Pensate ad un universo immaginario fantascientifico altamente oscuro. Qual è la prima cosa che vi viene in mente? Se avete risposto Star Wars o una qualsiasi deriva horror spaziale, siete fuori strada ma avete confermato appieno la tesi che andremo a discutere oggi: il Cyberpunk non è un fenomeno di massa, non è un prodotto che vende. La sottocultura underground resa famosissima da William Gibson nel 1984 con il suo primo romanzo Neuromante, considerato da tutti il manifesto del genere, è una trasposizione distopica della società del futuro prossimo, dove la tecnologia e l’hi tech cibernetico si fondono con la cultura pop, trattando in modo marcato di tematiche complesse come la ribellione e rivoluzione sociale. Una realtà oscura, distopica, dove le gigantesche corporazioni hanno il controllo di immense megalopoli e chi non si adegua al sistema vive ai margini delle stesse, in giganteschi Sprawl dove la legge è solo una flebile luce nella notte. Su tutto domina la tecnologia, diventata sempre più invasiva che come tradizione vuole, controlla le vite degli uomini e ne modifica addirittura il fisico, con innesti e potenziamenti cibernetici in ogni parte del corpo.
Già da questa premessa è facile intuire che siamo di fronte ad un filone narrativo estremamente complesso, che va elaborato e il cui fascino si trova proprio nella distopia e nell’intrigo, oltre che nell’inquietante impatto visivo che potrebbe non essere troppo lontano dalla realtà. Da qui il nostro argomento principale, ovvero che il genere Cyberpunk non vende, non quanto ci si aspetterebbe da un fantasy o da un sci-fi “classico”. Nel nostro caso, portando tutto sul fattore videogioco (esuliamo completamente da film e libri, che richiedono approfondimenti a parte e il cui concetto è ancora più stringente), parliamo di titoli che seppur abbiano fatto la storia, come System Shock, o siano di fattura pregevolissima, come la serie Deus Ex, non abbiano ottenuto il successo di pubblico sperato, portando come nel caso di Deus Ex, ad una pausa temporanea nella sua pubblicazione. Il caso di Deus Ex è proprio quello che ci ha spinto a questa analisi, considerando come le vendite del titolo vengano definite “deludenti” dagli analisti e dalla stessa compagnia di sviluppo, nonostante l’unanime consenso di critica. L’universo distopico Cyberpunk basa la sua potenza sull’impatto visivo, che contrappone il naturale all’artificiale, l’oscurità e la freddezza del metallo e del neon al calore del corpo umano e ai sentimenti, contesto che potrebbe non essere facilmente digeribile da chi non vive di contrasti. L’altra grande potenza del genere cyberpunk è quella narrativa, il conflitto che parte dal basso tra la popolazione sempre più povera e lo strapotere delle gigantesche corporazioni, che tramite il denaro controllano ogni singolo aspetto della vostra vita. E tra i due mondi, la Rete, o Matrice, il cyberspazio virtuale che lega tutto e tutti, terreno di scontro di una guerra silenziosa tra hacker ribelli e servi del potere.
Non stiamo parlando di un coinvolgimento immediato, ma di qualcosa che va scoperto pian piano, assaporato e assorbito, e che molto probabilmente vi disturberà nel profondo, visto che molto spesso queste storie non hanno un lieto fine (eppure Black Mirror vi piace). Non parliamo di draghi, elfi, principesse o di astronavi, alieni e scene di sesso nello spazio, trame in cui bisogna sempre salvare il mondo e mai se stessi. Non mostriamo argomenti che fanno breccia sul pubblico, non ci sono storie d’amore da raccontare o personaggi carismatici da ammirare. Tutti sono opportunisti, tutti sono plagiati in qualche modo, tutti sono “impuri” o condannati dalla tecnologia. Se analizziamo tutte le produzioni Cyberpunk videoludiche degli ultimi anni le ritroviamo solo tra prodotti indipendenti, ma sempre di grandissimo pregio, come The Observer, mentre proprio Deus Ex, che era il prodotto di punta, ha fallito miseramente, almeno secondo le statistiche di vendita. Se quindi è assodato che il cyberpunk non è un filone da cui ci si può aspettare un successo di massa, è giusto parlare di flop? O magari l’asticella delle vendite è stata settata troppo in alto? Se lo paragoniamo ad altri titoli tripla A ben più mainstream, è logico che un titolo estremamente incentrato sulla narrativa e con tematiche sociali fortissime non vendesse quanto uno decisamente più spettacolare e di immediata fruizione; è la stessa differenza che troviamo tra un blockbuster e un film d’autore.
Tutto questo ragionamento ha un senso se si considera in toto l’industria di videogiochi, una macchina che vive di popolarità e che se vede che qualcosa non interessa, smette di produrla. Questo è un immenso peccato, perché l’ambito cyberpunk è uno dei più affascinanti e paradossalmente veritieri che si siano mai assaporati, di conseguenza vedere titoli del calibro di Deus Ex o System Shock sparire potrebbe essere una perdita considerevole, solo perché ci si aspetta le stesse vendite di un qualsiasi titolo annuale pensato per tutte le fasce di pubblico. Ma non tutto è perduto. Nella fredda Polonia, i ragazzi di CDProjeckt Red hanno deciso di salvare il genere così come all’epoca salvarono il fantasy con la serie di The Witcher. Il loro Cyberpunk 2077, ormai in sviluppo da anni e le cui informazioni vengono centellinate, potrebbe essere finalmente il titolo che darà al cyberpunk il successo che merita, dato l’interesse del pubblico per i lavori della software house polacca. L’interrogativo però rimane: come reagirà un genere che per anni è rimasto appannaggio di pochi, un’ambientazione underground nata e cresciuta tra i conflitti sociali e la paura del futuro, una volta che raggiungerà il grande pubblico?