Dopo l’uscita de La Terra di Mezzo: L’ombra della Guerra, una vera e propria bufera si è abbattuta sul concetto di microtransazioni, loot boxes e, in generale, sugli oggetti acquistabili attraverso denaro reale all’interno dei videogiochi. Il panorama videoludico offre diverse soluzioni in termini di microtransazioni, alcune invasive, capaci di cambiare radicalmente l’esperienza di gioco, altre più marginali e puramente estetiche. Riuniti sotto lo stesso detto de “ Le microtransazioni sono il male incarnato” è giusto però precisare che esistono alcuni modelli che permettono alle software house di guadagnare e supportare il titolo.
Tra mistificazioni varie che vedono L’ombra della Guerra come il principio dell’apocalisse, laddove è praticamente inutile spendere denaro reale per avere dei benefit in-game e misteriosi algoritmi messi in campo da Activision per spingere i giocatori ad acquistare pacchi, pacchetti e pacchettini, vi è una luce splendente, un modello di microtransazioni adeguato che, come la buondì ci ha insegnato, va a coniugare la sostenibilità delle software house con un’esperienza di gioco limpida e libera da inutili costrizioni.
Stiamo parlando di Rocket League e del mondo che Psyonix è riuscita a costruire intorno al titolo. Così come nella maggior parte dei titoli multiplayer-based, all’interno di Rocket League troviamo un sistema di microtransazioni basato su lootboxes casuali. Se qualcuno sta già accarezzando il proprio forcone virtuale e mettendo a punto la sua indignazione da web 2.0, dall’altra parte ci ritroviamo con un sistema che ha permesso a Rocket League di crescere da titolo indipendente uscito gratuitamente attraverso Playstation Plus ad un’istituzione dell’esport capace di muovere le masse e di offrire uno spettacolo divertente ed adrenalinico.
E si, non tutti i soldi spesi su Rocket League vanno nelle tasche di Psyonix, gran parte del ricavato serve infatti a finanziare le competizioni sportive che amiamo vedere su Twitch, portando alla ribalta figure nostrane come Kuxir97 e team da tutto il mondo che, attraverso Rocket League hanno esordito nel mondo degli esport. Ma come fa un titolo uscito gratuitamente e proposto soltanto in seguito al prezzo di 19,99€ a proporre tornei di tale portata, garantendo peraltro un supporto continuo e gratuito? Microtransazioni.
Ci ritroviamo dunque a parlare di microtransazioni che fanno bene al mercato ed al giocatore e lo facciamo utilizzando un modello che dovrebbe essere preso in esempio da tutti in questo settore. Se paragoniamo il Rocket League uscito nel 2015 con il titolo che ci ritroviamo oggi possiamo notare senza ombra di dubbio una trasformazione mostruosa in termini di contenuti. Più modalità, features, personalizzazioni e veicoli, il tutto fornito gratuitamente, miracolo? No, microtransazioni.
Il modello di microtransazioni proposto da Rocket League riesce inoltre a limitare la frenesia generale che vede i bambini rubare la carta di credito dei genitori per spendere migliaia di euro all’interno del gioco. L’unico modo di avere accesso alle loot boxes è in fatti quello di giocare e sperare nel drop casuale, Psyonix avrebbe potuto semplicemente costruire uno store dedicato all’interno del quale i giocatori potevano spendere le proprie paghette per spacchettare a più non posso e invece no, anche le loot boxes vanno sudate e, una volta ottenute, si potrà decidere se acquistare le chiavi per aprirle o meno. È l’unico caso conosciuto nel quale è il titolo stesso ad impedire al giocatore di spendere denaro, proponendo una più salutare esperienza di gioco che potrebbe o non potrebbe tradursi in una spesa. Le diverse tipologie di casse, introdotte con il tempo attraverso i vari aggiornamenti, riescono inoltre a diversificare gli oggetti ottenibili in modo da lasciare al giocatore la possibilità di aprire solo le casse che contengono l’oggetto desiderato incrementando così la possibilità di trovarlo.
Seppur in via meno ufficiale esistono inoltre diversi “mercatini” nei quali è possibile scambiare gli oggetti, comprese le casse, con altri giocatori, riducendo ancora di più l’esborso monetario in cambio di una sana ricerca. Le loot boxes in questo modo diventano anch’esse merce di scambio per chiavi e oggetti andando così a costruire una vera e propria economia basata sulla rarità dell’oggetto attraverso un meccanismo di domanda e offerta molto preciso. Esistono vere e proprie quotazioni per gli oggetti ottenibili all’interno delle casse, generalmente tale quotazione è costituita in chiavi ma si può sempre scendere a compromessi con oggetti di pari rarità.
Mentre il mondo è impegnato a far la guerra alle microtransazioni, Psyonix è riuscita ad istituire un modello solido e funzionale capace di soddisfare i giocatori più esigenti senza togliere assolutamente nulla a coloro che non vogliono spendere. In questo modo tutti i giocatori hanno potuto godere dei benefici di un supporto continuativo e qualitativo senza essere però obbligati a spendere un centesimo laddove altri, come chi vi scrive, sono liberi di acquistare le chiavi per aprire le tanto sudate loot boxes. Sarebbe più salutare se tutti, giocatori e sviluppatori, ci impegnassimo a trovare il giusto compromesso tra costi e benefici piuttosto che vedere ogni forma di pagamento come il male assoluto.