ampliando inoltre il concept per creare l’esperienza multigiocatore. Miyamoto, che aveva il pallino della co-op sin dai tempi di Mario Bros. nel 1983 e fu a un passo dal realizzarla con Super Mario 64 (il famoso modello di Luigi scovato nel gioco è una delle prove), riuscì a coronare il suo sogno, producendo un gioco più ricco e condito da un tasso di sfida più elevato, oltre che dal ritorno di Yoshi. Anche in questo caso, tanto successo e tanti saluti – e altre 30 milioni di copie.
Nintendo, dunque, proseguiva nella sua sperimentazione, con i team che si miglioravano a vicenda. Il simbolo di questo rinnovato sentimento di creatività fu Super Mario 3D Land per Nintendo 3DS, titolo che per la prima volta fondeva davvero il concept 2D con le meccaniche dei giochi 3D: livelli lineari e dalla durata contenuta, con il giocatore chiamato a raggiungere la fine dopo aver superato tante piattaforme grazie a power-up vari, ma con la capacità di esplorare in tutte le direzioni questi stage. Quello che fino a quel momento era solo un sogno, immaginare cioè cosa vedesse effettivamente Mario nelle sue avventure a due dimensioni, diventava il fulcro della nuova esperienza, replicata poi nel 2013 con l’ottimo Super Mario 3D World passato in sordina su WiiU ma vendicato con il rilancio su Switch.
E a proposito di WiiU, anche sulla sfortunata console Nintendo la serie in due dimensioni era andata avanti. Dopo l’opaco New Super Mario Bros. 2 per 3DS, senza dubbio il più debole gioco della serie, arrivarono nell’ordine New Super Mario Bros. U nel 2012 e New Super Luigi U l’anno successivo: il primo non innovava assolutamente nulla al di là di qualche power-up, ponendosi come un nuovo capitolo in continuità con il precedente (e con ottimi risultati: includendo la remastered Deluxe su Switch si arriva a 22 milioni di copie vendute), mentre il secondo proponeva una nuova avventura con un livello di difficoltà più pronunciato e qualche chicca niente male, tra cui alcuni livelli strutturati come corse contro il tempo.
E oggi, dopo ben 11 anni dall’ultimo capitolo principale della serie, finalmente Mario è pronto a tornare, con un titolo che ha già buone chance di riporre ancora una volta lo scettro dei platform 2D nelle sue mani. Con il rilancio di New Super Mario Bros. su DS, Nintendo e il suo amatissimo personaggio dimostrarono che i platform classici erano ancora vivi, ambiti e giocati, e sarebbe sciocco negare che gli emuli, nell’ultimo ventennio, siano stati tanti. La creatività che ha sempre contraddistinto Nintendo non è però (quasi) mai venuta meno, e tanto basta per donare un carisma indistinguibile da tutto il resto. E sebbene vari giochi della serie New abbiano vissuto della luce riflessa del suo illustre progenitore, adagiandosi forse troppo sugli allori, Super Mario Bros. Wonder ha dato da subito l’impressione di voler inaugurare un nuovo percorso per Nintendo, un nuovo rilancio per la serie e per il personaggio con tantissime novità.
So long, King Bowser: Mario è tornato.