L’industria dei videogiochi è diventata, nel corso degli anni, una delle forme di intrattenimento più diffuse al mondo. Il progresso tecnologico ha permesso agli sviluppatori di esplorare sempre di più le possibilità offerte da un mondo divertente ed interattivo, portando l’intera industria videoludica al pari delle principali forme di intrattenimento come quella Televisiva o Cinematografica.
La domanda che ci poniamo oggi riguarda una componente fondamentale ai fini del giudizio di un videogioco: la Longevità. È necessario che un videogioco debba assolutamente richiedere una soglia minima di ore per essere completato? Oppure è più importante la sostanza?
Più lungo è meglio è?
Metafore sessuali da mente deviata a parte, definire l’importanza della durata di un videogioco costituisce uno dei pilastri sui quali si basa l’intero giudizio di un’opera. Nel campo videoludico il metro di giudizio in termini di longevità non è però dettato semplicemente dai numeri, è infatti sbagliato ( e professionalmente impossibile, ndr ) etichettare un videogioco in base alle ore necessarie per completarlo, bensì alla qualità di quelle ore, formando un rapporto qualità/tempo che ne determina il valore.
Nel corso dell’ultimo anno abbiamo assistito a due bufere mediatiche che hanno coinvolto due delle esclusive più importanti per Xbox One e Playstation 4, stiamo parlando infatti di Quantum Break e The Order. Entrambi i titoli hanno subito un vero e proprio flagello, sia da parte dell’utenza che da quella della critica, etichettando i due titoli come “troppo brevi”. La questione è invece molto più profonda e delicata; Mentre Quantum Break può contare su una storia valida, anzi, tra le più belle degli ultimi anni, The Order nasconde le sue carte migliori dietro ad una grafica mozzafiato ed un’ambientazione spettacolare, diventa allora impossibile negare l’impronta lasciata da due titoli così importanti che, sebbene non richiedano un numero mastodontico di ore per essere completati, riescono a trasmettere delle emozioni che tanti altri giochi compensano con elementi totalmente superficiali e fuori dal contesto.
Il tempo di morire
Tra le ragioni più gettonate dall’utenza vi è quella del rapporto tra la durata e il prezzo del gioco. È innegabile che il prezzo dei videogiochi, se consideriamo quelli di listino, è decisamente alto e l’acquisto di un gioco al Day One deve essere, necessariamente, corredato dalla sicurezza di tenere il giocatore impegnato il più possibile, un pensiero lecito che però non dovrebbe mai condizionare l’opinione del titolo in questione, è giusto aspettare degli sconti, è sbagliatissimo cestinare un prodotto soltanto perchè troppo costoso per le nostre tasche, perdendo così l’opportunità di godere di un’esperienza che può benissimo essere soddisfacente, anche se per poche ore.
La risposta dell’utenza nei confronti di titoli poco longevi è infatti quasi univoca, la maggior parte dei giocatori decide di aspettare che il prezzo cali, mentre i fan più accaniti ( e a volte più ricchi, ndr) non si fanno scrupoli. Tale divisione va spesso a creare un conflitto tra due realtà che seguono la stessa passione, complice anche la critica videoludica che non manca, in certi casi, di rincarare la dose.
Il caso di Quantum Break è molto peculiare, l’esclusiva Microsoft ha infatti diviso in due un’utenza che fino a qualche mese fa non aspettava altro che l’uscita dell’ultima fatica di Remedy. Tale divisione è data da un fattore molto importante per i titoli dalla longevità discutibile: la Rigiocabilità.
La necessità di rigiocare un titolo per scoprirne le diverse sfaccettature è un fattore estremamente soggettivo, per alcuni è un processo quasi naturale, per altri è invece una perdita di tempo. La rigiocabilità di Quantum Break ha dunque giocato un ruolo fondamentale nelle vendite del titolo che, dopo aver ricevuto una tiepida accoglienza da parte della stampa internazionale, è riuscito a conquistare le vette di diverse classifiche, grazie proprio a quegli utenti che non si sono fermati alla durata del gioco e ne hanno esaltato le qualità.
E se fosse troppo lungo?
Una delle critiche più rare che un videogioco possa ricevere è quella dell’eccessiva durata. Se un titolo può essere criticato perchè troppo breve, è allora possibile criticarlo perchè troppo lungo.
Eppure è rarissimo sentire critiche in tal senso, eppure la storia dei videogiochi è lastricata di titoli che durano troppo, uno su tutti: The Elder’s Scroll V: Skyrim. Il titolo Bethesda ha giocato un ruolo fondamentale nella diffusione del brand di The Elder Scrolls e, nonostante la durata complessiva del titolo superasse di gran lunga il centinaio di ore necessarie per essere sviscerato, tale giudizio non va a costituire una qualità. La maggior parte delle ore passate su Skyrim sono fatte di quest secondarie riempitive, spesso noiose e che, nella maggior parte dei casi, non approfondiscono la storia.
Se è vero dunque che un titolo debba necessariamente impegnare il giocatore per un numero minimo di ore, è altrettanto vero che non dovrebbe sfruttare diversi espedienti poco stimolanti per aumentarne la durata, così come succede con Assassin’s Creed e le sue quest secondarie spesso inutili o gli innumerevoli collezionabili che costringono il giocatore a girare in modo insensato per il mondo di gioco.
Esistono invece le eccezioni, come The Witcher 3, nel quale la maggior parte delle side-quest rivela dei dettagli aggiuntivi sulla trama, stringendo legami importanti ai fini del gioco, bensì i veri maestri di quest’arte rimangono sempre i ragazzi di Bioware, che attraverso quel capolavoro di Mass Effect hanno insegnato il valore delle ore spese viaggiando nello spazio.
L’importanza del genere
Parlare di longevità senza tenere conto del genere di videogioco in questione è come parlare di aria fritta. Ogni genere videoludico ha per sua natura una longevità media, ad esempio i titoli sportivi e quelli multiplayer-oriented hanno una longevità “potenzialmente” infinita, grazie proprio alla loro struttura di base che somministra il gioco in partite sempre diverse tra loro. Il genere che garantisce il livello più alto di longevità è sicuramente quello degli RPG; i giochi di ruolo conferiscono al giocatore la possibilità di creare un proprio personaggio, scegliere e spesso di dialogare, espandendo così le variabili di un mondo che potrebbe cambiare in base alle nostre decisioni. Ambientati molto spesso in un contesto Open World, i giochi di ruolo offrono la possibilità di esplorare e perdersi letteralmente nel mondo di gioco fino a raggiungere il loro massimale nel caso in cui vi sia la componente multiplayer, creando uno dei generi più complessi e longevi di sempre : gli MMORPG. Il discorso cambia invece quando si parla di FPS/TPS e Adventure Games, la maggior parte dei quali mette il giocatore su dei binari da seguire necessariamente, raccontando una storia che, per quanto possa essere complessa, non può superare una certa soglia temporale perchè rischia di cadere nella noia e nella ripetitività.
In conclusione, si, la longevità di un titolo è un fattore molto importante, bisogna però operare una valutazione ponderata, tenendo conto delle variabili che influenzano la durata di un titolo. Un videogioco basato quasi esclusivamente sulla sua trama deve necessariamente mantenersi in un range di ore proprio per risultare credibile e apprezzabile, l’unica soluzione valida per “allungare il brodo” è quella di trovare una formula di gameplay divertente e innovativa che renda il titolo godibile anche dopo averlo completato. Non è comunque necessario che un titolo impieghi il giocatore per un numero eccessivo di ore per rendere un videogioco complessivamente valido.