La singolare avventura scritta da Chris Sawyer e dal piccolo team di Obsidian è riuscita a far breccia nei cuori dei giocatori grazie alla sua incredibile libertà di approccio nei dialoghi, il suo stile unico e la sua incredibile precisione nel narrare fatti storici con tanto di personaggi, luoghi ed usanze in quel piccolo villaggio di nome Tassing. Pentiment è un piccolo ma grandissimo videogioco capace di far riflettere, commuovere e sfruttare il medium in ogni sua sfumatura. In questo editoriale ci concentreremo sulle dinamiche legate alle scelte ed al significato di libertà all’interno di un contesto chiuso come quello del videogioco analizzando il modo in cui Pentiment si approccia alla libertà illusoria tipica dei giochi di ruolo impiantandone al suo interno un messaggio fortissimo.
Pentiment: tra illusione e realtà
I meccanismi di causa ed effetto sono parte integrante dei giochi di ruolo sin dalle primissime avventure testuali. Il videogioco e la sua natura interattiva trova ancora oggi il suo climax nel momento in cui il giocatore si ritrova a scegliere tra uno o più elementi, modificando direttamente il corso della sua esperienza. Il concetto stesso di scelta, spesso erroneamente associato alla “libertà”, rappresenta uno dei selling point più efficaci per il videogioco moderno laddove la linearità, soprattutto in ambito GdR, viene associata alla banalità ma, come spesso accade, anche la libertà può diventare banale soprattutto se alla base vi è un’illusione di scelta. Una domanda esistenziale di questa portata trascende e va oltre il mondo dei videogiochi: dov’è la libertà se la scelta implica comunque il confinamento tra due o più possibilità? La scelta in questo caso diventa una catena inossidabile dalla volontà del giocatore che, come in ogni sistema informatico e dunque chiuso, deve sottostare alle leggi del mondo in cui si trova. Da Pentiment ci siamo dunque spostati in quel piccolo parco giochi dove l’oracolo di Matrix faceva più o meno lo stesso discorso a Neo ormai quasi vent’anni fa.
Pentiment è un titolo dal forte impatto narrativo e, grazie al suo sistema di dialoghi incredibilmente variegato, alle restrizioni del tempo ed alle meccaniche di causa ed effetto, riesce a mettere sul piatto una storia che infonde nel giocatore una forte illusione che nel mondo dei videogiochi viene sempre meno: il singolo può cambiare il mondo. Presto o tardi ci accorgeremo, accompagnati da uno sgomento più o meno avvilente, che Andreas Maler non ha in mano il destino di Tassing ma non è altro che un piccolo uomo in un mondo mosso da forze ben più grandi ed opprimenti. Pentiment riesce infatti a strappare il velo di maya che nasconde un messaggio troppo spesso celato nel mondo dei videogiochi e della narrativa: il protagonista, soprattutto in contesto storico verosimilmente reale, non è sempre in grado di cambiare il mondo da solo e, per quanto si sforzi, le gesta del singolo difficilmente avranno un impatto significativo nella storia. Una realtà, quella di Pentiment, grigia ed affaticata da un’oppressione che ben descrive il periodo storico medioevale. Durante il primo atto di Pentiment mi sono avvicinato al gioco come qualsiasi avventura narrativa, convinto che le mie scelte, come nel migliore dei JRPG, avessero un impatto importante sul mondo di gioco. Convinto di poter incastrare il vero assassino del barone Rothvogel, sovvertire l’egemonia dell’Abate e svelare la corruzione e gli inganni che si celavano dietro il monastero di Kiersau, ho esplorato, parlato con tutti i personaggi e raccolto tutte le prove, ricaricato il salvataggio più e più volte ma c’era un problema: le cose non andavano come avevo pianificato e qualsiasi risvolto mi lasciava in bocca l’amaro del fallimento.
Ed è proprio in questo fallimento che fiorisce il messaggio di Pentiment, Andreas Maler non è un dio della guerra capace di cambiare le sorti dei mondi, non è un super-soldato in grado di salvare l’intero universo, il nostro eroe, a prescindere dalle sue nobili intenzioni, resta un artista in un piccolo villaggio di contadini della Baviera del 1500. A prescindere dalle nostre azioni, Tassing continuerà ad esistere anche dopo di noi, gli anni passeranno e le generazioni cambieranno, qualcuno ci ricorderà con affetto, altri invece con forte ostilità, altri ancora con indifferenza ed infine saremo dimenticati. Forte, crudo, realistico ed incredibilmente verosimile, Pentiment dipinge un piccolo paesino di montagna come una vera e propria entità che attraversa le ere dalle antiche usanze per poi passare dai Romani fino ad arrivare ai cattolici, arricchendosi di storia e cultura e, proprio come il murale dipinto da Magdalene, aggiungendo, anno dopo anno, tasselli alla sua storia.
Pentiment ci mette dunque di fronte ad un vero e proprio organismo e valorizza l’importanza della storia, delle tradizioni ma anche del futuro e della propensione al cambiamento riuscendo a concentrare l’intero medioevo in un piccolo villaggio di campagna. Eppure, nonostante l’ineluttabilità del tempo e del suo incessante scorrere, le azioni di Andreas Maler hanno un impatto, contenuto ma non meno importante. Durante l’atto II ho cominciato a rendermi davvero conto dell’incredibile messaggio di Pentiment perché se da un lato non abbiamo assolutamente nessun modo di piegare la storia al nostro volere, dall’altro possiamo fare la differenza in modi inimmaginabili. Io ho scelto di condannare Fortunato durante il primo atto e l’odio della sua vedova mi ha accompagnato per il resto del gioco e, finchè non ho scoperto la vera identità dell’assassino, ho pensato che quell’odio fosse malriposto. Tuttavia, vi è un momento preciso in cui mi sono reso conto dell’immenso valore narrativo di Pentiment ed è stato il momento in cui ho incontrato Endris il Fabbro accompagnato da sua moglie. Endris si presenta come un personaggio debole, incerto ed insicuro, convinto che la vita abbia poco o nulla da offrirgli se non il suo lavoro da fabbro e la sua devozione verso Dio; tuttavia, avremo modo di convincerlo e spingerlo in una direzione ben precisa, condizionando ed influenzando la sua vita sul lungo termine.
Ecco, le nostre scelte probabilmente non faranno la differenza sul piano più grande dell’esistenza ma il modo in cui ci comportiamo, spesso anche involontariamente, possono ispirare, danneggiare o comunque influenzare le persone che ci stanno intorno e, proprio come accade nella realtà, le nostre decisioni non sono sempre e soltanto nostre ma vanno ad intrecciarsi in un universo collettivo fatto di singoli individui. Metabolizzando questo concetto durante le fasi finali di Pentiment, mi sono reso conto che il suo messaggio non è affatto scoraggiante, al contrario, è di fortissima ispirazione. Il mondo non gira in base alle nostre decisioni ma siamo liberi di scegliere le nostre battaglie ed il nostro impatto non soltanto sulla nostra vita ma anche su quella degli altri ed in questo modo basterà dar da mangiare ad un gattino in un monastero per rendersi conto che, a distanza di vent’anni, una piccola colonia felina prospera sulle rovine di quello che un tempo fu un edificio ecclesiastico. Il concetto viene tuttavia cristallizzato nel momento in cui, nei panni di Andreas, la scelta di quale libro regalare alla piccola Magdalene andrà ad influenzare le sue conoscenze a distanza di decenni, un tocco di stile incredibile che integra una scelta narrativa direttamente nel game design del titolo.
Pentiment non si fregia dunque di meriti stratosferici, non ci mette al centro dell’universo come la terra nel sistema solare medievale ma ci lascia al ruolo di ingranaggio, una libertà illusoria dichiarata ed onesta che non svaluta ma impreziosisce ogni singola nostra azione. Tassing non sarà mai libera dal giogo della chiesa o dell’abbazia ed i contadini dovranno sempre pagare le tasse e sottostare al signore della loro terra; tuttavia, è possibile fare la differenza nella vita delle persone ed è proprio in questo piccolo spiraglio che Pentiment trova la sua strada e prospera in maniera rigogliosa. Pur non avendo in mano l’ago della bilancia, l’anello da lanciare nelle fauci di un vulcano primordiale per salvare il mondo, Andreas e la sua vita umana, una vita fatta di errori, risentimenti, tristezza ma anche gloria, soddisfazione e bellezza, riesce a lasciare un’impronta in un’impalcatura millenaria passando alla storia ma soltanto nell’universo di pochi e questo concetto, analizzato sotto la lente del giocatore, va ad elevarsi al di sopra di qualsiasi GdR.
In conclusione, Pentiment è riuscito ad insegnarmi il valore delle scelte e delle conseguenze, ridimensionando in piccola scala un concetto troppo spesso abusato nel mondo dei videogiochi: la libertà non esiste e non può esistere in un sistema chiuso, tutto ciò che possiamo fare è tracciare la nostra strada all’interno di confini ben definiti, scegliendo cautamente quali corde tirare per direzionare la storia entro i confini delle nostre possibilità. Ci salutiamo dunque ammirando l’ironia con la quale, parallelamente alle vicende di Andreas Maler in quel di Tessing, anche Pentiment, piccolo com’è, riesce a portare una ventata d’aria fresca nel mondo dei videogiochi senza stravolgere l’industria ma cambiando radicalmente il cuore dei giocatori che hanno saputo apprezzarne la bellezza. Così come gli abitanti di Tessing con Andreas, alcuni giocatori ricorderanno Pentiment con piacere, altri invece lo abbandoneranno dopo poche ore ed altri ancora lo ignoreranno completamente mentre il mondo aspetterà l’arrivo del nuovo Call of Duty, imperturbabile dalle prodezze narrative di un piccolo ed insolito titolo come Pentiment.