Nel corso degli anni si sono verificati diversi episodi riguardanti comunicazioni problematiche tra i publisher e gli utenti, basta davvero poco per orientare la massa verso un determinato pensiero nei confronti di un prodotto e, una volta innestata l’idea, è davvero difficile tornare sui propri passi. L’episodio più recente di questo fenomeno riguarda Battlefield V, lo shooter di DICE, pubblicato da Electronic Arts, è stato argomento di polemiche e feroci critiche basate semplicemente su un teaser trailer il che ci spinge a chiederci: basta un semplice trailer per decidere se un gioco va acquistato o meno?
L’opinione pubblica è volatile, non importa quali meccanismi di marketing e comunicazione vengano messi in atto, se la massa percepisce un messaggio nel modo sbagliato si rischia il disastro totale. Sebbene il singolo giocatore abbia, statisticamente, una coscienza più profonda della sua passione e delle sue scelte, il lato oscuro del web e dei social tradisce la natura volubile del pensiero umano, massificando indistintamente l’opinione dell’utenza, opinione che si ripercuote sulle strategie di marketing e comunicazione da parte delle aziende. Uno dei casi più famosi riguarda l’utilizzo dei DRM sui videogiochi suggerito da Microsoft durante l’annuncio di Xbox One, la catastrofe comunicativa che riguardava le funzionalità di always-on e di DRM ha contribuito a creare lo svantaggio iniziale che ha colpito il lancio di Xbox One. L’annuncio di Microsoft ha infatti avuto ripercussioni non soltanto nella percezione dei giocatori verso la nuova console ma anche e soprattutto da parte dei retailer che hanno protestato sonoramente verso un fenomeno che in realtà era già stato standardizzato da Steam diversi anni prima. Oggi ci ritroviamo con titoli che richiedono una connessione per essere giocati, titoli come Destiny, Overwatch, GT Sports e tanti altri portano la scritta “è richiesta una connessione ad internet” eppure, nonostante sia ancora possibile sentire l’eco delle proteste dal lontano 2013, nessuna critica viene mossa in tal senso. Il problema sta dunque nella comunicazione, nel modo di proporre il cambiamento e le novità, spingendo l’utenza a soffermarsi sui lati negativi come la morte del mercato retail, dimenticando quelli positivi.
Il caso dei DRM e dell’always-on è soltanto la punta di un iceberg costellato di condanne premature, opinioni estreme basate letteralmente sul nulla e declino di intere produzioni per fattori davvero trascurabili. Una delle “shitstorms” più imponenti per quanto riguarda noi italiani risale allo scorso anno quando Bioware ha annunciato che Mass Effect: Andromeda non avrebbe goduto del doppiaggio in italiano, limitandosi alla localizzazione dei sottotitoli. Ne parlammo l’anno scorso e la nostra opinione in merito non cambia eppure sui social si accumularono commenti come “scaffale” e “non lo compro” basandosi esclusivamente su una minuzia quale il doppiaggio. È chiaro che un teaser trailer non è assolutamente abbastanza per dedurre o decidere la qualità di un videogioco e se il discorso che abbiamo fatto ha un valore specifico verso qui videogiochi condannati da questo pensiero distorto, lo stesso vale per quelli elogiati. Esistono infatti titoli che prescindono dal normale hype e vengono elevati a capolavori assoluti basandosi esclusivamente su trailer di pochi secondi, senza preoccuparsi di aver visto un gameplay o di aver acquisito maggiori informazioni, l’hype acceca l’utente esattamente come l’odio.
Il caso di Battlefield V riguarda però un aspetto molto più sociale che prettamente videoludico, la presenza di donne e di disabili all’interno del teaser trailer ha scatenato la furia di tantissimi utenti che, improvvisamente mossi da una passione per la storia, si sono ritrovati a criticare aspramente la scelta di DICE nonostante il teaser trailer mostrasse chiaramente la natura multigiocatore del titolo con tanto di HUD della modalità Conquista. Tra storiografi della domenica e sessisti vari, l’odio verso il teaser trailer di Battlefield V ha richiesto una dichiarazione ufficiale da parte di DICE che, non potendosi tirare indietro, ha rafforzato il suo concetto affermando che il divertimento vale più della fedeltà storica. In questa sede però non vogliamo discutere del caso nel suo specifico ma semplicemente puntualizzare quanto un prodotto possa passare da promosso a bocciato basandosi su elementi che non hanno niente a che vedere con la qualità del videogioco come tale. Titoli come Prey vennero infatti additati a “copie di bioshock” semplicemente basandosi sul taglio artistico, insomma, i risultati di un’idea spesso superficiale e sbagliata possono tranquillamente decidere il fato di un videogioco a prescindere dalla sua qualità. Alla domanda che ci siamo posti inizialmente, ovvero, basta un trailer per decidere? Rispondiamo con un sonoro “NO”, con questo non vogliamo dire che sia necessario l’acquisto di un videogioco per rendersi conto se incontra i nostri gusti o meno ma sentenziare basandosi su elementi che non hanno a che fare con i videogiochi è la strada più semplice verso il pregiudizio privo di critica e pensiero che tanto critichiamo ogni giorno.
Questo tipo di pensiero viene tristemente alimentato da tifoserie da stadio che non fanno altro che danneggiare una passione che dovrebbe essere pura, in questo modo vengono a crearsi fazioni che vedono Call of Duty contro Battlefield, Fortnite contro PUBG, Xbox contro Playstation e via dicendo, amplificando e spesso distorcendo volutamente il messaggio per avere l’ennesima occasione di criticare la fazione “avversaria”. Il nostro consiglio resta sempre lo stesso, aspettate prima di sentenziare e affrontate la valutazione del videogioco senza pregiudizi, solo così potrete capire se un titolo incontra i vostri gusti o meno, sicuramente non in base ad un semplice trailer.