Sarà la nostalgia, sarà il periodo particolarmente scevro di uscite a livello gdr importanti, sarà che l’annuncio dell’imminente Torments: Tides of Numanera ha fatto sussultare il mio cuore di giocatore stagionato, ma da un po’ di tempo mi ritorna in mente Planescape Torment. Il titolo della leggendaria Black Isle Studios è considerato dai critici e dai giocatori come il miglior gdr mai creato e noi siamo totalmente d’accordo con questa affermazione. Le vicende del Nameless One e della ricerca della propria identità hanno segnato delle generazioni, mostrando ai posteri cosa vuol dire scrivere una trama che sia al tempo stesso semplice e complessa, facile da seguire ma che offre spunto a molteplici interpretazioni. Inevitabile quindi il raffronto con la generazione attuale e i suoi osannati titoli capolavoro ricchi di emozioni e esplosioni. E’ proprio qui che parte la nostra analisi, che speriamo possa interessarvi, su cosa si intende per trame eccellente e come ci si sta muovendo nello scenario attuale.
La storia di Planescape Torment è il racconto di un essere abbietto, un derelitto che non ricorda chi è, che non può morire di vecchiaia ma può essere ucciso, salvo poi rinascere senza memoria della sua vita precedente. L’intera vicenda si snoda attraverso gli occhi del nostro Nameless One, il senza nome, costretto a ripercorrere le vicende dei suoi predecessori per trovare finalmente la pace nella morte, accompagnato da altre comprimari altrettanto derelitti quanto lui, raccontando la condizione dell’esistenza, dell’essere, della memoria, dell’amore e della sofferenza. Una vicenda malinconica, che vi spinge ad indagare anche dentro voi stessi, ponendovi degli interrogativi a cui non sempre vorrete rispondere volentieri. La stessa affermazione dell’essere, di chi sono io, spalanca un universo di possibilità a cui Planescape Torment cerca di dare rappresentazione, riuscendo però a scalfirne solo la superficie. Il tutto contornato dallo stupefacente scenario della città di Sigil, la città dei Portali, governata dall’inquietante Signora del Dolore, e tutte le meravigliose ambientazioni della ruota del multiverso di Dungeons&Dragons. Riassumere la trama in poche parole è letteralmente impossibile, ed il nostro goffo tentativo ne è la prova, ma speriamo tanto vi basti per esserne incuriositi. Se questo non fosse abbastanza, sappiate che Planescape Torment è l’unico gioco che ancora continua a vincere premi per la sua narrativa anche 18 anni dopo essere uscito e viene costantemente ristampato.
L’eccellenza del gioco non risiede ovviamente solo nella sua trama orchestrata magistralmente e nella perfetta caratterizzazione di ogni personaggio, ma anche nel gameplay solidissimo, figlio di quel Baldur’s Gate e Fallout che speriamo non abbiano bisogno di presentazioni. Tuttavia la nostra analisi si concentra esclusivamente sulla trama, vera eccellenza di Planescape Torment. Con un prodotto del genere, ci si aspetta che la maggior parte delle produzioni occidentali abbiano intrapreso questa via, quella cioè delle trame ottimamente strutturate e che facciano pensare il giocatore, che lo spingano ad interrogarsi anche su se stesso. Non è andata esattamente così. Se consideriamo quelli che negli ultimi anni sono stati additati come capolavori leggendari, possiamo discernerne alcune informazioni. Prendiamo The Last of US ad esempio, considerato dalla stragrande maggioranza del pubblico occidentale come uno dei punti più alti dell’arte videoludica. Il titolo di Naugthy Dog ha effettivamente tutto quello che serve ad un gioco per essere eccezionale: un ottimo comparto tecnico, un gameplay solido, una narrativa coinvolgente. Ed è proprio qui il problema, la narrativa. Se togliamo l’eccezionale componente emozionale da The Last of Us, ecco che ci resta una semplice storia di sopravvivenza in un mondo devastato. Anche l’ottimo Life is Strange è un concentrato di emozioni ed empatia, un mix che fa certamente presa con il giocatore, che si sente parte della storia, o, sempre per rimanere in tema, le avventure di The Walking Dead di Telltale, e molti altri, diventati famosi per avere una storia coinvolgente e, a detta del grande pubblico, ricca di emozioni. Ecco, le emozioni, il filo conduttore dell’intera vicenda. Se dovessimo trovare un comune denominatore di tutti i giochi moderni che sono stati etichettati come capolavori narrativi, sarebbe proprio questo, il fattore emotivo. Le emozioni sono qualcosa di primordiale, che l’essere umano ha da sempre e avrà per sempre, accumunando tutti di fronte ad una vicenda che è palesemente in grado di coinvolgere le persone. Ecco che quindi la storia della morte della Figlia di Joel ha colpito tutti, o il legame che Max sviluppa con Chloe è qualcosa che va al di là delle barriere videoludiche, abbracciando l’intero pubblico.
Depurati dalle emozioni, le storie dei titoli moderni risultano semplici, schiette, a tratti quasi banali. Non c’è nessuna storia che vi spinga a pensare, che vi faccia riflettere sul significato stesso di essere vivi, una storia che nonostante la sua complessità resti sempre chiara e cristallina a chi la ascolta, una storia che pone tantissimi argomenti al giocatore, mille sfaccettature e che ad ogni giocata raggiunga un’interpretazione diversa. Questo è senza dubbio la diretta conseguenza dell’allargamento dell’utenza attuale, dove sempre più persone si approcciano al media videoludico cercando le stesse emozioni che provano al cinema, con qualche interattività in più. Coinvolgere lo spettatore è semplice, basta creare empatia, e questa la si fa con i sentimenti e le emozioni. Una storia che richiede la totale attenzione del giocatore non avrò mai lo stesso successo di una più semplice e di facile consumo che tocchi i sentimenti dell’interlocutore o che lo stupisca con mirabolanti effetti speciali. Siamo arrivati al paradosso in cui cerchiamo storie emozionanti e coinvolgenti, ma che non ci richiedano di pensare troppo, una sorta di fast food del racconto, che ti sazia al momento, fino all’arrivo del racconto successivo.
Al di là tutto, la situazione non è così tragica come crediamo noi. Nonostante facciano leva sulle emozioni, i titoli citati sono comunque i massimi esponenti del genere, e in questi anni numerosi titoli dalla trama eccellente si sono affacciati sul mercato, come Portal, Alan Wake, The Witcher, Bioshock e ovviamente Dark Souls, un titolo che fa della trama e della narrativa complessa uno dei suoi punti di forza (citare tutti i prodotti Bioware ci sembra abbastanza inutile, visto che stiamo parlando della casa che il GDR occidentale lo ha quasi praticamente inventato). La differenza quindi tra una trama eccellente e una emozionale sta proprio nella sua ricezione e nella predisposizione del giocatore; una storia ricca di sfaccettature, interpretazioni, che non si regge su una singola emozione ma che è capace di spaziare su più aspetti, che insieme costruisce una solida impalcatura narrativa che difficilmente potrà essere smontata, anche vi si trovasse qualche punto debole, ecco cosa contraddistingue una trama da capolavoro. A conti fatti la nostra voglia di storie non ha mai fine, speriamo non finisca mai neanche la voglia di raccontarle.