Ho riscritto questa introduzione una decina di volte, ma alla fine ho deciso di dare uno strappo netto e di dire le cose come stanno: Mass Effect Andromeda è stato valutato tra il 7.5 e l’8.5, facendolo catalogare immediatamente dall’utenza come titolo flop e delusione totale. E’ ormai dato per assodato che la stragrande maggioranza del pubblico moderno si approccia alla critica con un metro di giudizio assolutamente errato: l’8 è diventato la sufficienza e tutto quello che si trova al di sotto è un’oscenità ingiocabile. Vogliamo partire proprio dal caso di Mass Effect per cercare di analizzare la situazione in maniera più ampia per arrivare a realizzare il marcio della situazione odierna e tentare di fornire qualche spiegazione.
Sia chiaro sin da subito: non vogliamo assolutamente prendere le difese di Andromeda, né tantomeno quelle della software house. I giornalisti nostrani hanno già espresso in maniera impeccabile i loro giudizi, arrivando a definire il titolo di Bioware come un ottimo gioco, ma comunque lontano dai fasti della prima trilogia, con evidenti difetti nella caratterizzazione dei personaggi e nelle animazioni facciali. Non ci interessa entrare nel merito della questione, non ci interessa assolutamente capire di chi sia la colpa di questa mancanza di perfezione, ma è innegabile che questo sia un campanello d’allarme per la percezione da parte dell’utenza di cosa effettivamente un voto rappresenti. Sempre più spesso infatti, e Mass Effect Andromeda ne è proprio l’ultimo esempio, giochi anche non hyppati fino alla morte che non ottengono una valutazione superiore all’8.5 vengono definiti come indegni d’attenzione, da destinare allo scaffale o comunque da acquistare a due soldi a mesi dall’uscita. La percezione generale è che la valutazione dell’8 sia armai diventata sinonimo di sufficienza, mentre le fasce dal 7.9 fino al 6 siano destinate a titoli immondi, ingiocabili, da gettare nell’oblio.
Le cause di questo spostamento di realtà sono molteplici e non tutte assoggettabili ad un unico colpevole. Certo è che la stampa videoludica ha molto di cui fare ammenda, in un periodo passato in cui praticamente quasi tutti i titoli, anche quelli più mediocri avevano valutazioni stellari per i più svariati motivi. Questo senza dubbio ha portato l’utenza a smettere di fidarsi della stampa, ma ha anche dato origine a quel fenomeno paradossale dell’aspettativa di voto, in cui se un titolo non ottiene il voto sperato, il redattore in questione è nell’ordine un venduto, un incompetente e un fazioso. Bisognerebbe quindi fermarsi un attimo a riflettere sulla questione, e magari chiarirla dato che da tutte le parti, le cose non sono mai state cristalline.
La valutazione numerica, che sia amata o odiata, è di per se indice (o almeno dovrebbe esserlo) della qualità oggettiva del gioco, valutato su una scala di valori che tiene conto di una sterminata serie di fattori, che vanno dal pubblico di destinazione, alla tipologia di gioco, all’oggettività del giornalista e anche dal periodo storico che si sta vivendo. La valutazione deve tenere conto dei pregi e dei difetti oggettivi del gioco, elementi che possono essere riscontrati da chiunque, che sono però totalmente diversi dal gradimento soggettivo del titolo. Quest’ultimo aspetto è quello che dovrebbe interessare l’utenza, e può essere colto non di certo dal singolo voto numerico, ma piuttosto dal testo dell’articolo, vero riassunto dell’esperienza del redattore. E’ lì che si capisce il motivo della valutazione e dove si può evidenziare se il prodotto in questione vada bene per le mie esigenze di giocatore. Se sono una persona che valuta la qualità grafica e la narrazione come prioritarie, allora tenderò a preferire giochi che puntano molto su questi due parametri, anche se la giocabilità è magari semplicistica, con errori o addirittura inesistente. Al contrario, se sono un giocatore che valuta il gameplay come componente fondamentale per un gioco, allora tenderò a preferire titoli che sfruttino un sistema innovativo, solido e gratificante da usare. Sono considerazioni sacrosante che devono guidare ogni acquisto, supportate dalla lettura della recensione in questione che aiuterà a capire se i difetti o i pregi di un gioco sono quelli che più si adattano alla mia concezione di videogioco. La valutazione puramente numerica è un metro di paragone tra gioco della stessa tipologia, che dovrebbe aiutarmi a capire tra due titoli simili e con le stesse caratteristiche che io ritengo fondamentali, quale possa meritarsi la mia attenzione per primo. C’è da mettersi una mano sulla coscienza anche da parte delle stampa specializzata, dato che a volte alcune recensioni possono risultare approssimative o meramente descrittive e piene di termini roboranti, che non tengono conto del tipo di gioco o l’utenza specifica a cui è rivolto, sia per una questione di tempo, sia per una questione di interesse. Il risultato di questa leggerezza è una serie di recensioni tutte uguali, che non spingono il lettore a terminare l’articolo o peggio a non capirlo. Ma se gli stessi professionisti che dovrebbero essere d’aiuto svolgono un lavoro superficiale, come si può pretendere che i lettori facciano il contrario. La colpa quindi come sempre, sta da tutte le parti.
C’è bisogno di un effettivo cambio di mentalità, che deve provenire da tutto l’ecosistema videoludico, uno sforzo che deve essere intrapreso con la consapevolezza che in questi tempi oscuri dei social immediati, la differenza di gusti è andata a farsi benedire. Un gioco che prende come valutazione 8 o 7.5 non vuol dire che sia un gioco brutto, vuol dire che ha dei difetti ma anche dei grandissimi pregi che lo hanno portato molto al di sopra della sufficienza (che ricordiamo essere 6). Sta poi a voi decidere dopo aver letto l’articolo, se questi difetti o quei pregi valgano il vostro interesse in base al vostro modo di approcciarvi al videogioco. Bollare qualsiasi cosa sotto l’8.5 come ingiocabile o brutto è sinonimo di superficialità e se dovessimo fare un paragone con il cinema ad esempio, a quest’ora gli unici film che andrebbero visti nelle sale sarebbero quelli di Kubrick, Lynch e Hitchcock. Bisogna riportare il giudizio su una scala veritiera, senza speculazioni di sorta da parte di un pubblico stanco di raggiri o di letture pompose e noiose, né tantomeno di lamentele da parte della stampa che bolla chiunque come superficiale e attento solo alla grafica. Il rischio concreto è quello di trovarsi tra qualche anno con giochi tutti uguali pensati appositamente per essere blockbuster (open world con grafica pompata, vi ricorda qualcosa?) con valutazioni standard di 9. L’innovazione sparirà, le piccole realtà spariranno e nessuno avrà più il coraggio di sbagliare, segnando così di fatto la morte della creatività. Tutti sbagliano, e per citare De Andrè, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.