Sono pochi personaggi nel mondo videoludico in grado, per la loro forza, di diventare vere e proprie figure iconiche. Ma ancora di meno sono quelli capaci di resistere al tempo, all’evoluzione tecnologica ed al cambio generazionale. Lara Croft, con i suoi ventidue anni di attività alle spalle, rientra perfettamente in quelle figure quasi mitologiche. Forte, indipendente, armata di doppia pistola, prima vera protagonista femminile nei videogames che si opponeva allo stereotipo della damigella da salvare, ma senza rinunciare o nascondere la sua sensualità. Vestita rigorosamente in short top azzurro (eh sì “dotata” della sua indimenticabile sesta ) era in grado di eliminare da sola temibili nemici armati e feroci animali in agguato sempre pronti ad attaccarla.
La realizzazione di Lara Croft, così come la conosciamo e del suo mondo di gioco, non è stato però immediato, ma è il risultato di un lungo processo fatto di tanti e importanti cambiamenti iniziati nel 1993 e finiti nel 1996 con l’uscita del primo Tomb Raider. Eidos Interactive e il team di sviluppo di Core Design aveva un obiettivo piuttosto ambizioso, ma possibile tecnologicamente grazie all’arrivo delle nuove console SEGA Saturn e Playstation: la realizzazione di un gioco dalle ambientazioni esotiche in puro stile Indiana Jones, dalla grafica in 3D con un gameplay composto perlopiù da enigmi, in cui la risoluzione lenta e ponderata era l’elemento cardine. Un gioco che, rispetto al periodo, vantava un’impostazione nuova, che necessitava di un protagonista diverso e soprattutto carismatico. Escluso sin dalle prime fasi di sviluppo il cliché del personaggio armato di frusta, Core Design decise di optare per una protagonista femminile e il compito definirne l’aspetto fu affidato a Toby Gard. Iniziò un lungo processo che vide la nostra eroina assumere prima le sembianze della sudamericana Laura Cruz, poi della yankee Laura Cruise (per avvicinare il pubblico europeo e americano) ed infine la definitiva ed inglese Lara Croft. Se la presenza di una protagonista femminile non fosse già sufficientemente rivoluzionaria, il team di Core Design creò intorno a Lara una storia personale: ricca ereditiera con l’amore per l’archeologia, amore nato dal padre scomparso in una delle tante spedizioni. Una volta arrivato sugli scaffali il primo capitolo di Tomb Raider fu un successo immediato. I giocatori si trovarono di fronte un titolo complesso, innovativo, pesantemente punitivo, con un’atmosfera avvincente, dove ogni mossa nell’esplorazione doveva essere millimetricamente calcolata. Core Design con Tomb Raider aveva ampliato il concetto di platform creando un nuovo sotto genere, ma soprattutto aveva dato vita ad una vera e propria icona pop. Lara Croft non era relegata al settore dei videogiochi, ma tutti volevano la forzuta eroina. La sua figura era ovunque: pubblicità, giornali, riviste e televisione. Intorno a Lara si creò un vero e proprio mondo. Persino il cinema capì la portata del fenomeno, tanto da produrre due film con protagonista Angelina Jolie.
Il successo e la sovraesposizione però, si sa, sono armi a doppio taglio. Proprio quest’ultima, unita ad una successione di giochi molto simili tra loro, portò il brand ad avere i primi problemi. Il vero affondo avvenne però con Tomb Raider: The Angel of Darkness, sesto capitolo sviluppato da Core Design con l’intento di uscire dalla evidente monotonia. Il risultato? Decisamente non positivo ed il titolo, problematico sotto tanti punti di vista, fu sommerso da critiche. Il team, dopo il fallimento, dichiarò bancarotta e l’intero brand passò nelle mani di Crystal Dynamics che tentò con tre nuovi titoli, (Legend, Anniversary e Underworld) un nuovo look di Lara e una storia modificata dai toni più profondi, di rinverdire brand: tentativo che riuscì solo in parte. La vera svolta fu l’acquisizione nel 2009 di Eidos e di tutto il franchise da parte di Square Enix per 84,3 milioni di sterline. Lo sviluppo rimase sempre nelle mani di Crystal Dynamics, ma la software house giapponese pretese un vero cambiamento. Del resto la popolarità di Lara Croft era decisamente diminuita: gli anni 90 erano finiti da una pezzo e una ventata di aria fresca era necessaria. Dopo un lungo periodo di sviluppo nel 2013 uscì il nuovo Tomb Raider, un vero e proprio reboot con una nuova e più matura Lara, nuova ambientazione e soprattutto nuovo (e stravolto) gameplay. Scelta vincente che dimostra quanto la buona gestione possa dare ad un solido brand un posto stabile nel mondo videoludico e cinematografico. E’ proprio l’imminente arrivo (15 marzo) nelle sale italiane della pellicola con protagonista la nuova Lara interpretata da Alicia Vikander la giusta occasione per tirare le somme e stilare la classifica dei 5 giochi più belli di Tomb Raider.
Di seguito trovate la recensione del nuovo film in uscita oggi con Alicia Vikander a cura dei nostri colleghi di Cinematographe.it.
Tomb Raider: The Angel of Darkness
The Angel of Darkness è sicuramente il titolo più controverso del brand. Dopo una sequela di giochi che per la loro similarità non avevano entusiasmato critica e pubblico, la parola chiave era l’innovazione. Il team Core Design quindi si mise a lavoro dando fondo a tutta la loro creatività, dando la luce ad un’opera mastodontica, una trilogia che doveva rivoluzionare completamente il mondo di Tomb Raider. Insomma ambizioso, eccessivamente ambizioso. Il gioco all’uscita (nel 2003 su PS2) risultò infatti incompleto, pieno di errori tecnici e con dei comandi quasi ingestibili. Un vero ed autentico flop, che affondò economicamente Core Design.
Dopo questa doverosa premessa molti di voi saranno rimasti stupiti dalla presenza in questa classifica di The Angel of Darkness. Perché inserirlo nella lista dei 5 titoli migliori della serie? Semplice: il sesto, nonostante i suoi evidenti problemi, è il Tomb Raider con gli spunti più interessanti. The Agel of Darkness era un titolo coraggioso, carico di innovazioni che avrebbe potuto veramente dare una svolta al brand. A livello di gameplay, per esempio, era estremante coraggioso con i suoi nuovi elementi ruolistici e un’azione volutamente più ponderata. Se nei capitoli precedenti la forza bruta di Lara era uno dei componenti predominanti, in The Angel of Darkness, dovevamo tenere presente la nuova e lenta progressione del personaggio. Rimanere innaturalmente appesi per ore senza vedere un minimo accenno di stanchezza da parte della protagonista era quantomeno assurdo, ma anzi era necessario calibrare alcuni movimenti. A questo si aggiungeva poi un approccio stealth che permetteva di attaccare i nemici alle spalle o con un’arma non letale. Le nuove meccaniche non erano solo un’aggiunta interessante, ma si adattavano bene alle nuova location ed all’atmosfera decisamente più noir. Le piramidi e le tombe erano state sostituite con i vicoli stretti e bui di Parigi e Praga in cui la nostra protagonista, forte di un nuovo look “dark”, si muoveva furtiva e spaventata alla ricerca di un assassino. Il primo vero tentativo di umanizzazione di Lara Croft, ben riuscito grazie a una storia più complessa che non si limitava alla ricerca di manufatti. Inoltre la Lara Croft di The Angel of Darkness aveva per la prima volta un comprimario maschile. Non era un aiutante, ma un vero e proprio personaggio che dovevamo controllare in alcuni punti del gioco.
The Angel of Darkness non era un gioco perfetto, ma quindici anni fa era costellato di tante idee che se fossero state completate e inserite nel gioco con maggiore cura avrebbero sicuramente anticipato i tempi.
Tomb Raider III
Il terzo capitolo uscito nel 1998 aveva tante e differenti ambientazioni: India, Inghilterra, Antartide ecc.. Tutte necessarie ed esplorabili per trovare i manufatti. Rispetto al predecessore erano state aggiunte nuove mosse ed armi, ma la grande differenza si poteva trovare nella difficoltà. In Tomb Raider III infatti era tornato il sistema di checkpoint a cristalli che si contrapponeva al salvataggio libero del secondo capitolo, il che rendeva le cose decisamente più complicate. Il terzo capitolo era estremamente punitivo e grazie a un level design godibile e complesso ci si trovava spesso ad affrontare salti millimetrici per arrivare in punti dall’apparenza impossibili da raggiungere. Morire con l’osso del collo rotto era in molti casi inevitabile, così come dover ripetere una sezione di gioco più e più volte a causa della lunga distanza tra i due checkpoint. Il livello di sfida era alto così come il divertimento.
Tomb Raider III non era di certo innovativo,ma certamente godibile. Con questo capitolo però si segna un’importante linea di demarcazione: dal quarto capitolo in poi abbiamo iniziato a vedere di primi segni di stanchezza da parte di Core Design.
Tomb Raider: Anniversary
Tomb Raider: Anniversary è il secondo titolo sviluppato dal team di Crystal Dynamics. Il gioco non è altro che un riadattamento del primo capitolo di Tomb Raider. Non presentava però solo una veste grafica migliorata, ma gli sviluppatori analizzarono ogni singolo livello, apportarono migliorie nelle meccaniche di gameplay ed inserirono un nuovo motore grafico. Tutto per carpire la vera essenza del primo capitolo, evitando così di snaturarlo o allontanarlo dal titolo originale. Anniversary era una vera “celebrazione” del puro gameplay. Nel 2007 era bello cimentarsi di nuovo in un gioco basato sull’esplorazione e con un livello di difficoltà in puro stile anni 90.
Tomb Raider ( 2013)
Tomb Raider uscito nel 2013 rappresenta la terza e necessaria trasformazione di Lara Croft. La protagonista del gioco voluto da Square Enix non è più la forte e quasi invincibile icona anni 90, ma una ben più inesperta, ingenua e giovane Lara. Nel gioco infatti viene raccontata, tramite la completa umanizzazione del personaggio, la rinascita dell’iconica eroina. Ogni emozione, comprese paura e sofferenza, sono ben visibili non perdendo mai di carisma e forza. I giocatori si trovarono di fronte un titolo completamente nuovo, dalle tematiche più mature mai affrontate dal brand Tomb Raider
Rivoluzionato il personaggio così come il gameplay: il titolo è, rispetto ai suoi predecessori, meno riflessivo, meno incentrato sull’esplorazione e più basato su sezioni di platform ed action. L’esplorazione delle tombe ha un ruolo marginale, ma la storia ha sempre il fascino delle mitologie antiche. Il taglio cinematografico da quel tocco di modernità rendendo lo spessore tecnico più rilevante e alto, tanto da spostare inevitabilmente il gioco verso titoli come Uncharted, ma non per questo perdere di personalità.
Il reboot ha aperto la porta ad un’altra interessante era di Lara Croft.
Tomb Raider II
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